venerdì 11 maggio 2012

Mini-idroelettrico: basta un salto di due metri per produrre 1 GWh per anno





fonte: la Repubblica del 11.5.2012


ROMA - Non occorre deportare milioni di persone e devastare gli ecosistemi per sfruttare l'energia dell'acqua. Mentre in Asia e America Latina tra protese e mobilitazioni si continua a puntare sul grande idrolettrico costruendo dighe gigantesche, in Europa la fame di elettricità pulita sta spingendo a cercare soluzioni sempre meno impattanti sulla popolazione e l'ambiente. 


L'ultima innovazione in materia di mini idroelettrico arriva da Cerano, in provincia di Novara, dove la Frendy Energy ha inaugurato in questi giorni la prima centrale al mondo in grado di sfruttare un salto di acqua di appena due metri. "Questo impianto idroelettrico - commenta l'amministratore delegato Rinaldo Denti - rappresenta una piccola ma importante rivoluzione, che permette di sfruttare un salto d'acqua di soli 2 metri ottenendo una potenza costante di 160kW per una produzione annuale di oltre 1 GWh. L'utilizzo di una tecnologia all'avanguardia consente lo sfruttamento efficace del vastissimo potenziale energetico rappresentato dai piccoli salti di almeno 1,5 metri su corsi d'acqua e canali irrigui, di cui l'italia, soprattutto nelle regioni del nord, è molto ricca". 



Se il grande idroelettrico è una tecnologia con alle spalle una storia lunga ormai oltre un secolo e che in Italia ha sfruttato ormai tutto lo sfruttabile, il mini ha invece ancora ottime prospettive, come stanno accorgendosi sempre più amministrazioni comunali.  

Stando all'ultimo rapporto di Legambiente "Comuni rinnovabili", sono 1.021 i municipi che presentano sul proprio territorio almeno un impianto idroelettrico con potenza fino a 3 MW, per una potenza complessiva di 1.123 MW. Elettricità in grado, spiega il dossier, "di soddisfare il fabbisogno energetico elettrico di oltre 1,7 milioni di famiglie". Un vero e proprio boom se si pensa e che "si è passati dai 17,5 MW censiti nel 2006 ai 1.123 del 2011".



Una crescita frutto delle nuove tecnologie, ma anche della fantasia e dell'ingegno. Oltre a fiumi e torrenti, si è passati ad utilizzare infatti canali, acquedeotti e vecchi mulini. I casi virtuosi non mancano. A Gioia del Colle, in provincia di Bari, è stata inaugurata mesi fa una mini centrale idroelettrica da 6 MW che usa un salto d'acqua all'interno dell'acquedotto pugliese. Nel piccolo comune di Chiomonte (TO) il 95% del fabbisogno energetico complessivo di tutte le utenze di proprietà dell'amministrazione viene soddisfatto dall'energia prodotta da una piccola centrale idroelettrica da 40 kW che sfrutta un salto naturale nelle condotte utilizzate per la distribuzione di acqua potabile.



Ma l'elettricità si può ottenere anche dai vecchi mulini o dai canali di irrigazione, come avviene a Civitella di Romagna (FC), con il mulino Tassinari (20 kW), e a Villa Sant'Antonio (AP), dove una centrale di 500 kW di potenza utilizza le acque irrigue defluenti dal canale di bonifica che attinge alle acque del fiume Tronto. Installazioni  piccole o piccolissime che proprio come avvenuto con il fotvoltaico promettono di spingere ancora più avanti il nuovo modello di produzione distribuita.
(11 maggio 2012)

martedì 1 maggio 2012

domenica 29 gennaio 2012

Il futuro ha i capelli bianchi: i nonni cambieranno il mondo



da La Repubblica del 28.01.2012

A FIANCO della fontana, annegata nel verde, Mario danza leggero. Fa vorticare la corda sopra la testa e i piedi saltellano sapientemente a ritmo, sul largo tombino di cemento. È un esercizio da bambine di una volta e, per chi se lo ricorda, da sportivi anche più antichi. DICIAMO anni '40, '50, Bartali, Tiberio Mitri.
Mario lo ha imparato allora, da ragazzo. Perché Mario, che ansima appena nella sua tuta celeste, ha 82 anni. Altro che Balotelli, è lui SuperMario, il Mario nazionale, il simbolo dell'Italia che verrà. Benvenuti nel secolo dei nonni, anzi, dei bisnonni, gagliardi e vispi, destinati a soffocare, con la massa dei n u m e r i , l a sparuta pattuglia dei nipoti: nel 2030, dicono i demografi, in Italia ci saranno due anziani per ogni bambino. Già oggi, ha riferito ieri l'Istat, nel nostro paese, un uomo di 65 anni può ragionevolmente aspettarsi di vivere fino al compleanno numero 83 e una donna fino al traguardo degli 86.È una rivoluzione che non abbiamo ancora neanche cominciato a digerire.
Sono cinquant'anni che ci lamentiamo della carenza di asili-nido, ma la vera urgenza sono gli ospizi. Le scorte importanti in casa non sono i pannolini, ma i pannoloni. E la più cruciale emergenza edilizia è l'installazione a tappeto di ascensori.
Nella storia dell'umanità, non è mai accaduto che la proporzione di persone sopra i 60 anni fosse superiore a una su venti. Adesso, siamo arrivati ad una su dieci. Nel 2050, secondo le previsioni dell'Onu, saranno una su cinque. Antonio Golini e Alessandro Rosina, che hanno curato un libro appena uscito, "Il secolo degli anziani", definiscono questo processo "inedito, incisivo, irreversibile". Non si è mai verificato, è destinato a sconvolgere politica, classi sociali, economia, consumi. E, visto che è il risultato di una vita più lunga e con meno figli, solo devastanti epidemieo catastrofi potrebbero rovesciarlo. Per una volta, l'Italia, uno dei paesi più vecchi e meno fecondi d'Occidente, è all'avanguardia: gli over 60 erano il 26 per cento della popolazione nel 2006, saranno il 41 per cento nel 2050. Ci batte solo il Giappone. In generale, nei paesi ricchi gli ultrasessantenni passeranno da un quinto ad un terzo. Chi pensava che, con l'arrivo in pensione, la generazione dei baby boomers sfumasse quietamente sullo sfondo, si è sbagliato di grosso.
Perché è statisticamente assai probabile che, in quel 41 per cento anziani italiani del 2050, i nati del dopoguerra siano ancora una bella fetta, vociante, imperiosa, pronta a piegare il mondo alle sue esigenze, come da sessant'anni a questa parte.
Anziani, infatti, è un termine generico. Tutti ci siamo accorti che ci sono in giro meno bambini di una volta e che i ranghi della terza età sono sempre più nutriti. Ma non è quella la grande novità. La vera bomba sono quelli che Golini e Rosina chiamano, poco cerimoniosamente, i "grandi anziani". Cioè gli over 80, come SuperMario. Un secolo fa, una persona su dieci arrivava agli 80 anni. Oggi, succede a metà degli uomini e al 70 per cento delle donne. Di quel 41 per cento di popolazione anziana dell'Italia del 2050, più di un terzo sarà costituito da ultraottantenni. In attesa che, oltre alla vita, si trovi il modo di prolungare anche la gioventù, questa falange di bisnonni - molti, necessariamente, un po' acciaccati - sommergeranno il sistema sanitario, come è già avvenuto con quello pensionistico. Ma, accanto a questi impatti, molto dibattuti, ce ne sono più generali, più ampi, più sottili. Sulla politica, ad esempio. I futuri leader dovranno tener conto di questo zoccolo inamovibile di elettori, capaci, oltre a rivendicare le proprie esigenze, di continuare serenamente a rinfacciarsi, ad un secolo di distanza, le colpe di Stalin e quelle di Mussolini. Ma anche, in generale, sull'economia. L'Italia è sempre stata un paese di grande risparmio, ma i pensionati, di regola, risparmiano meno di quanto faccia chi ancora lavora.
Consumano anche meno o, almeno, non le stesse cose. Le industrie dovranno tener conto di questi nuovi consumi. Preparatevi a vedere i baby boomers reclamare macchine più alte, in cui sia più facile infilarsi, autobus più bassi, in cui sia più facile salire, telefonini e computer con i tasti più grossi. Ma, in generale, in questo paese di vecchi, è una rivoluzione culturale quella che ci aspetta.
Sempre meno, scegliendo casa, ci preoccuperemo che disponga di un'ariosa stanza per i bambini. Il problema vero sarà la stanza per ospitare l'anziano genitore, se non tutt'e due. L'ospizio o la casa di riposo, infatti, dicono gli esperti, sono la soluzione sbagliata: un ghetto alienante, soprattutto per chi deve viverci a lungo. E, comunque, con un costo insopportabile: in America, calcolano che, ancor prima che negli ospizi arrivino milioni di baby boomers, l'assistenza nelle case di riposo costi 100 miliardi di dollari l'anno.
Meglio, per la loro salute e il loro benessere, che gli anziani restino in casa. Anzi, che stiano nella loro casa. All'estero, spiega Giandomenico Amendola, si stanno creando costellazioni di città per anziani: dalla Florida all'Arizona, negli Stati Uniti, sulla costa mediterranea in Spagna e, in parte, in Francia. In Italia, non esistono simili spazi.
La soluzione dovrà essere mantenere gli anziani nei palazzi e nei quartieri delle città in cui hanno sempre vissuto. Case, spesso, nei centri storici, vecchie, antiquate, con scale strette e ripide. La prima urgenza sociale sarà dotarle di ascensori, per non imprigionare gli anziani nei loro appartamenti.
Ma che appartamenti saranno? Qui c'è da rivedere, da zero, il concetto di smart home, la casa elettronica e intelligente. Anche qui, chi pensa alla casa intelligente come un posto in cui, con un telecomando programmatore in mano, senza muoversi dalla poltrona o anche da fuori, si accendono e spengono luci, si avvia il riscaldamento, si fa partire la lavatrice, si scongela la verdura per la cena è su una falsa pista. Tutti lussi superflui.
Ciò che davvero occorre è una smart home (costo prevedibile 800-1.200 euro a vano) su misura dell'anziano. Dove il cuscino del letto reagisce alla pressione e, se l'anziano si alza per andare in bagno, automaticamente si accendono le luci fino in bagno e si spengono quando poggia di nuovo la testa sul cuscino. Naturalmente, se nel giro di 30 minuti non è uscito dal bagno, scatta l'allarme. Ma questoè solo l'abc. Si è già pensato a strumenti in grado di trasmettere automaticamente, in tempo reale, i dati sul ritmo cardiaco, sulla respirazione a squadre di controllo. La casa-prototipo, studiata da alcune università americane prevede sensori sullo spazzolino da denti, sulle confezioni di medicinali, sui contenitori di cibo, per verificare che l'anziano si sia lavato i denti, abbia preso la medicina, abbia mangiato quanto occorre. Altri sensori ricostruiscono l'andatura o la postura in modo da segnalare, ai medici o ai parenti, sviluppi negativi. Nell'insieme, una casa che, magari, adesso, ci richiama, in modo inquietante, il Grande Fratello, ma che, forse, quando ci staremo dentro, ci farà pensare ad una Grande Mamma.
Il paese dei nonni non è, però, una distesa di innumerevoli Titoni bavosi, consumati da una vecchiaia interminabile. Come mostra SuperMario, la vecchiaia è un concetto relativo.
Golini e Rosina adottano un parametro un po' macabro, ma efficace. Nel 1951, mediamente, una persona di 65 anni aveva davanti 13 anni di vita. Manteniamo quel differenziale di 13 anni. Il 65enne del 1951 equivale al 70enne del 1981, al 75enne del 2011, all'80enne del 2051. I dati di Golina e Rosina sono più datati rispetto agli ultimissimi dell'Istat e le proiezioni più ottimistiche. Ma il succo del ragionamento non cambia. Che vuol dire, infatti, questa scala? Che nel 2051, SuperMario, con i suoi 82 anni, avrebbe, in realtà, appena cominciato ad essere anziano. I nonni, insomma, hanno un futuro. Verrebbe quasi da dire: sono il futuro. Perché, nel paese per vecchi che ci aspetta, il problema è capire quale futuro hanno, piuttosto, davanti i nipoti. Gli ultimi vent'anni hanno radicalmente rovesciato un vecchio cliché.
Nel secolo scorso, il poverotipo era la vecchina, confinata in una soffitta buia, umida e fredda, che tira avanti elemosinando minestre. Quella vecchina esiste ancora, ma il nuovo povero-tipo è completamente diverso: è giovane, istruito, precario, peggio per lui se con moglie e figlio. Se tira avanti è, probabilmente, perché la suddetta vecchina, nel frattempo, ha avuto la pensione. Questo rovesciamento di ruoli è un elemento centrale della società di oggi, dove l'inaridimento del welfare pubblico è stato reso possibile dal trasferimento dei compiti ad una sorta di welfare familiare, dove il giovane, disoccupato, resta a casa dei genitori fino a 40 anni e campa con la paghetta di papà e l'aiuto dei nonni. Antonio Schizzerotto, Ugo Trivellato e Nicola Sartor provano, in un altro libro appena uscito, "Generazionia confronto" a comparare la situazione dei giovani d'oggi con quella degli attuali nonni in marcia, ovvero chi era giovane nel dopoguerra e, poi, negli anni '60 e '80. Il quadro che ne risulta è quella di una desolata fine delle illusioni. I giovani di oggi sono i primi, da un secolo a questa parte, a sapere che non riusciranno a migliorare le posizioni occupazionali e sociali dei loro padri. È un amaro risveglio. Le riforme scolastiche della seconda metà del '900 li hanno resi più istruiti e meno diseguali, nelle opportunità di educazione, sia fra ricchi e poveri, sia fra uomini e donne. Ma quell'educazione è più scadente rispetto a quella dei giovani di una volta e, soprattutto, serve di meno sia a trovare un posto che un buon stipendio. Schizzerotto, Trivellato e Sartor disegnano una sorta di U rovesciata. I giovani del dopoguerra avevano a che fare con il lavoro nero. Quelli degli anni '60 e '80 hanno via via sempre più ottenuto un lavoro stabile e sicuro. I giovani attuali sono tornati a confrontarsi con il lavoro precario e occasionale.
Quei fortunati degli anni '60 e '80 sono i nonni in marcia di oggi, ma il dramma dei giovani non è semplicemente l'altra faccia dell'avanzata degli anziani. L'invecchiamento della società è un fenomeno di tutto l'Occidente. Ma, all'estero, spiegano gli autori di "Generazioni a confronto", i giovani hanno occupazioni meno precarie, a parità di istruzione hanno stipendi più alti e il welfare è pensato per proteggerli di più.
Si può vivere con nonno, senza invidiarlo.

MAURIZIO RICCI

sabato 28 gennaio 2012

venerdì 6 gennaio 2012

Spese consiglieri regionali: OMISSIS

Omissis. Omissis. Omissis. La risposta più sfacciata a chi si sgola sulla trasparenza nei conti pubblici è in certi bollettini ufficiali della Regione Calabria. La quale, costretta per legge a rendere noto come usa i soldi, copre i nomi degli oscuri destinatari di qualche decreto di spesa con ancora più oscuri «omissis». Lo denuncia un libro appena uscito. S'intitola «Casta calabra. La politica? Sempre meglio che lavorare...» ed è firmato dal direttore del Corriere della Calabria Paolo Pollichieni e dai suoi giovani di punta, Eugenio Furia, Giampaolo Latella, Pablo Petrasso e Antonio Ricchio. Un esempio? Eccolo all'articolo 2 del Decreto 3478 del 18 aprile 2011, col riconoscimento di un debito «in favore della società omissis, in persona del presidente del cda, rappresentata dall'avv. omissis». Un altro? Il decreto 3483, «liquidazione e pagamento della spesa a titolo di competenze di giudizio della somma complessiva di euro 251,64 in favore dell'avv. omissis». E via così. Somme piccole, somme più grandi... I cittadini avrebbero il diritto di sapere come vengono spesi i loro soldi? E vabbè...
«Prendete il più grande affare degli ultimi anni: la costruzione di quattro ospedali», raccontano gli autori, «Le strutture saranno realizzate nella Piana di Gioia Tauro, nella Sibaritide, a Vibo Valentia e a Catanzaro. Il costo previsto per i lavori è di 480 milioni (...) e la Regione ne ha affidato la progettazione (e il compito di seguire l'iter realizzativo) a una società in house della Regione Lombardia, "Infrastrutture lombarde"». Sulla procedura, la Procura di Catanzaro ha aperto un'inchiesta. Ma il punto non è questo. Il punto è racchiuso in poche righe della convenzione calabro-lombarda dedicate alla riservatezza. Il passaggio prevede che la divulgazione di documenti che riguardano «l'espletamento della convenzione sia concordata tra le parti». Dunque, accusano Pollichieni e i suoi cronisti, «i calabresi non potranno sapere nulla». E neppure, ovvio, i lombardi e gli altri italiani.
C'è di tutto, nel libro. Per cominciare, la denuncia del degrado culturale: «L'indice di alfabetizzazione dei consiglieri regionali della prima legislatura era doppio rispetto a quello degli attuali». Non solo oggi su 50 «la metà non ha la laurea» ma «ben 15 non hanno mai presentato alcun reddito da lavoro dipendente, non hanno mai conosciuto, neanche per un giorno, la dimensione del lavoro. A questi si aggiungano due consiglieri regionali che hanno "lavorato" ma come calciatori in categorie dilettanti e semiprofessionistiche».
In compenso, sono cresciuti enormemente gli addetti stampa, assunti senza concorso a infornate successive dalla destra e dalla sinistra e di nuovo dalla destra ancora pochi giorni fa tra parenti, amici e compagni di partito, fino a diventare un battaglione: «A decine negli uffici della giunta regionale, a decine in quelle del Consiglio e via scendendo, passando per tutti gli enti subregionali fino all'ultima e più sperduta delle aziende ospedaliere». Come stupirsi, poi, di certi bilanci? L'Astronave («così si chiama il palazzo che ospita la massima assemblea elettiva calabrese») costa ogni anno 77,9 milioni di euro. Il doppio del «parlamentino» dell'Emilia-Romagna che pure ha una popolazione doppia. Risultato: il Consiglio costa 38,7 euro a ogni cittadino calabrese, 8 euro a ogni emiliano. «Per gli stipendi di consiglieri regionali e assessori esterni, la Calabria mette da parte più di 23 milioni all'anno. L'Emilia Romagna meno di 13». 
Quanto ai vitalizi, basti un esempio tra i tanti. Quello del professor Domenico Cersosimo, chiamato nel novembre 2007 da Agazio Loiero a fare l'assessore alla Cultura e poi il vicepresidente. Totale dell'impegno in giunta: 848 giorni su 1.798 di legislatura. Per dargli la pensione, dice il libro, la Regione gli ha chiesto di versare contributi integrativi per 45 mila euro e dal 1 maggio 2011, a 59 anni, il docente riceve 3.600 euro lordi al mese. Dodici mesi e mezzo e da metà del prossimo maggio avrà recuperato tutti i 45.000 euro versati. Dopodiché, se vivrà come un italiano medio (auguri vivissimi, ovvio) sfilerà ai contribuenti fino al 2032, quando avrà 80 anni, 43.200 euro lordi l'anno per un totale di 864.000 euro: 19 volte i contributi versati. 
E le spesucce? «Nuovo gonfalone per la presidenza al posto del vecchio consunto: 3.500 euro più Iva»: 7 milioni di lire del vecchio conio, direbbe Paolo Bonolis, per un gonfalone. Per non dire della stanza di Fabrizio Capua, voluto dal governatore pidiellino Giuseppe Scopelliti come assessore regionale «ai Programmi speciali dell'Unione Europea, alle Politiche euromediterranee, all'Internazionalizzazione, alla Cooperazione tra i popoli e alle Politiche per la pace»: «Scrivania, cassettiera su ruote, librerie, una poltrona in pelle nera per lui e due (sempre in pelle) per gli ospiti, un divano a due posti e un tavolino. Costo: 23 mila euro». E poi i costi esorbitanti dell'aeroporto da cui decollano solo sei voli fissi al giorno ma i dipendenti hanno superminimi altissimi e la Sogas «paga 300 euro per svuotare ogni cassonetto alla società "Eco-Mrf"». E l'ufficio a Bruxelles infine soppresso ma per il quale, grazie a un contratto di 9 anni, la Regione continuerà a pagare 300 mila euro l'anno di solo affitto fino al 2015. E le società miste con uomini della 'ndrangheta. E le carriere di funzionari dal curriculum surreale: «Ottima conoscenza delle arti figurative e della storia artistica dei popoli. Discreta conoscenza teorica e pratica della musica maturata da autodidatta attraverso la studio del pianoforte e della chitarra».
E poi ancora la vicenda scellerata e tragica, chiusa con un misterioso suicidio, di Orsola Fallara, che ai tempi in cui Scopelliti era sindaco di Reggio Calabria liquidò a se stessa 947.836 euro e ne distribuì a pioggia ad amici e parenti compreso l'uomo cui era legata, «l'ingegner Bruno Labate, per un importo complessivo di euro 842.740». 
La storia più indimenticabile, però, è quella di un servizio dell'inglese Indepen dent del quale Giuseppe Scopelliti e il suo assessore al bilancio Giacomo Mancini jr., omonimo del nonno ma transitato a destra, menarono vanto con toni trionfalistici: «Uno dei maggiori quotidiani britannici, il The Independent , ha dedicato un reportage di due pagine all'operato del presidente Scopelliti e dell'assessore Mancini. Il tabloid (le cui vendite superano le 250 mila copie) nella sua inchiesta su infrastrutture e turismo nella nostra Regione ha messo in evidenza "La strada per il successo intrapresa dalla Calabria"». Peccato che, come avrebbe rivelato una delibera, si era trattato di «uno spazio pubblicitario/editoriale» pagato e realizzato con VoxMediaPartner, «società esclusivista per la pubblicità del quotidiano anglosassone in Italia».

  (Corriere della Sera del 6.1.2012)