Un anno di tempo e dieci grandi progetti per l'Italia, dall'università al lavoro. Il Pd da il via ai lavori per definire il proprio profilo e l'alternativa da proporre al paese, attraverso proposte di cambiamento che si tradurranno in altrettante iniziative legislative da costruire coinvolgendo i territori e i circoli, anche in prospettiva delle elezioni comunali del 2011. Gli esponenti di spicco del partito, però, fanno fretta al segretario Pier Luigi Bersani per far sì che il Pd possa affrontare da posizioni più salde i futuri passaggi politici, senza escludere la possibilità di una crisi del governo Berlusconi.
Sono stati questi, ieri mattina, i temi di cui si è discusso nella prima riunione del "caminetto" dopo le regionali. Bersani e il suo vice Enrico Letta hanno riunito al Nazareno i membri della segreteria, i responsabili dei forum e i capigruppo delle commissioni parlamentari. La riunione è stata aperta da Letta e chiusa dal segretario. Al termine è stato il primo a spiegare che «da oggi comincia un anno di lavoro per costruire il progetto per l'Italia 2011 del Pd. Da oggi ci mettiamo a lavoro per definire il profilo dell'alternativa individuando dieci parole e formulando per ognuna una proposta forte e comprensibile, che sottoporremo all'assemblea nazionale». Anche per uscire «dall'attuale indistinto», percepito dai cittadini. Si comincia il 21 e 22 maggio con la prima assemblea, altre due si terranno in autunno, su quattro temi: ricerca e università, riforme istituzionali e della giustizia, che comprendono anche la legge elettorale, green economy e lavoro e su ogni proposta l'assemblea si pronuncerà con un voto. Il progetto verrà quindi presentato al paese, con un viaggio in giro per l'Italia che toccherà dieci grandi città, in concomitanza con le elezioni previste il prossimo anno in comuni come Torino, Milano, Napoli. «Rispetto alle divisioni del governo che si occupa da un mese a questa parte solo dei suoi problemi interni – ha aggiunto Letta – noi vogliamo smascherare la loro voglia di conservazione e rendere evidente che il nostro profilo è il cambiamento del paese».
Prima della riunione, Bersani aveva incontrato i «big» del partito a partire dai contendenti alle primarie, Dario Franceschini e Ignazio Marino, fino a Massimo D'Alema, Franco Marini, Beppe Fioroni e Piero Fassino. E sono stati sollevati non pochi dubbi sulle ultime recenti interviste del segretario, in merito alla proposta di un'alleanza repubblicana in cui coinvolgere anche Gianfranco Fini e la «profonda sfiducia» manifestata da Bersani sulla volontà e capacità della maggioranza di fare le riforme. In particolare, D'Alema si è mostrato tra i più perplessi di fronte a una chiusura sulle riforme. A suo giudizio, infatti, è giusto chiedere al centro-destra l'onere della prova, ma il Pd non può dare l'impressione di essere pregiudizialmente indisponibile al confronto, come invece è emerso dalle dichiarazioni di Bersani. D'Alema ha invitato il partito a manifestare apertamente la sua linea senza oscillazioni e a tenersi pronto a ipotesi alternastive al voto anticipato. Sulla stessa linea si è trovato Marini, al quale ha replicato duramente Rosy Bindi, difendendo il segretario, che non ha detto no alle riforme, ma «ha solo detto che Berlusconi non è affidabile».
Anche l'atteggiamento tenuto dal Pd in questi giorni nei confronti di Fini è stato oggetto di discussione: gli appelli di Bersani, secondo la minoranza di Franceschini e Veltroni, rischiano di dare un'immagine confusa agli elettori. Fini merita attenzione, ma bisogna stare attenti a non dare l'impressione di tirarlo per la giacca. Un ragionamento condiviso solo in parte da D'Alema, per il quale Fini non deve essere «arruolato» dal Pd, ma allo stesso tempo il Pd non può certo ignorare le giuste questioni sollevate dal presidente della Camera «solo per non mettere a rischio il bipolarismo». Bersani resta però convinto che l'uscita di Fini ha mostrato le spaccature «insanabili» della maggioranza, che diverranno ingestibili sulle riforme e nei decreti attuativi del federalismo fiscale, quando la Lega passerà all'incasso.
Sono stati questi, ieri mattina, i temi di cui si è discusso nella prima riunione del "caminetto" dopo le regionali. Bersani e il suo vice Enrico Letta hanno riunito al Nazareno i membri della segreteria, i responsabili dei forum e i capigruppo delle commissioni parlamentari. La riunione è stata aperta da Letta e chiusa dal segretario. Al termine è stato il primo a spiegare che «da oggi comincia un anno di lavoro per costruire il progetto per l'Italia 2011 del Pd. Da oggi ci mettiamo a lavoro per definire il profilo dell'alternativa individuando dieci parole e formulando per ognuna una proposta forte e comprensibile, che sottoporremo all'assemblea nazionale». Anche per uscire «dall'attuale indistinto», percepito dai cittadini. Si comincia il 21 e 22 maggio con la prima assemblea, altre due si terranno in autunno, su quattro temi: ricerca e università, riforme istituzionali e della giustizia, che comprendono anche la legge elettorale, green economy e lavoro e su ogni proposta l'assemblea si pronuncerà con un voto. Il progetto verrà quindi presentato al paese, con un viaggio in giro per l'Italia che toccherà dieci grandi città, in concomitanza con le elezioni previste il prossimo anno in comuni come Torino, Milano, Napoli. «Rispetto alle divisioni del governo che si occupa da un mese a questa parte solo dei suoi problemi interni – ha aggiunto Letta – noi vogliamo smascherare la loro voglia di conservazione e rendere evidente che il nostro profilo è il cambiamento del paese».
Prima della riunione, Bersani aveva incontrato i «big» del partito a partire dai contendenti alle primarie, Dario Franceschini e Ignazio Marino, fino a Massimo D'Alema, Franco Marini, Beppe Fioroni e Piero Fassino. E sono stati sollevati non pochi dubbi sulle ultime recenti interviste del segretario, in merito alla proposta di un'alleanza repubblicana in cui coinvolgere anche Gianfranco Fini e la «profonda sfiducia» manifestata da Bersani sulla volontà e capacità della maggioranza di fare le riforme. In particolare, D'Alema si è mostrato tra i più perplessi di fronte a una chiusura sulle riforme. A suo giudizio, infatti, è giusto chiedere al centro-destra l'onere della prova, ma il Pd non può dare l'impressione di essere pregiudizialmente indisponibile al confronto, come invece è emerso dalle dichiarazioni di Bersani. D'Alema ha invitato il partito a manifestare apertamente la sua linea senza oscillazioni e a tenersi pronto a ipotesi alternastive al voto anticipato. Sulla stessa linea si è trovato Marini, al quale ha replicato duramente Rosy Bindi, difendendo il segretario, che non ha detto no alle riforme, ma «ha solo detto che Berlusconi non è affidabile».
Anche l'atteggiamento tenuto dal Pd in questi giorni nei confronti di Fini è stato oggetto di discussione: gli appelli di Bersani, secondo la minoranza di Franceschini e Veltroni, rischiano di dare un'immagine confusa agli elettori. Fini merita attenzione, ma bisogna stare attenti a non dare l'impressione di tirarlo per la giacca. Un ragionamento condiviso solo in parte da D'Alema, per il quale Fini non deve essere «arruolato» dal Pd, ma allo stesso tempo il Pd non può certo ignorare le giuste questioni sollevate dal presidente della Camera «solo per non mettere a rischio il bipolarismo». Bersani resta però convinto che l'uscita di Fini ha mostrato le spaccature «insanabili» della maggioranza, che diverranno ingestibili sulle riforme e nei decreti attuativi del federalismo fiscale, quando la Lega passerà all'incasso.
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