domenica 27 febbraio 2011

Ma tu guarda che strano ........

da www.ilfattoquotidiano.it del 27.2.2011

Non so se lo avete notato, ma in quest’ultimo periodo si rincorrono gli articoli di persone che scoprono che la legge Gelmini (n. 240/2010) ha un certo numero di punti oscuri. C’è chi scopre che dà i soldi solo ai ricchi, c’è chi scopre che l’articolo 28 della legge regala 10 milioni di euro per formare il personale amministrativo a un federalismo che ancora non c’è, lasciando poi interamente al ministro la scelta a quali due università (che possono essere pubbliche o private, secondo voi dove cadrà la scelta?) assegnare questo finanziamento extra.

Quando si andava nei tetti o sulle piazze, quando si denunciavano le falsità e le incongruenze della legge contenuti negli spot vuoti del ministro, in tanti ci davano addosso dicendo che si voleva mantenere lo “status quo”, che difendevamo i nostri privilegi. Ora si scopre che ci sono perfino rettori che dichiarano apertamente di aver sostanzialmente venduto gli interessi generali per la promessa di un piatto di lenticchie.

Nel decreto milleproroghe sono stati bocciati due emendamenti, uno della maggioranza e uno dell’opposizione, che avrebbero permesso alle università di assumere giovani e di attivare la premialità del merito. Adesso non si potrà fare nella maggioranza delle sedi universitarie nazionali. Questo dopo aver ovviamente mantenuto, come si fa da anni, le università sul filo dell’incertezza fino all’ultimo momento. E’ solo l’ennesima dimostrazione della distanza siderale che esiste tra le dichiarazioni del ministro Gelmini e la realtà dei fatti.

Non dimentichiamo poi che è partita la corsa dei rettori a blindare le commissioni che dovranno rivedere gli statuti, in modo da essere solo loro, ormai prossimi alla pensione, a decidere le sorti di chi ha ancora venti e più anni all’interno dell’università, o di chi, nonostante le prospettive di disintegrazione garantite dal ministro che ci dovrebbe tutelare, vorrebbe ancora entrarci.

L’Italia, come al solito, non ha memoria e, soprattutto, non si ferma a riflettere ma ormai, abituata da decenni di velinismo, guarda solo la superficie. Se sotto non c’è nulla non importa, l’importante è apparire, non essere.

di Guido Mula

sabato 26 febbraio 2011

I ComandaLenti ! Lunedi 28 Febbraio: Quinta giornata mondiale della lentezza

da sito affaritaliani.libero.it del 21.02.2011
Nel mondo dove tutto è frenetico, senza sosta, in cui i treni vanno sempre più veloce e le notizie corrono come la luce dai tablet al pc qualcuno dice basta.

Lunedì 28 febbraio si celebra la quinta Giornata Mondiale della Lentezza. Da Milano a New York, da Roma a Shangai, tutto il pianeta per ventiquattro ore andrà un po' più piano. Ispirata al "downshifting" di Jórrgen Larsson (“filosofia del rallentare”) è un invito a lasciare da parte la quantità a favore della qualità e, di conseguenza, a riscoprire l'importanza della tradizione, dei piaceri e della calma.

Certo, la filosofia e la buona volontà non bastano a stravolgere e 'correggere' i ritmi di vita e di lavoro sempre più frenetici, ma serviranno almeno a far riflettere le persone, che per un giorno torneranno a essere padrone del proprio tempo.

E' una manifestazione che nasce dal pavese Bruno Contigiani e della sua onlus "L'Arte del Vivere con Lentezza".
L'obiettivo? Pensare ai danni economici, ambientali, sociali e culturali del vivere a folle velocità.

L'idea in pochi anni ha riscosso un consenso planetario perché quello dei lenti è un movimento le cui fila s'ingrossano ogni giorno di più. D'altronde lentezza e velocità è un binomio su cui già si interrogavano gli antichi.
Nella favola-paradosso di Achille e la tartaruga Zenone sosteneva che il veloce Achille non avrebbe mai potuto raggiungere la lenta tartaruga perché doveva compiere ogni volta il percorso nelle sue infinite parti: la metà, la metà della metà, e così via. E poi ancora, secondo Platone il vero filosofo deve fermarsi, sedersi e mettersi a meditare perché soltanto in questa forma di immobilità si riesce a pensare.
La saggezza popolare lo ha riassunto nel "chi va piano va sano e va lontano", il sociologo Domenico De Masi ha invece coniato l'espressione "ozio creativo".
Un riscatto di fronte alla connotazione negativa (il padre dei vizi), che ha avuto nel tempo. In Italia più che nel nord Europa.

Come ha osservato Philippe Daverio, ospite di una conferenza organizzata da Ismo, "i vizi capitali sono diversi per un nordico e per noi. La pigrizia era un peccato grave per un monaco benedettino, mentre per un nordico era il sano meritato riposo dopo la battaglia". E così, per restare in Italia, la laboriosità frenetica e spesso alienante di Milano si contrappone alla dolce vita romana, persino di fronte alla giornata della lentezza.
Per questa edizione 2011 Milano ha persino deciso di giocare sul tempo e ha anticipato la data a sabato 26 febbraio.

Lentezza vuol dire consapevolezza e attenzione al ‘qui e ora’. Sapersi godere il sapore della vita, avere cura per gli altri e per l'ambiente che ci circonda. Trovare tempo per la riflessione e la spiritualità.

Un vero e proprio stile di vita avviato a tavola da Carlo Petrini con Slow Food (che conta oggi 40mila iscritti in Italia e più di 80mila nel mondo), ma che poi si è allargato a segmenti della vita sempre più ampi. Dal rapporto con il cibo al lavoro, dal sesso al modo di viaggiare, passando per l'educazione dei figli, il popolo che ha scelto di andare piano si fa sempre più numeroso.
In "Adesso basta" (Chiarelettere,) Simone Perotti propone un cambio di vita netto, verso se stessi, il mondo che ci circonda, le abitudini, gli obblighi, il consumo: la rivoluzione dobbiamo farla a partire da noi, riprendendoci la nostra vita per essere finalmente liberi.

Ma la filosofia slow non si applica solo all'universo individuale.
Ci sono tanti settori della società e della vita pubblica sovraccarichi e ingessati, che avrebbero bisogno di 'semplificazione', per dirla con il ministro Calderoli.
Dalla burocrazia ingolfata da pratiche interminabili alla giustizia e ai processi senza fine, dalla congestione del traffico alla frenesia lavorativa, dove chi non è massimamente efficiente viene schiacchiato dal meccanismo. Eppure, proprio in campo economico ci vorrebbe, paradossalmente, più velocità: non nelle relazioni umane e nella qualità del tempo speso in ufficio, ma nella strumentazione a disposizione dei lavoratori. Se l'Italia investisse in tecnologia, allora sì che si andrebbe più veloci, rimandendo contemporaneamente lenti.

Situazioni che sembrano impossibili da cambiare? No. "Un'altra strada esiste". Ad assicurarlo è Stefano Bartolini, docente di Economia politica ed Economia sociale all'università di Siena, autore del "Manifesto della felicità": come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere".

"Un'altra strada - spiega - che permette di coniugare la prosperità economica con una società più umana, più felice, meno frettolosa, meno pericolosa per l'ambiente naturale".

Dall'associazione "L'Arte del Vivere con Lentezza" ecco i 14 comanda-lenti per trovare la velocità giusta nella vita:

1) Svegliarsi 5 minuti prima del solito per farsi la barba, truccarsi o far colazione senza fretta e con un pizzico di allegria.

2) Se siamo in coda nel traffico o alla cassa di un supermercato, evitiamo di arrabbiarci e usiamo questo tempo per programmare mentalmente la serata o per scambiare due chiacchiere con il vicino di carrello.

3) Se entrate in un bar per un caffè:ricordatevi di salutare il barista, gustarvi il caffè e risalutare barista e cassiera al momento dell'uscita(questa regola vale per tutti i negozi, in ufficio e anche in ascensore)

4) Scrivere sms senza simboli o abbreviazioni, magari iniziando con caro o cara...

5) Quando è possibile, evitiamo di fare due cose contemporaneamente come telefonare e scrivere al computer...se no si rischia di diventare scortesi, imprecisi e approssimativi.

6) Evitiamo di iscrivere noi o i nostri figli ad una scuola o una palestra dall'altra parte della città

7) Non riempire l'agenda della nostra giornata di appuntamenti, anche se piacevoli, impariamo a dire qualche no e ad avere dei momenti di vuoto.

8) Non correte per forza a fare la spesa, senz'altro la vostra dispensa vi consentirà di cucinare una buona cenetta dal primo al dolce.

9) Anche se potrebbe costare un po' di più, ogni tanto concediamoci una visitina al negozio sottocasa, risparmieremo in tempo e saremo meno stressati.

10) Facciamo una camminata, soli o in compagnia, invece di incolonnarci in auto per raggiungere la solita trattoria fuori porta.

11) La sera leggete i giornali e non continuate a fare zapping davanti alla tv.

12) Evitate qualche viaggio nei week-end o durante i lunghi ponti, ma gustatevi la vostra città, qualunque essa sia.

13) Se avete 15 giorni di ferie, dedicatene 10 alle vacanze e utilizzate i rimanenti come decompressione pre o post vacanza.

14) Smettiamo di continuare a ripetere:"non ho tempo". Il continuare a farlo non ci farà certo sembrare più importanti.

... e i 7 comanda-lenti in cucina

1) Il cibo è la tua prima medicina: insegna Ippocrate... crediamoci!

2) La poesia del cibo inizia quando facciamo la spesa: scegliamo prodotti di stagione e di qualità. Se vogliamo risparmiare diminuiamo la quantità: che è anche un'ottima scelta per controllare colesterolo e peso.

3) E' scientificamente provato che l'acqua non bolle prima se continuiamo a osservarla: quindi senza fretta appassioniamoci alla preparazione della nostra cenetta e apparecchiamo con cura la tavola, un fiore?

4) Utilizziamo tutti i nostri sensi per godere dei singoli ingredienti: la vista, il tatto, l'olfatto, il gusto ... anche l'udito (i rumori della cucina fanno tanto casa e calore!).

5) Gustiamo ogni forchettata e ogni piccolo sorso di quel vino che, anche se da incompetenti, avremo scelto con amore e cura.

6) Evitiamo il "due in uno"! Se mangiamo non telefoniamo, se telefoniamo non mangiamo.

7) Non precipitiamoci ... il cinema, la lavastoviglie, l'ultimo ritocco al computer, ecc. aspettano.""

Camici bianchi all'UniCal

 pubblicata su mezzoeuro del 26.2.2011

Se di sviluppo del cosentino e della Calabria si deve parlare non si può  che partire dalla formazione delle nuove generazioni e dal garantire loro il diritto allo studio senza costringerle ad andare via. In linea con questo ragionamento, il presidente della Provincia di Cosenza, nel prossimo consiglio provinciale proporrà l’istituzione della facoltà di Medicina.

di Gabriella Lupi

Mario Oliverio è con tutta probabilità uno dei pochi uomini, esponente delle istituzioni e anche politico, ad avere ben chiaro che il progresso della provincia cosentina e della Calabria non può prescindere dalla cultura. Il presidente della Provincia di Cosenza, convinto di questo, ha sempre guardato con interesse in direzione di Arcavacata, in direzione del campus, in direzione dei giovani che si preparano a diventare i professionisti del domani. La nuova classe dirigente della Calabria. Il popolo del futuro che affolla le aule universitarie delle facoltà presenti all’Unical: Economia, Farmacia, Ingegneria, Lettere e filosofia, Scienze matematiche, fisiche e naturali e Scienze politiche. Fallito, negli anni passati, l’esperimento di portare Giurisprudenza all’Unical. Una facoltà, quest’ultima, che viene scelta dai giovani calabresi che, preferisco snobbare, l’ateneo catanzarese e sempre più numerosi si recano altrove. In tanti casi si specializzano e non fanno più ritorno. Giurisprudenza, ma anche Medicina, è da sempre una delle richieste di chi vuole formarsi non lasciando la propria terra. Proprio pensando alle intelligenze che la Calabria e il cosentino in particolare, non può permettersi di perdere, il presidente Oliverio, ha annunciato il fermo proposito di mettere, ascoltati i capigruppo, all’ordine del giorno della prossima seduta consiliare l’istituzione della facoltà di Medicina presso l’Unical.
“Al consiglio provinciale –ha aggiunto Oliverio- porteremo una proposta articolata, realizzata a breve termine, con un piano finanziario analitico ed indicheremo anche le fonti e gli strumenti finanziari e di programmazione a cui fare riferimento.
All’Unical, con la quale abbiamo già avviato un serrato confronto, chiederemo di assumere questa proposta per la quale ci sarà il nostro pieno apporto e il nostro pieno e convinto sostegno ad ogni livello. Sono mature, ormai –ha concluso il presidente della Provincia di Cosenza- le condizioni per passare dalle parole ai fatti e dotare il territorio della più grande provincia della Calabria di una facoltà di Medicina, al fine di consentire ai nostri giovani di poter liberamente decidere di accedere alla formazione universitaria anche nel settore della sanità nella loro terra ed al servizio sanitario di trarne giovamento e la necessaria spinta anche sul piano della ricerca, dell’innovazione e della qualità delle prestazioni sanitarie”. In una Regione dove è stata avviata da alcuni mesi una scellerata politica di tagli e ridimensionamenti, c’è chi, invece, è cosciente che non è più possibile arrecare altri danni al territorio.  Ed è ancora una volta l’ente Provincia a farsi carico di parte dei sacrifici che tantissime famiglie affrontano ogni giorno per garantire ai propri figli il diritto allo studio. La Provincia, infatti, nei mesi scorsi ha contribuito a pagare l’affitto agli studenti iscritti ad un corso di laurea presso l’Università della Calabria nell'anno accademico 2010- 11, residenti nei comuni della Provincia di Cosenza e considerati ''fuori sede'' per come inteso dal regolamento per il diritto allo studio del centro residenziale dell'ateneo di Arcavacata e titolari di contratto di locazione in una abitazione ubicata nei comuni di Cosenza o Rende. La Provincia di Cosenza, erogherà mensilmente, a titolo di contributo, ad ogni studente ammesso, il 5° per cento  del canone di locazione pagato fino ad un massimo di 150 euro per la durata di 12 mesi.  Ed ancora nel mese di febbraio  è stato siglato sempre con l?Unical un protocollo di intesa per costituire una rete mediterranea stabile, di associazioni ed istituzioni, sui giovani e le politiche giovanili. Non è poco.

Bando a mezzanotte

 pubblicato su mezzoeuro del 26.1.2011

988 borse lavoro per le imprese assegnate nel cuore di una notte. A mezzo posta privata, in sette minuti, arrivano migliaia di domande. Solo 500 se le prende Abramo

A mezzanotte e dieci minuti i giochi erano già fatti. Borse lavoro da assegnare alle imprese per inquadramento per tre anni andate in fumo da mezzanotte a mezzanotte e sette minuti.
Accade tutto la notte del 30 ottobre ed è una notte delle streghe per davvero quella. Si apre ufficialmente il bando a sportello a mezzanotte. Lo sanno tutti e soprattutto lo sa bene chi lo deve sapere, funziona sempre così. Non c’è tempo per aspettare l’apertura delle Poste ufficiali, la raccomandata fa fede ma arriva troppo tardi. Occorre un servizio privato per far prima e non sono molti quelli in Calabria che se lo possono permettere un servizio privato gestito in proprio (ci riesce guarda caso proprio chi ha preso più borse di tutti, Abramo, 500).
Le domande dovrebbero essere inviate esclusivamente tramite raccomandata AR, all’amministrazione ragionale a partire da una data successiva alla pubblicazione dell’avviso pubblico sul Bollettino ufficiale regionale. L’amministrazione regionale dovrebbe assegnare ad ogni domanda pervenuta un protocollo progressiva valevole ai fini dell’ordine cronologico di ricezione.
La prima fase di selezione delle domande è relativa alla verifica di ammissibilità dovrebbe essere finalizzata a verificare una serie di cose.
L’assenza di uno solo dei requisiti comporta le dichiarazione di inammissibilità della domanda.
Nella procedura seguita l’avviso pubblico non prevede, esplicitamente che l’istruttoria e la valutazione delle domande debba essere effettuata “a sportello valutativo”, ai sensi del dlgs 31 marzo 1998, n. 123

Si tratta di una dimenticanza o di una ambiguità voluta? L’avviso pubblico non funziona secondo la procedura “a sportello valutativo” ma secondo una procedura che non è conforme con i criteri di selezione delle operazioni del Por Calabria FSE 2007/2013.
Le domande di partecipazione dovevano essere trasmesse esclusivamente tramite raccomandata A/R a partire dal 15° giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso sul Bur Calabria a mezzo dei servizi postali abilitati. La data e l’orario della domanda valenti per l’istruttoria valutativa è stabilita e comprovata dal timbro con data ed orario riportati sulla busta dagli uffici dei servizi postali accentanti.
La scelta di utilizzare la data e l’ora di spedizione della domanda (comprovata dai servizi postali abilitati) come data e ora valide per determinare la posizione  valida ai fini dell’ordine cronologico di ricezione della domanda da parte dell’amministrazione regionale (determinata dal Protocollo del dipartimento) ha di fatto creato centinaia di “sportelli” pubblici e privati abilitati a ricevere le domande di finanziamento.
Da ciò, come era facilmente prevedibile, è nato il “mercato dei protocolli per i finanziamenti regionali”. I servizi postali privati abilitati in molti casi hanno “riservato lotti di protocolli” a commercialisti, consulenti, e altri soggetti. Alle ore 1.00 del mattino della giornata di apertura dello “sportello”, o meglio degli “sportelli” risultavano protocollate migliaia di domande di finanziamento che da sole sembra assorbiranno l’intero budget disponibile.
La Regione Calabria dovrebbe a questo punto verificare la corretta applicazione della legge da parte dei servizi postali privati per quanto attiene alla reale possibilità di ricevere direttamente dagli utenti nel pieno della notte e a protocollare un numero elevato di domande in un tempo limitatissimo.
Altro interessante punto da verificare è quello del costo pagato dagli utenti ad alcuni servizi postali privati per il servizio di ricezione e trasmissione delle domande di finanziamento. Sembra che tale costo sia stato strettamente correlato con la data e l’ora di ricezione della domanda (una sorta di prenotazione del protocollo di spedizione).
Ma la cosa più grave è quella che le domande di finanziamento non saranno oggetto di alcuna seria ed efficace valutazione.
Normalmente in un avviso pubblico a “Sportello valutativo” dovrebbero essere ammesse a finanziamento solo le domande che totalizzano nella valutazione di merito un punteggio maggiore di un punteggio minimo di soglia.
Nell’avviso pubblico regionale non è stato fissato nessun punteggio minimo e pertanto di fatto i criteri di valutazione sono sostanzialmente e di fatto non applicati. Vengono finanziati tutti i progetti ammissibile secondo l’ordine determinato dal “mercato dei protocolli”.
Quanto detto  sembrerebbe essere confermato dal fatto che l’avviso pubblico fa riferimento al punteggio calcolato sulla base dei criteri di valutazione solo nella cosiddetta “fase di esaurimento delle risorse finanziarie, ultimo giorno utile di assegnazione dei finanziamenti” insieme al altri criteri, alcuni dei quali del tutto inammissibili (contributi volontari associazioni sportive).
Sarebbe interessante conoscere (andava esplicitato nell’avviso pubblico) come si determina l’inizio della “fase di esaurimento delle risorse finanziarie..” visto che il tutto si è “consumato” in poche ore dopo l’apertura dello sportello o meglio del “mercato dei protocolli”.
Per chiarire questi punti è necessario effettuare, attraverso una richiesta di accesso agli atti da indirizzare al responsabile unico del procedimento dell’avviso pubblico, una immediata verifica delle procedure e dei criteri di valutazione adottati dalla Commissione di valutazione (acquisizione dei verbali della commissione). La commissione valutazione, una volta accertata l’inutilità, o meglio la non applicabilità reale, dei criteri di valutazione previsti nell’avviso pubblico, dovrebbe nella prima seduta evidenziare il tutto e trasmettere gli atti al responsabile unico del procedimento.
Ma non è andata così nella notte delle streghe di Calabria. Dove a mezzanotte e a cavallo delle poste private tutto può accadere. Neanche cenerentola si sarebbe accorta di nulla.

venerdì 25 febbraio 2011

Revisione degli statuti, caos negli atenei

 da www.terranews.it del 25.2.2011
 
(Rete della conoscenza)
STOPGELMINI. L’applicazione della riforma fa acqua da tutte le parti e i rettori non sanno che pesci prendere.
L'obbligo di rivedere gli statuti degli atenei per adeguarli alla legge Gelmini ha scatenato il caos nelle università italiane. Il testo approvato dal Parlamento, infatti, è allo stesso tempo molto rigido nello scandire i tempi e molto generico nello stabilire le modalità di attuazione. In pratica, nessuno sa bene cosa dev’essere fatto, ma l’importante è farlo in fretta e cercare di compiacere la ministra.

Perfino le modalità di elezione della commissione che deve rivedere lo statuto cambiano tra ateneo e ateneo: elezioni a suffragio universale per tutti (Trieste) o almeno per la rappresentanza studentesca (Messina), consultazioni con il Consiglio degli Studenti (Padova), nomina dall’alto da parte del rettore (Napoli). Un caso a parte è Torino, dove il Senato degli studenti aveva designato democraticamente due rappresentanti ma il rettore si è rifiutato di nominarne uno, dato che sono entrambi oppositori della riforma. A Catania la presentazione da parte del rettore di liste bloccate a Senato e Cda ha generato la rivolta dei presidi, che minacciano un ricorso al Tar, mentre studenti, precari e ricercatori continuano la mobilitazione chiedendo un processo di partecipazione democratica.

Il tema della democrazia, del resto, è all’ordine del giorno ovunque: a Bologna gli studenti hanno bloccato più volte le riunioni degli organi collegiali per chiedere che il testo finale dello statuto emendato sia sottoposto a referendum, mentre a Macerata hanno fatto irruzione all’inaugurazione dell’anno accademico per sostenere la propria petizione. Ma l’aria che tira è di tutt’altro genere: altro che referendum, rischiano addirittura di saltare le normali elezioni dei rappresentanti degli studenti. Alcuni rettori, infatti, stanno interpretando in senso ultrarestrittivo il comma 9 dell’articolo 2 della legge Gelmini, che proroga il mandato degli organi collegiali in vista della revisione degli statuti.

È evidente che ciò non impedisce affatto di rinnovare le rappresentanze studentesche, tanto che alcuni rettori, come quelli di Firenze e Pisa, hanno già convocato le elezioni rispettando la scadenza naturale del mandato. A Torino e Padova, invece, si è formata una strana (ma non inedita) alleanza tra il baronato e le parti peggiori della rappresentanza studentesca, pronte a violare ogni logica democratica per evitare di perdere la poltrona.

Nel frattempo, continua la corsa alla federazione tra gli atenei: dopo l’unione tra Bari, Foggia, Lecce, Molise e Basilicata, ora tocca agli atenei campani. Il protocollo firmato dalla ministra Gelmini e il presidente Caldoro parla già, esplicitamente, di taglio dei corsi di laurea. Ma la parte sana dell’università non sta a guardare: LINK-Coordinamento Universitario, l’Associazione Dottorandi Italiani, il Coordinamento Precari dell’Università, la Rete 29 Aprile e il Coordinamento Nazionale dei Professori Associati hanno elaborato insieme 10 punti, 10 proposte condivise da studenti, dottorandi, precari, ricercatori e professori associati, da portare in tutte le commissioni. La mobilitazione continua.

Cancellare i dipartimenti distrugge la ricerca

Cancellare i dipartimenti distrugge la ricerca
[Alberto Asor Rosa, La  Repubblica] di circa 10 mesi fa
La proposta Gelmini di unire materie diverse è priva di ogni logica culturale. Alcuni Rettori hanno deciso di anticipare le cose facendo già gli accorpamenti L´articolo di Francesco Erbani (la Repubblica, 31 marzo 2010) sulla possibile «Scomparsa dell´italiano» negli insegnamenti universitari («rischiano di sparire i dipartimenti specifici dove studiare Petrarca o Montale»), è sacrosanto, e lo condivido pienamente, comprese le testimonianze ivi riportate. Ma... ma esso descrive solo una delle punte possibili di un iceberg di dimensioni assai più gigantesche e dalle conseguenze più catastrofiche. Cercherò di dire molto sinteticamente di una materia assai complessa. Il Dpr 382, - che regolamenta l´organizzazione degli studi universitari, risale ai primi anni ´80 ed è, si badi, ancora del tutto in vigore - prevede la seguente ripartizione dei compiti: 1) ai Dipartimenti, organismi mono- o, a seconda dei casi, pluri-disciplinari, compete in maniera esclusiva la promozione e l´organizzazione della ricerca; 2) i Corsi di studio si occupano di singole branche del sapere secondo un´ottica didattica e in funzione della formazione di buoni profili professionali; 3) le Facoltà sono organismi più vasti, che mettono in rapporto fra loro branche diverse del medesimo sapere, secondo ottiche più tradizionali (giurisprudenza) o più innovative (Scienza delle comunicazioni). Il sistema aveva bisogno di correzioni e di ammodernamenti? Tutt´altro che da escludere. Ma ecco la sorpresa. Una norma contenuta nella cosiddetta riforma Gelmini, ancora in discussione, prevede che per formare un Dipartimento - o, peggio, per mantenerlo in vita - ci vogliano fra i quaranta e i cinquanta docenti. È così che si apre la rincorsa forsennata ad accorpamenti fra Dipartimenti più piccoli che rendano possibile una forma (purchessia) di sopravvivenza. Capite la finezza della misura? Siamo in materia di ricerca, anzi di ricerca universitaria: la materia più delicata per lo sviluppo civile, culturale ed economico della Nazione. E la regola, preventiva e preliminare, non riguarda i criteri, le opportunità e l´efficacia dello «stare insieme» per «ricercare insieme» una determinata materia dello scibile: ma il fatto di essere, puramente e semplicemente, in quaranta-cinquanta (meglio però, in pratica, in sessanta, così si fa fronte preliminarmente alla piaga dei pensionamenti). Gli effetti nefasti sono due: 1) le nozze obbligate producono parti irriconoscibili e sterili; 2) la scomparsa di organismi gloriosi (alla Sapienza, ad esempio, non ci sarà più un Dipartimento di Filologia classica, organismo dal passato straordinario e dal presente più che ragguardevole, perché i filologi classici, poveretti, da soli non raggiungono il sacro Numero). Ma non basta. Qualcuno vuole attribuire ai Dipartimenti anche le funzioni didattiche (già succede alla Sapienza di Roma). Allora, come osserva Erbani, in conseguenza delle matematiche sommatorie, si potranno avere dei sedicenti Dipartimenti di Lettere antiche e moderne. Questo, dal punto di vista della ricerca, non vuol dire niente: infatti, non è risalendo così rozzamente dal particolare al generale che si possono meglio individuare temi e metodi di un´esplorazione scientifica più approfondita. Se vi aggiungete le funzioni didattiche, avrete la mirabile quadratura del cerchio: Dipartimenti tali e quali i Corsi di studio. Così, con mezzi molto semplici, si porta un attacco irreversibile alla ricerca italiana. In nome di che cosa? Ma, ovviamente, in nome del risparmio. Si conferma così, in questa come in molte altre occasioni, che il Ministro Gelmini è una povera, indifesa e incapace prestanome del SuperMinistro Tremonti, il quale, con una cifretta, mette in ginocchio il mondo universitario italiano, che lui ostentatamente odia. Un momento: non avevamo detto che la riforma Gelmini è ancora in discussione? Si apre qui il secondo capitolo, il più penoso, di questa inverosimile faccenda. Sì, è vero la riforma Gelmini è ancora in discussione. Nel frattempo, però, i Rettori di alcune delle principali Università italiane hanno deciso di anticiparla, dando inizio al suddetto processo di accorpamento dei propri Dipartimenti. I Rettori, fedeli interpreti della volontà governativa, contano sul fatto che, in questa fase, gli accorpamenti fra Dipartimenti avvengano per scelta (nella sostanza fortemente voluta e costrittiva, ma formalmente libera e volontaria) da parte degli stessi professori universitari interessati. Ultimissimo capitolo. Trattandosi di questioni che attengono alla possibilità maggiore o minore di svolgere ricerca, cioè di essere buoni ricercatori, buoni uomini di cultura, i professori universitari avrebbero dovuto fare le barricate. Invece si sono messi all´affannosa ricerca dei partners meno indigesti: se matrimonio d´interessedev´essere, almeno il muso dello sposo o della sposa non sia troppo orripilante. Se infine si aggiunge, come giustamente fa Erbani, che in seguito all´illuminata ispirazione del SuperMinistro Tremonti, su ogni cinque professori universitari pensionandi ne rientrano uno o al massimo due, un de profundis sembrerebbe la canzonetta più allegra per accompagnare le sorti prossime future della Università italiana.

giovedì 24 febbraio 2011

Le scope della ricerca

 da www.ilfattoquotidiano.it del 23.02.2011
 
 
Guido Possa (Milano, 15 gennaio 1937) è un politico italiano. Laureato in ingegneria meccanica nucleare presso il Politecnico di Milano, amico fraterno di Silvio Berlusconi, assieme al quale vendeva a domicilio scope elettriche…”. Inizia così la voce su Wikipedia dedicata all’onorevole Possa, ora presidente della Commissione Cultura del Senato, che l’altro giorno alla trasmissione Tutta la città ne parla” su Radio3, ci spiegava il concetto che il suo amico Silvio B. ci aveva già illustrato con queste semplici parole: perché dovremmo pagare uno scienziato quando facciamo le migliori scarpe del mondo? Nelle parole di Possa: “Vi è in atto un processo di contenimento dello spesa pubblica in tutti i paesi del mondo dunque è necessario tagliare… Bisogna concepire la ricerca come un formidabile processo internazionale in cui il nostro apporto è di qualche percento… Noi siamo un paese che ha limiti e bisogna prendere atto di questi limiti. Non possiamo assolutamente più pensare di essere un paese di serie A in tanti settori perché le ricerche sono condotte con mezzi che non possiamo permetterci.”

Possa ha il grande merito di essere finalmente chiaro, al di là delle chiacchiere del Ministro Gelmini, dei suoi acuti consiglieri e delle allodole che ci cascano, su quale sia l’idea che ha il governo sul ruolo dell’Italia nella ricerca, sulla meritocrazia e sull’eccellenza: l’Italia deve rinunciare a fare ricerca. Proprio un’ottima idea, che, infatti, questo governo ha perseguito con certosina pazienza e con una determinazione pari solo all’inesauribile ideazione di leggi ad personam: la riforma Gelmini è per il momento l’unica riforma promulgata da questo governo, e speriamo con il favore del vento del Nord Africa, anche l’ultima.

La maniera migliore di inquadrare il problema è quella storica. Giuseppe Saragat negli anni ’60 aveva espresso lo stesso concetto, come illustrato dall’interessante libro di Lucio Russo ed Emanuela Santoni “Ingegni minuti”, in una polemica con Felice Ippolito, che all’epoca aveva un ruolo centrale nel piano di costruzioni delle centrali nucleari, campo in cui l’Italia era all’avanguardia. Tra l’altro Saragat scrisse “Perché non aspettare che questa competitività sia realizzata da paesi che hanno quattrini?”. Il seguito di questa vicenda fu assai triste ed Ippolito fu anche ingiustamente accusato per irregolarità amministrative ed incarcerato. Quando Ippolito ricevette la grazia pochi anni dopo, nessuno era più interessato alla ricerca nucleare in Italia.

Era un buon argomento quello di Saragat? Non mi sembra, visto che oggi il nostro governo va a comprare, con il piattino in mano e la cenere in testa, le centrali nucleari dalla Francia (ma magari anche questa intenzione verrà spazzata via dal buon vento nord-africano). Inoltre la ricerca fondamentale è importante perché forma persone capaci di pensare, in grado di trasmettere conoscenze e formare le nuove generazioni (semplice ma al momento inconcepibile concetto che si chiama crescita culturale del Paese), e di affrontare problemi tecnologici, magari non estremi come quelli che si affrontano facendo ricerca di punta, ma che comunque hanno risvolti pratici immediati. Pensiamo alle persone che si sono formate a trattare nell’ambito della fisica delle particelle o dell’astrofisica, enormi quantità di dati: se domani si vorrà seriamente procedere all’informatizzazione della pubblica amministrazione, bisognerà far riferimento proprio a queste persone. Ma pensiamo anche al settore della meccatronica, ovvero a quelle piccole e medie imprese che costruiscono apparati meccanici in cui ci vuole un interfaccia elettronico.

Certo è che in Italia le imprese ad alta tecnologia sono oggi quasi del tutto scomparse, e con esse è calata significativamente la richiesta di personale specializzato. Sarà probabilmente questa una delle ragioni per cui la nostra classe imprenditoriale pensa che la ricerca sia un lusso inutile, ed infatti il finanziamento per la ricerca applicata da parte dei privati è anche a livelli infinitesimi. La questione dell’auto-referenzialità della ricerca è in questo senso un serpente che si morde la coda: l’unico riferimento rimane quello pubblico in quanto quello privato sta scomparendo. Per eliminare l’auto-referenzialità bisognerebbe eliminare la ricerca!

Ma c’è un’altra possibilità, ad esempio organizzando degli spin-off, ovvero creazione d’imprese a partire da idee brevettate, trasferendo i risultati della ricerca alle imprese attraverso i contratti di licenza. Ma il trasferimento di tecnologia richiede organizzazione sia a livello di università e di enti di ricerca che a livello normativo generale, e chiaramente bisognerebbe che ci sia qualcuno che se ne occupi. Per fare un esempio a caso, negli Stati Uniti la famosa Silicon Valley, dove vi è una concentrazione tra le più alte al mondo d’industrie ad alta tecnologia, si trova vicino alcune tra le più prestigiose università americane. Rispetto al modello del passato in cui erano le grandi industrie (ad esempio la chimica) o aziende particolarmente illuminate (ad esempio l’Olivetti, prima che venisse smantellata) a stimolare la ricerca, oggi può avvenire il processo inverso, che siano le piccole e grandi scoperte della ricerca a dare impulso alla creazione di piccole o grandi imprese. Ma di sicuro se si punta alla produzione di scarpe, si finirà per rimanere con le suole in mano vendendo le scope elettriche, magari fatte in Cina, del duo Berlusconi-Possa.

Comunicato unitario ADI et al.

Docenza Universitaria
COMUNICATO UNITARIO
ADI, AND, ANDU, APU, CISL-Università, CONFSAL-SNALS-Cisapuni,
ConPAss, COSAU (ADU, CIPUR, CISAL, CNRU, CNU), CPU, FLC-CGIL,
LINK-Coordinamento Universitario, RETE-29 aprile, SNALS-Docenti Università, SUN,
UDU, UGL-Università e Ricerca, UILPA-UR, USB-Pubblico Impiego

"9 punti per una riforma democratica e partecipata degli Statuti degli Atenei"




9 punti per una riforma democratica e partecipata degli Statuti degli Atenei

1. Elezione del Rettore: massima estensione dell’elettorato attivo per tutte le componenti universitarie in materia di elezione del Rettore.
L’elettorato attivo va esteso in misura massima a tutte le componenti dell’Università, attribuendolo quindi anche agli associati, ai ricercatori di ruolo e ai ricercatori a tempo determinato, al personale tecnico amministrativo, ai ricercatori precari, al personale contrattualizzato, ai lettori CEL e agli studenti, nelle forme più allargate possibili, in modo da permettere una vera riconoscibilità del corpo accademico tutto nella persona del Rettore eletto.
2. Democrazia Partecipativa: definire strumenti di forme di “partecipazione diretta” e vincolare l’Ateneo alla stesura di un bilancio sociale.
Per l’università l’autogoverno è insito nell’autonomia costituzionale riconosciuta all’Art. 33 della Carta, si tratta ora di declinare l’autonomia e l’autogoverno nella partecipazione effettiva dei soggetti . Né la L.168, né la L.240, né altra fonte legislativa pongono limiti alla possibilità di prevedere negli Statuti istituti di democrazia partecipativa che quindi possono e devono prevedere il coinvolgimento di tutte le componenti dell’Università, attraverso forme di partecipazione, di consultazione e di presentazione di istanze e proposte, così come già prevede, per esempio, il nuovo Statuto della Sapienza, che all’Art.1 comma 12, che parla addirittura di forme di “partecipazione popolare” definite attraverso un apposito regolamento. Dovranno essere esplicitamente previsti referendum consultivi, abrogativi e confermativi; delibere di iniziativa popolare; progettazione partecipata nel campo dell’edilizia universitaria; forme di bilancio partecipativo e di rendicontazione sociale partecipata. In particolare, l’inserimento del bilancio sociale come forma di rendicontazione sociale partecipata, per declinare la valutazione di sistema, come rapporto tra risorse umane e finanziare da una parte e obiettivi e fini istituzionali dell’ente dall’altra, di cui chi amministra e governa gli Atenei deve rendere conto all’intera comunità.
3. Senato Accademico: i pareri attribuiti dalla legge ai Senati Accademici, al comma 1 lt. e, su materie di competenza rettorale o del CdA, dovranno essere pareri non solo obbligatori ma vincolanti; così come vincolanti dovranno essere ritenuti i pareri relativi ai Regolamenti, la cui competenza in capo S.A. è chiaramente indicata al comma 1 lt.e. E’ quindi necessario allargare il più possibile le competenze del Senato Accademico e, soprattutto, garantire una composizione nella quale siano rappresentate adeguatamente tutte le componenti dell’ateneo.
4. Consiglio di amministrazione: prevedere che la “designazione o scelta degli altri componenti, secondo modalità previste dalla Statuto”, sia fondata esclusivamente su una procedura di elezione democratica dei componenti interni, secondo modalità da definire; la designazione potrà avvenire attraverso un decreto rettorale che recepisca la scelta effettuata dal corpo elettorale.
5. Consiglio di amministrazione: limitare al numero minimo, cioè tre, i membri esterni, individuandone i requisiti con avviso pubblico e puntando esplicitamente sulla qualificazione scientifica e culturale ed escludendo rappresentanti di aziende private, con missioni non compatibili con quella universitaria. Laddove sia possibile gli esterni andranno selezionati attraverso la votazione dell’intero corpo elettorale.
6. Regolamenti attuativi di Ateneo: affermare con determinazione la competenza del S.A. per l’approvazione di questi regolamenti e definire per la stesura dei regolamenti una o più commissioni rappresentative di tutte le componenti universitarie. Prevedere che la commissione, nell’ambito dell’attività istruttoria, debba svolgere audizioni con S.A., consigli di Facoltà, organizzazioni sindacali. L’insieme di queste previsioni potrà essere garantita nello statuto stesso in una norma transitoria. Inoltre nello statuto si possono indicare principi e criteri generali per la definizione di questi Regolamenti
7. Rappresentanza negli organi: confermare ampi spazi di rappresentanza e autogoverno per tutte le componenti universitarie, in particolare nei futuri Dipartimenti, e costituirne di nuovi – ad esempio in caso di attivazione di strutture di raccordo o scuole – nei quali garantire la partecipazione di tutte le componenti dell’ateneo.
8. Ricercatori a tempo determinato: prevedere all'interno dei nuovi statuti di Ateneo che ogni anno il numero di contratti da ricercatore a tempo determinato ex articolo 24, comma 3, lettera b (assegnati senza imporre limiti di età) non possa essere inferiore al numero di contratti da ricercatore a tempo determinato ex articolo 24, comma 3, lettera a) in essere, o in numero ad essi adeguatamente proporzionato (specificandone la percentuale minima). Si dovranno inoltre porre limiti precisi all’attività didattica dei ricercatori a tempo determinato nel loro primo triennio.
9. Precari della ricerca e della docenza: entro 4 anni e di concerto con le rappresentanze sindacali di ateneo, si deve dare attuazione letterale all’articolo 18, comma 5, della legge di riforma, ponendo fine al ricorso, per lo svolgimento di attività di ricerca all’interno dell’ateneo, a contratti precari diversi da quelli da ricercatori a tempo determinato (articolo 24 della legge) e dagli assegni di ricerca (articolo 22). In particolare, deve essere vietato qualsiasi ricorso a prestazioni di lavoro gratuite. I regolamenti di ateneo che disciplineranno le procedure per gli assegni di ricerca, i contratti per attività di insegnamento e i contratti da ricercatore a tempo determinato dovranno essere preparati da commissioni che includano anche rappresentanze di lavoratori precari.

16 Febb. 2011

mercoledì 23 febbraio 2011

Dalle facoltà alle super-Scuole, la rivoluzione che cambierà l'Ateneo

 da sito corrieredibologna.corriere.it del 23 febbraio 2011

Dalle 23 attuali di va verso cinque macro-aree di studio

Tutti agitati per il nuovo Statuto e la conseguente applicazione della riforma Gelmini. Il disegno della nuova carta costituzionale dell’Ateneo sta entrando nel vivo. Dopo l’assemblea d’Ateneo di giovedì scorso, la commissione di 15 esperti sta preparando una bozza con cui farà il punto in Senato accademico l’8 marzo e in Consiglio d’amministrazione il 15.
Lo ha annunciato ieri mattina in Senato lo stesso rettore, «presenteremo del materiale istruttorio, sarà una mutua audizione — spiega Ivano Dionigi —, alla fine del percorso il cda darà un parere ma sarà il Senato ad approvare il nuovo Statuto. Questo è l’organo deputato alla formazione e alla ricerca e lo Statuto dovrà essere lo strumento su cui far camminare ricerca, didattica, servizi agli studenti, l’input politico deve venire dal Senato». Ai primi di marzo iniziano i 45 giorni di audizioni della commissione con tutte le componenti universitarie, quindi i successivi 45 giorni saranno dedicati ai dibattiti nelle facoltà e nei dipartimenti. L’approvazione del nuovo testo deve avvenire entro il 29 luglio: così prevede la legge Gelmini.
Accesissimo il dibattito attorno agli accorpamenti dei dipartimenti. L’Ateneo ha deciso che nel 2013 devono avere almeno 50 membri ognuno, «attualmente solo 20 sui 68-70 dipartimenti rispondono a questo requisito», ha ricordato il rettore. Sono tre le aggregazioni già nate: Filologia classica e italianistica a Lettere, il Dicam (ingegneria civile, ambientale e dei materiali) a Ingegneria e Scienze mediche veterinarie a Veterinaria. Molto altro sta bollendo in pentola. Partiamo dall’area umanistica. Per le Storie c’è una prima ipotesi di unirle tutte (dall’antichità al contemporaneo) insieme ad Archeologia e una seconda che prevede un dipartimento di storia (dall’antichità al medioevo) più archeologia e un dipartimento del contemporaneo. Si ragiona di unire Musica e spettacolo ad Arti visive, Comunicazione, Studi linguistici orientali e Architettura che però andrà probabilmente con un’Ingegneria. I filosofi resteranno da soli, e ci provano anche quelli di Beni culturali. L’area medica dipende dall’assetto dei dipartimenti assistenziali, ed è una partita a sé. A Scienze resta Matematica, a cui potrebbero unirsi i matematici delle scienze sociali, così come Fisica, che dovrebbe annettere Astronomia e forse Scienze geologiche. Ancora dubbi sull’unione tra Scienze dell’informazione e gli informatici del Deis di Ingegneria. Grandi incognite infine, sul matrimonio tra i dipartimenti di Scienza politica e di Politica, istituzioni e storia.
Il primo cambiamento prodotto dalla riforma Gelmini è l’allungamento automatico del rettorato di Dionigi, che resta in carica fino al 2015 (il suo primo mandato sarebbe scaduto nel 2013). La nuova legge interviene forzatamente nel disegnare il futuro assetto dell’Ateneo, che sarebbe comunque cambiato: Dionigi voleva la riforma dello Statuto, varato nel ’93 e disegnato da Marco Cammelli, testo su cui per ben due volte il precedente rettore Pier Ugo Calzolari aveva tentato di intervenire. Il 30 marzo scorso il Senato e il cda hanno nominato la commissione, formata da 15 persone indicate dal rettore, che ne è presidente: ne fanno parte due studenti, due tecnici-amministrativi e dieci professori ordinari. Solo da gennaio, con l’approvazione della Gelmini, i lavori sono entrati nel vivo. «Non riformiamo per sanare il bilancio o contenere la spesa — ha spiegato Dionigi nell’assemblea d’Ateneo della scorsa settimana —, lo Statuto andava fatto comunque, dovevamo migliorare e cambiare, Gelmini o no. E non può essere un’operazione al ribasso, abbiamo gli occhi addosso dalle altre università».
Il consiglio d’amministrazione avrà funzioni di indirizzo strategico e più poteri rispetto ad oggi: sarà formato al massimo da 11 membri (Bologna ora ne ha 23), e potrà avere 3 componenti esterni («attualmente ce ne sono 5, e si parla di membri esterni non privati», fa notare il rettore). Il Senato sarà composto al massimo di 35 membri (Bologna oggi ne ha 42). Il cambiamento più radicale riguarderà le strutture, ovvero facoltà e dipartimenti. Le facoltà come le conosciamo oggi spariranno, al loro posto ci saranno le scuole che, impone la legge, devono essere al massimo 12 (previste però deroghe per gli atenei più complessi). La commissione Statuto sta vagliando varie ipotesi, tra cui quella di accorpare le attuali 23 facoltà in 5 scuole: area delle scienze umanistiche, della medicina, dell’ingegneria, politologica giuridica ed economica e infine delle scienze. Il dibattito è acceso.
Marina Amaduzzi
23 febbraio 2011

martedì 22 febbraio 2011

Assegni di ricerca e dottorati: tutto bloccato

 da www.step1.it del 22.02.2011

"L’esordio della legge Gelmini sta provocando il caos. L’abolizione dei vecchi assegni di ricerca della legge 449/97 e dei vecchi contratti a TD della legge 230/05 ha portato le università e il CNR a lanciarsi in interpretazioni fantasiose. Addirittura, si è arrivati a sostenere l’impossibilità di procedere ai rinnovi di assegni e contratti a TD già previsti dai bandi originari e a fermare le procedure di svolgimento dei concorsi e quelle di presa di servizio per i vincitori di assegni di ricerca banditi precedentemente all’entrata in vigore della legge. Chiediamo al MIUR di intervenire quanto prima attraverso una nota che smentisca in maniera inequivocabile tutte queste affermazioni, chiarendo definitivamente che la legge impedisce l’avvio di nuovi bandi, ma non può in alcun modo applicarsi alle procedure e ai contratti banditi precedentemente alla sua entrata in vigore. Si deve assolutamente porre fine ad una situazione che sta creando incertezza e sta arrecando a tutti i lavoratori precari coinvolti enormi danni sia sul piano professionale che su quello economico". Così il Coordinamento dei Precari della ricerca e della docenza lo scorso 3 febbraio. Il ministero dell'università, così sollecitato, fa sapere che è tutto bloccato in attesa delle norme attuative della legge Gelmini (240/2010), aggiungendo che "i rapporti in essere continuano a produrre effetti fino alla loro scadenza". Ma intanto gli atenei non potranno programmare nulla. Nessuna programmazione è possibile anche per i dottorati di ricerca. La legge 240 ha infatti annullato la possibilità di bandire il 50% dei posti di dottorato senza borsa (di questa opportunità iniziavano ad avvalersi soprattutto docenti di ruolo nella scuola). L'Associazione dei dottorandi si chiede "se ciò si può tradurre in una liberalizzazione dei posti privi di borsa o se questi, invece, verranno del tutto eliminati". La Gelmini assicura che la questione verrà regolata col un apposito regolamento sui dottorati di "imminente emanazione". In assenza di questo regolamento le università e gli eltri enti di ricerca non potranno bandire nuovi concorsi per dottorato. L'ADI (Associazioni Dottorandi e Dottori diRicerca Italiani) ha denunciato il fatto che "il blocco dei dottorati fa il paio con il blocco delle procedure di attribuzione degli assegni di ricerca". Sempre sul sito web dell'ADI si può leggere il documento dei dottorandi su 10 PUNTI PER LA REVISIONE DEGLI STATUTI.

lunedì 21 febbraio 2011

Università, allarme per 33 atenei su 66 tra conti in rosso e blocco assunzioni

di Alessandra Migliozzi        pubblicato su www.ilmessaggero.it
ROMA - Blocco delle assunzioni e conti in rosso. È quanto rischiano oltre la metà (36 su 66) delle università pubbliche italiane dove potrebbero andare in fumo le speranze di chi era a un passo dall’assunzione. E anche una parte dei 1.500 posti da associato all’anno annunciati dal ministro Gelmini con la riforma dell’università. Colpa del Milleproroghe: quest’anno non ci sono i cosiddetti ‘sconti’, le attenuazioni delle spese per il personale che consentivano agli atenei di tenere i conti in regola. Dal 2004 è sempre stata prevista la possibilità di scorporare dagli assegni fissi per gli stipendi una parte dei salari dei dipendenti delle facoltà di Medicina che operano anche nel Servizio sanitario nazionale. Erano ‘scontati’ pure gli scatti periodici e le convenzioni con enti esterni. Un trucco contabile ha consentito agli atenei di non usare più del 90% del contributo statale (l’Ffo) per pagare i dipendenti e alla sanità pubblica di spendere meno per il personale.

Ora però chi va sopra il limite massimo del 90% incappa nel blocco delle assunzioni: lo prevede la legge 1 del 2009 della Gelmini. La norma puntava a colpire gli atenei spreconi, adesso rischia di sparare nel mucchio. Secondo una tabella della Flc Cgil sono 36 le università che sforeranno il 90%. I dati sono riferiti all’Ffo del 2009, fondo che nel 2010 è stato tagliato ulteriormente. A Roma il problema riguarda la Sapienza e Tor Vergata. A Napoli la Federico II, l’Orientale, la Seconda università. Stessa musica all’università di Siena, all’università statale di Torino, alla statale di Milano e nell’ateneo dell’Aquila.

«La riforma Gelmini - spiega Enrico Decleva, presidente della Conferenza dei rettori, Crui - prevede che entro 12 mesi i ministeri dell’Economia e dell’Università emanino un decreto per rivedere il limite del 90% e la materia relativa alla contabilità delle università. Chiediamo che questo decreto venga emanato nei tempi o la situazione sarà ingestibile. Le assunzioni per lo più rischiano di bloccarsi dal 2012, ma in qualche ateneo potrebbero interrompersi subito. Inserire gli sconti nel Milleproroghe avrebbe rappresentato una clausola di salvaguardia per gli atenei». Le attenuazioni delle spese «non sono un regalo alle università - fanno notare dagli atenei - I nostri medici offrono il proprio operato al servizio sanitario e le Regioni pagano solo una integrazione (pari a un terzo dello stipendio, ndr) che spesso gli atenei anticipano e che ritorna in cassa con molta lentezza o anche mai».

I rettori sono sul piede di guerra. Alla Camera il Pd, spiega il deputato Giovanni Bachelet, «ripresenterà l’emendamento sugli sconti che al Senato non è stato ammesso». Ma il Milleproroghe è blindato. Il problema dello stop alle assunzioni riguarderà da subito una decina di atenei. «Se me le bloccano sono pronto a fare ricorso al Tar perché i miei conti sono in regol a- annuncia il rettore della Sapienza Luigi Frati - A noi peraltro sono addossati impropriamente gli oneri per i pagamenti di infermieri e portantini del Policlinico Umberto I. Finalmente verrà fuori che chi ci deve dare i soldi non lo fa e che intanto il governo ci taglia i fondi statali. E’ un bene che gli ‘sconti’ siano saltati: erano una truffa. Voglio vedere se le cose si metteranno a posto».

A Tor Vergata è allarme: «Siamo una università giovane - commenta il rettore, Renato Lauro - non ci salviamo nemmeno con i pensionamenti: ne abbiamo pochi. Se sforiamo il 90% non potremo fare concorsi né implementare i servizi. Eppure avevamo avuto dei premi dal ministero come ateneo virtuoso». A Tor Vergata per fare cassa si pensa già ad un aumento delle tasse: 100 euro in più per studente. Il rettore dell’ateneo di Foggia, Giuliano Volpe, annuncia: «Giovedì prossimo in Conferenza dei rettori solleverò il caso. Le università vengono penalizzate su più fronti: prima ci tagliano i fondi, poi chi ha una facoltà di medicina, anche se con il suo personale fa risparmiare il servizio sanitario nazionale, ci rimette, perché anticipa le integrazioni di stipendio dovute dalle Regioni, le rivede tornare indietro con enorme ritardo e va fuori di bilancio perché gli vengono messe pure a carico come spesa interna, anche se non lo è».

domenica 20 febbraio 2011

Stagisti Regione Calabria 2008: l'odissea continua

pubblicato da una rappresentanza di stagisti su www.news.it il 17.02.2011


Reggio Calabria. L’odissea dei poveri sventurati dottori plurititolati del Programma Stages 2008 continua e senza spiragli all’orizzonte. A tre mesi dall’entrata in vigore della legge regionale n. 32/2010, votata all’unanimità, che sostanzialmente garantisce un incentivo di 10.000 euro per ogni stagista che un ente pubblico intenda contrattualizzare e che prevede, altresì, sempre in favore degli ex stagisti, la realizzazione, di percorsi integrati (anche individuali) di orientamento, di alta formazione e di inserimento occupazionale, con risorse provenienti dai fondi comunitari strutturali, cosa si è concretizzato di tutto ciò? Nulla. Il tutto si sta scontrando con una realtà drammatica della nostra terra: l’inettitudine e l’incompetenza della Pubblica Amministrazione calabrese. Procediamo per gradi. Il meccanismo delle legge n. 32/2010 prevedeva, in primis, un avviso pubblico rivolto ai soggetti pubblici interessati a contrattualizzare i dottori già impegnati nel programma stages. Tale avviso è stato pubblicato sul Burc n. 3 del 21 gennaio 2011, ma è del tutto inutile perché ad oggi non è stato ancora pubblicato l’elenco degli stagisti che hanno concluso con esito positivo il programma, previsto dalla legge regionale. Elenco indispensabile affinché i soggetti pubblici possano operare una scelta degli stagisti da contrattualizzare, in assenza del quale il meccanismo dell’avviso si blocca. Beh, a chi si chiede che fine abbia fatto questo elenco, l’immaginazione più estrema non basterà per capirlo. Dopo vari ritardi delle Università nel trasmettere al Consiglio Regionale i dati dei dottori coinvolti ed i loro relativi libretti formativi, il Consiglio ha provveduto prontamente a girare gli elenchi al Dipartimento 10 della Regione Calabria “Politiche del Lavoro, Formazione Professionale e Politiche Sociali”, incaricato degli adempimenti burocratici. Il Dipartimento 10 ha fatto pubblicare sul Burc degli elenchi assolutamente incompleti, dimenticando un intero ambito di stagisti (ed io pago!). Era l’8 febbraio, per cui, dopo aver fatto presente la cosa a tutti i protagonisti della storia, si è ottenuta una rettifica dell’elenco presente in preinformazione sul sito della Regione Calabria e si sta sollecitando quotidianamente la pubblicazione sul bollettino che dia ufficialità all’elenco. Ogni giorno puntualmente si ricevono rassicurazioni da qualcuno del Dipartimento 10 circa la pubblicazione, ma ad ogni bollettino il nostro elenco non risulta. Cosicché stamani esasperati ci siamo personalmente recati in Dipartimento, intercettato nel parcheggio l’impiegato che si occupa del nostro elenco, siamo stati liquidati con la rassicurazione (l’ennesima) che il tutto era stato trasmesso il 14/02 e quasi sicuramente, salvo problemi tecnici, sarebbe stato pubblicato sul Burc di questo venerdì. Non contenti siamo andati ad accertare la cosa presso la sede del Bollettino Ufficiale, ma l’impiegato che si occupa di mandare in stampa i documenti, molto disponibile e cortese, ci ha gelato dicendo che non potevano pubblicarlo. Il motivo è presto detto: era errata la nota di rettifica a corredo del nuovo elenco, giunto nel pomeriggio del 15/02 (non il 14), che loro ovviamente non possono modificare arbitrariamente. Come abbiamo potuto vedere coi nostri occhi strabiliati anziché riportare “Si annulla la precedente pubblicazione…”, diceva “Si chiede di annullare (a chi?) la precedente pubblicazione…” L’errore ed il suggerimento per la correzione dal Burc era stato prontamente comunicato via fax il 16/02 (abbiamo visto la ricevuta del fax) e stamattina, dopo aver chiesto di posticipare la stampa, l’impiegato era andato personalmente in Dipartimento per recuperare la nuova nota, ma ovviamente questa non era pronta ed è stata rinviata “forse” a lunedì perché probabilmente non c’era chi doveva firmarla. Il nostro elenco quindi FORSE sarà pubblicato sul Burc n° 7 del 25/02, ma solo se il Dipartimento 10 si degnerà di trasmettere la nota di rettifica corretta. Tutto questo è a dir poco scandaloso. Fermare un procedimento amministrativo che lascia sospesi 350 giovani per l’incapacità di scrivere una banale lettera di accompagnamento o di ricopiare un elenco in maniera corretta è una immagine drammatica della nostra Pubblica Amministrazione. A tutto ciò ci sentiamo di aggiungere che il procedimento precedentemente descritto, quando e se avrà mai un esito, servirà soltanto a far si che gli ex stagisti fortunati ad essere scelti dagli Enti Locali possano avere un contratto di circa 500 euro al mese per un anno. Attualmente, inoltre, la copertura finanziaria in bilancio regionale è di soli 550.000 euro (quella nella legge n. 32/2010 è di 3.500.000 euro), ovvero quella necessaria a contrattualizzare soltanto 55 ex stagisti su 350, ma su questo siamo fiduciosi delle rassicurazioni di integrazione pervenute dal Consiglio Regionale che di certo è stato per noi un interlocutore più corretto ed attento. Per quel che concerne poi la procedura indicata al punto 6 della l. r. n. 32/2010, che cita testualmente “La Regione si impegna, altresì, ad incentivare, da parte di soggetti pubblici e privati nei confronti degli stagisti, la realizzazione, di percorsi integrati (anche individuali) di orientamento, di alta formazione e di inserimento occupazionale, con risorse provenienti dai fondi comunitari strutturali”, c’è solo da stendere un velo pietoso, perché ad oggi, parlando con l’avvocato Bruno Calvetta, dirigente generale del Dipartimento 10, non è stato ancora avviato alcun percorso. E stante i presupposti precedentemente descritti forse per il 2050 ce la faremo!

sabato 19 febbraio 2011

Un taglio al futuro

 dal sito www.step1.it
di Agata Pasqualino | 19/02/2011 |

Presentato giovedì alla libreria Feltrinelli, il libro “Un taglio al futuro” di Sebastiano Gulisano, analizza e mostra tutte le criticità della riforma Gelmini dando voce a chi la vive e la subisce. Step1 ha intervistato l’autore

Sono le storie di chi vive all’interno del sistema dell’istruzione italiana le protagoniste di “Un taglio al futuro”, il libro del giornalista Sebastiano Gulisano, che analizza le conseguenze della riforma Gelmini, attraverso le voci e le facce di studenti, presidi, docenti e ricercatori. Lo abbiamo intervistato in occasione della presentazione del volume, che si è tenuta giovedì alla libreria Feltrinelli di Catania.

Il libro si apre con un riferimento alla Costituzione italiana. In che senso la riforma della Gelmini la viola?
Innanzitutto, il decreto dal quale parte la controriforma, perché in questo non si può parlare di riforma, è economico-finanziario e non è neanche firmato dalla Gelmini, perché è una legge di assestamento di bilancio e quindi l’istruzione non c’entra nulla. In questo decreto viene inserito un articolo che permette di scardinare la legislazione esistente e di fare le riforme tramite regolamenti che non sono soggetti al voto parlamentare, ma al parere consultivo delle commissioni. Inoltre, la filosofia che c’è dietro questi regolamenti di fatto penalizza gli ultimi, i più deboli. L’articolo 3 della nostra Costituzione affida alla Repubblica “il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale tra i cittadini”;a la scuola della Gelmini, e non solo, quella degli ultimi 15 anni, fa diventare invece l’istruzione una corsa a ostacoli. La scuola è l’unico elemento che può consentire la mobilità sociale, ma oggi non è più così. I figli di chi non è laureato difficilmente raggiungeranno la laurea e già quest’anno molti non hanno potuto iscriversi all’università. Poi c’è l’articolo 34, per cui “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. La Gelmini parla sempre di meritocrazia, però in due anni ha tagliato il 90% delle borse di studio.

I protagonisti del libro, più che i numeri e le statistiche, sono i volti e le vicende di chi vive la scuola e l’università. C’è una storia che l’ha colpita più delle altre e che trova emblematica della situazione?
Quello che ho cercato di fare nel mio libro è raccontare le ricadute reali della controriforma sul sistema della scuola, dell’università e della ricerca, attraverso la voce di chi il mondo dell’istruzione lo vive, e cioè studenti, docenti, ricercatori, sindacalisti, che, tra l’altro, non hanno avuto la possibilità di dire la propria, per via di quel processo per cui un decreto legge finanziario viene convertito in legge in 40 giorni senza possibilità di confronto parlamentare. Mi hanno colpito tutte le storie. Forse la più forte è quella di Fabio Passiglia, il dirigente scolastico della scuola elementare di Brancaccio di Palermo che racconta cosa vuol dire oggi lavorare in una scuola di frontiera, in una zona a rischio come Brancaccio che è stato il quartiere di Don Pino Puglisi oltre che dei fratelli Graviano. Mi ha colpito anche che i racconti di tutti gli universitari che ho intervistato avessero in comune due parole: futuro e estero. A prescindere dalle diverse esperienze personali, si ripeteva in tutti il pensiero di non avere futuro in questo paese e di doverlo cercare all’estero.

Come è stato accolto finora il libro dagli addetti ai lavori?
Ho avuto riscontri positivi perché, nonostante sia un instant book, fatto in un mese, rende bene l’idea di cosa sta succedendo nel sistema dell’istruzione italiano.

“Un taglio al futuro” è appunto un’istantanea delle conseguenze dei provvedimenti della Gelmini. Ha pensato alla possibilità di un secondo volume che ne racconti l’evoluzione?
Sto accarezzando quest’idea, in realtà. Ho comunque continuato a seguire le manifestazioni, le ricadute, il movimento degli studenti e in parte li ho documentati con la fotografia, passione che coltivo da qualche anno. Credo sia importante raccontare quali risposte sono state scelte da studenti, insegnanti e ricercatori per contrastare l’effetto devastante della controriforma dopo la sua approvazione, e c’è anche l’aspetto giuridico da analizzare, i tantissimi pronunciamenti di TAR, fino alla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha sconfessato le scelte del ministro e di questa maggioranza di Governo.

Durante la presentazione del libro uno dei relatori, il professor Antonio Pioletti dell’Università di Catania, ha detto che anche prima della Gelmini l’università non piaceva. Si doveva toccare il fondo per scuotere gli insegnanti, i ricercatori e gli studenti italiani e farli scendere in piazza?
Credo che l’abitudine di non contestare sia legata ad un’involuzione che ha riguardato il nostro paese negli ultimi quindici anni. Provo, però, a mettermi nei panni di uno studente che va a scuola, all’università, per studiare, formarsi, laurearsi e non per scioperare e contestare. Il punto è che negli ultimi due anni era impossibile non farlo, perché quel sistema che già non piaceva, è stato letteralmente massacrato. Per esempio, c’è chi con la laurea triennale era riuscito a diventare ricercatore e che all’improvviso si ritrova a causa della riforma con un contratto che non vale più, per legge. Cioè questi, invece di immettere gente nel mondo del lavoro, la espellono, per legge. Le riforme prendono anni, loro si sono mossi come fossero degli schiacciasassi e anche per questo non penso che sia finita qui, ci saranno certamente delle conseguenze anche sul piano giudiziario.

giovedì 17 febbraio 2011

Professore, che tipo sei?

Come i modi d'essere dell'Accademia italiana e gli elementi caratteriali individuali possono determinare il destino scientifico ed umano di un universitario
Ce lo spiega, fra il serio e l'ironico, un libro di Francesco Attena.

(nota pubblicata su mezzoeuro di Maggio 2009)




Sono le particolari caratteristiche di una data professione che attirano e selezionano gli individui ad essa costituzionalmente predisposti, oppure è la sub-cultura caratteristica di tale professione che spinge gli individui ad assumere una particolare configurazione caratteriale? Per fare il pompiere occorre una dose di coraggio innato; l'apparente cinismo dei medici può essere considerata una inevitabile conseguenza dell'essere a continuo contatto con malati e malattie.

Parte da questa semplice considerazione Francesco Attena (Napoli 1952), Professore Ordinario di Igiene generale ed applicata presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della Seconda Università di Napoli,  per analizzare il processo di integrazione nell'istituzione accademica e capire se essa comporta, come prezzo da pagare, una qualche forma di degenerazione psicopatologica. Il suo libro "psicopatologia della carriera universitaria"  (Philos edizioni - Roma - 1995 - ISBN88-86589-2-6) fa ricorso alle categorie descrittive ed al linguaggio della psichiatria, alternando ironia a riflessione seria, per descrivere il variegato e, alcune volte, anche divertente microcosmo universitario, mettendo in evidenza vizi e debolezze dei singoli membri dell'Accademia italiana.

E' un libricino di 80 pagine circa che leggo spesso dal 1997 ed in cui riesco ad individuare sempre la descrizione dei miei comportamenti e di quelli dei vari colleghi che durante l'ormai ventennale carriera ho avuto occasione di incontrare nelle situazioni più diverse, sia nel ruolo di precario prima, di docente e ricercatore dopo, sia nello svolgimento dei compiti di amministratore dell'Ateneo. Ho potuto notare come una combinazione fra i vari tipi e sottotipi descritti da Attena riesca sempre a rappresentare molto bene il singolo accademico che si ha di fronte. Se si conosce la storia di quella persona si può anche cercare di tracciare la sua evoluzione nel tempo fra tali tipi e sottotipi e notare come gli eventi si siano frequentemente intrecciati con le sue note caratteriali di base. Ho potuto constatare come, sia presso l'UniCal, sia in qualsiasi altra sede italiana, le cose si ripetano con una similitudine impressionante. Si riescono a capire meglio molti degli attuali mali dell'Università italiana e si può verificare come comportamenti individuali e collettivi, innati o acquisiti, possano spiegare certe degenerazioni, ma anche chiarire da dove provenga quella forza che riesce a mantenere la barca a galla, spesso ottenendo risultati sorprendentemente eccellenti. Si capisce meglio la differenza fra il sistema italiano e quelli degli altri nostri "competitors". europei, giapponesi, statunitensi, ma anche indiani, cinesi, etc. Confrontandosi con greci, argentini, spagnoli, si notano invece analogie sia nei vizi, sia nelle virtù.

Cerco di riassumere i contenuti più significativi, ed alcune volte ironici, del volumetto. Oramai nella nostra Regione il numero dei docenti e dei ricercatori universitari comincia ad essere "statisticamente" significativo. Una volta era quasi impossibile trovare una famiglia in Calabria senza un ferroviere, adesso comincia ad essere praticamente impossibile non avere un parente o un amico che insegna o ricerca nell'Università, sia con un incarico di ruolo, sia con una delle varie forme di collaborazione (assegnista di ricerca, ricercatore e/o docente a contratto, etc). Chiunque, può, quindi, cercare di identificare fra le varie descrizioni il suo conoscente, oppure a se stesso, e verificare se Attena  riesca, almeno parzialmente, a ricostruire la tipologia accademica cui sembra appartenere, cercando anche di capire se l'attività e l'ambiente che frequenta tale conoscente lo abbia o meno modificato nel tempo.

Attena divide i comportamenti degli universitari secondo tre sottotipi abbastanza stabili, in quanto fortemente collegati alle note caratteriali di base che l'individuo ha sviluppato prima di intraprendere la carriera universitaria, o che sono addirittura innate (per questa stabilità a me piace partire dal sottotipo e non dal tipo, come invece avviene nel libro). Ci sono il sottotipo classico, lo spregiudicato e quello critico. Esistono. inoltre, quattro sindromi o "tipi" che, invece, evolvono nel tempo e sono individuate come: neofita, narcisista, dissociato ed involuto. Esse seguono lo svilupparsi della carriera universitaria e sono fortemente legate al raggiungimento (o meno) delle varie tappe accademiche, dall'apprendistato alla pensione.


SINDROME/SOTTOTIPO
CLASSICO
SPREGIUDICATO
CRITICO
NEOFITA
Neofita classico
Neofita spregiudicato
Neofita critico
NARCISISTA
Narcisista classico
Narcisista spregiudicato
-------------------
DISSOCIATO
Classico impegnato
---------------------
Critico disimpegnato
INVOLUTO
Classico demenziale
Spregiudicato paranoide
Critico schizoide

La tabella riepiloga le varie combinazioni di base. Si nota che alcune combinazioni sono considerate praticamente impossibili da verificarsi e lo capiremo dalle descrizioni successive. Ovviamente, sono poi possibili coesistenze di combinazioni per cui ci si può trovare in una via di mezzo fra due combinazioni adiacenti. Così come sono possibili eventi, alcune volte anche traumatici, altre volte fortunosi, che possono far saltare da una combinazione ad un’altra, per cui una stessa persona può essere catalogata, in fasi diverse della sua vita accademica,  in due modi apparentemente contrastanti. Io stesso sono "saltato" (o almeno credo) dal neofita classico, al neofita critico per poi evolvere verso una via di mezzo fra il narcisista classico ed il classico impegnato. Mi sembra di avere eguali probabilità di divenire (con molta calma però, senza fretta!) classico demenziale o critico schizoide.

Il neofita è in genere il giovane ricercatore o il perseverante volontario con speranza di inserimento che esprime tutto l'entusiasmo di inizio carriera. Nella variante classica subisce abbastanza passivamente le varie forme di addestramento, Rispetta i superiori. Mostra totale fedeltà all'Istituzione ed allo specifico gruppo di appartenenza. Manca di un forte potere critico, ha spesso una limitata cultura generale ma un'alta conoscenza specialistica. La sua massima aspirazione è spesso quella di poter trascorrere un periodo di studio negli "States". Ha fede cieca nell'utilità della scienza, ritiene onnipotenti gli strumenti analitici della ricerca. L'indottrinamento è quello più funzionale all'Istituzione e, fra l'altro, include piena fedeltà ed obbedienza al "maestro". Fa i lavori più umili in attesa della catarsi, cioè il pieno inserimento nel mondo universitario, ed allora potrà sperimentare l'inversione dei ruoli presentando il conto delle proprie sofferenze ai nuovi adepti.
Se, invece, appartiene al sottotipo "spregiudicato" si comporta in modo più utilitaristico e meno ingenuo. Infine se è il sottotipo "critico" mostra generalmente, oltre ad un significativo spirito critico anche una buona cultura generale. Mostra il dissenso ancora non in forma esplicita e pienamente cosciente e vive in una situazione di integrazione-dissociazione che può comportare anche qualche squilibrio emotivo e qualche somatizzazione organica.
E' abbastanza intuitivo che le forme di selezione accademica, che adottano spesso un processo darwiniano in cui tende a sopravvivere il più adatto al sistema, favorisce il neofita classico. Lo spregiudicato può passare attraverso le maglie se riesce a cammuffarsi da agnello pur essendo fondamentalmente un lupo. Il sottotipo critico ha difficoltà ad entrare, sia per scelta propria, sia per risposta negativa del sistema. La facilità di passaggio del neofita classico è legata anche all'alta probabilità di essere giudicato da accademici che provengono dalla stessa categoria.

Il narcisista è generalmente il neofita cresciuto, divenuto maturo ed accettato dal sistema. Oramai l'entusiasmo è divenuta routine, la curiosità certezza, la fede nella scienza addirittura fede in se stesso. Il narcisista fa proprio questo sillogismo "l'Università (e più in generale la scienza) è il faro culturale dell'umanità; io sono un suo autorevole rappresentante; ergo: io sono un faro culturale dell'umanità" Da qui si comprende facilmente la grande sicurezza in se che lo porta ad esprimere opinioni su tutto, conferendo alle proprie affermazioni lo status di certezza. E' generalmente ben inquadrato nel sistema e poiché tende a mantenere invariate norme e regole accademiche, facilmente lo ritroviamo direttore, presidente di consiglio di corso di laurea, preside, membro di commissione, consigliere di amministrazione. Non esiste il narcisista critico per evidente incompatibilità del tipo e del sottotipo. Se è del sottotipo classico mantiene un'immagine immacolata del proprio lavoro, è onesto intellettualmente e comportamentalmente. E' in pratica il classico accademico ascoltato e stimato che dispensa consigli e piaceri disinteressatamente. Il suo tornaconto è quasi sempre il piacere di essere ammirato e rispettato. Se è "spregiudicato" diverrà abile mediatore, scaltro consigliere, infido tessitore di alleanze. Generalmente non ama apparire e gestisce il suo potere nell'ombra.  Gli interessano soprattutto prestigio, potere e soldi. I due tipi possono entrare in conflitto, ma più frequentemente tendono a vivere in simbiosi. Il classico sta sotto i riflettori e gode dell'ammirazione che gli si presta, il secondo sta nella sua ombra e, apparentemente all'insaputa del primo, tesse trame a suo vantaggio e/o del gruppo cui anche il classico spesso appartiene.

Il dissociato non può essere un sottotipo "spregiudicato" perchè deve aver prima nutrito ideali che una crisi di identità deve aver messo in discussione, oppure deve essere stato già critico per sua natura. Questa sindrome, infatti, si presenta in un neofita classico, passato o meno dalla fase narcisistica, in cui qualche evento ha fatto prendere coscienza che la sua visione ideale della scienza non ha perfetta rispondenza nella realtà. Forse aveva covato questo dubbio in modo inconsapevole ed adesso non riesce a negare l'evidenza. Se proviene dal neofita critico, l'evoluzione è naturale. Il sistema lo ha accettato ed ha accettato anche il suo spirito critico. Se deriva dal sottotipo classico c'è il pericolo che cominci a rifiutare dogmaticamente tutto ciò che è "sapere certificato" e che prima accettava con altrettanta convinzione. Se non cade in questa trappola, diviene un "classico-impegnato". Si batte contro l'ottusità delle istituzioni, ricerca forme di impegno alternativo. E' instancabile e perseverante. Difficilmente perde il suo amore per la verità scientifica. Non mostra più quella sicurezza di prima e preferisce il dialogo al monologo. Cerca di coinvolgere nuovi adepti. Frequentemente, però, accade che il suo lavoro non raggiunge gli obiettivi previsti. Se i tentativi che falliscono raggiungono un numero insopportabile può degenerare verso il classico demenziale oppure verso il critico schizoide. Il sistema però può riuscire ad inglobarlo e, perdonandogli la sua fase di momentanea ribellione, lo riporta ad un normale anonimato (la pecorella smarrita che ritorna all'ovile!). Se il dissociato è del sottotipo critico cerca di costruirsi una nicchia in cui vivacchia e tende a manifestarsi disprezzando, provocando e sbeffeggiando il sistema, sapendo ritornare però ubbidiente al momento opportuno. Il dissociato classico in pratica è impegnato a criticare il sistema per migliorarlo, quello critico si accontenta spesso di una critica fine a se stessa.

Arriviamo infine alla sindrome involutiva. E' l'evento più triste nella vita di un universitario. La residua felicità di un universitario involuto è principalmente affidata alla benevolenza ed alla tolleranza di coloro che lo circondano. La sindrome involutiva auspicabile è quella legata solo all'età, ma esistono forme involutive legate ad eventi traumatici (i.e. la bocciatura in un concorso che si era sicuri di vincere, l'improvvisa scoperta delle disistima da parte di persone di riferimento scientifico, etc.), oppure legate a stress lavorativo (può colpire facilmente coloro che per spirito di servizio o per sete di potere o di protagonismo, hanno cumulato impegni didattici, scientifici e istituzionali che, accavallandosi, portano la persona all'esaurimento), o ancora all'aver maturato che il proprio lavoro non ha quell'enorme utilità sociale di cui si era convinti. Se l'involuto è "classico" abbandona lentamente i problemi sostanziali e si attacca alle minuzie (gli auguri al collega, il perfetto funzionamento della fotocopiatrice, etc.). In quei rari casi in cui è del tipo "spregiudicato" (piuttosto immune dalla sindrome involutiva) diviene sempre più sospettoso, vede trame contro di lui dappertutto. Più frequentemente, però, si rende conto che la sua vita precedente ha fatto cumulare tante di quelle inimicizie accademiche che difficilmente lo tollererebbero e va in pensione anticipata, oppure si rifugia in una anonima nicchia operativa. Se è  "critico"  è ben tollerato, soprattutto perchè nel passato non ha quasi mai ricoperto posizioni di responsabilità. Diventa il classico professore stralunato, distratto, incoerente e quasi sempre mansueto.

Il libro di Attena si sofferma anche su etiopatogenesi, diagnosi, terapia e prevenzione. Simpatica la terapia che prevede uno "stage" periodico consistente in un radicale cambiamento di ruolo professionale e sociale, tipo una settimana all'anno di lavoro umile da lavapiatti.

C'è un capitolo però che è importante per comprendere molti dei mali dell'Università italiana. Il capitolo riguarda i "deliri accademici". Sono tre: il delirio burocratico, quello scientifico e, soprattutto quello bellico.

Il delirio burocratico non è da confondere con una sana organizzazione burocratica. Infatti ne è la sua degenerazione. Colpisce quelle strutture universitarie che non hanno una rilevante utilità. Spesso non si riesce a capire se l'inutilità della struttura ha generato la burocratizzazione per darsi una ragione d'esistere, oppure se l'eccessiva burocratizzazione abbia indebolito nel tempo l'utilità della struttura, facendo passare in secondo piano la sua originaria mission scientifica. Se si è in preda al delirio burocratico potrete osservare riunioni scientifiche, amministrative, consigli di dipartimento, consigli di corso di laurea, etc. a raffica. Spesso queste riunioni sono precedute da altre meta-riunioni preparatorie (commissioni, consigli di presidenza, etc.)  a loro volta precedute da incontri informali, telefonate, etc. Quasi sempre alla fine della riunione gerarchicamente più importante tutti hanno cumulato livelli di  tensione tali che hanno bisogno di recuperare le energie, oppure di abbandonarsi a comportamenti infantili. Le decisioni spesso sono dimenticate pochi minuti dopo la fine della riunione. Vi accorgete dell'esistenza del delirio burocratico dal fatto che tutti hanno sottobraccio un fascicolo e passano affannosamente da un ufficio all'altro.

Il delirio scientifico è caratterizzato da una iperproduzione di lavori scientifici. Da quando si è posto un numero massimo alle pubblicazioni da presentare ai vari concorsi questo delirio è diminuito in frequenza. Resta ancora in tutti quei casi dove non è il contenuto degli articoli ad essere controllato, ma il loro numero. Si mettono allora in atto  tutti quegli stratagemmi che consentono di moltiplicare i pani ed i pesci e le persone coinvolte pensano continuamente a come ottenere il massimo numero di pubblicazioni con il minimo sforzo.

Ma il delirio che più di tutti spiega molte delle anomalie dell'Università italiana è il delirio bellico. Come tutti i deliri accademici non è il singolo ad attivarlo oppure a soffrirne ma riguarda tutto il collettivo. Il singolo in qualche modo addirittura lo subisce. Per l'innesco di un delirio, di quello bellico in questo caso, c'è necessità di un personaggio al vertice della gerarchia (un direttore di dipartimento, un presidente di consiglio di corso di laurea, per fare un esempio). I membri del gruppo, poi, attivano spesso un meccanismo di reciproco rinforzo al termine del quale il delirio viene percepito come una reale e legittima esigenza. Il delirio bellico opera quasi sempre per cerchi concentrici: il nucleo allievo-maestro; il gruppo di ricerca, il dipartimento, il corso di laurea, la facoltà, l'ateneo. Si sente sempre più spesso il "gergo guerresco": conquista di territori, ritirata strategica, trattati di pace, etc. Frasi del tipo "deve scorrere il sangue a fiumi" non sorprendono nessuno. Talvolta due docenti possono essere alleati per un interesse e nemici per un altro, rasentando così la schizofrenia relazionale. I motivi della rivalità: posti di ruolo da dividere fra i dipartimenti, fondi di ricerca da spartirsi, etc. Il numero di questi posti o l'entità dei fondi da dividere spesso è ridicola se paragonata con quelli di altri ambienti, ma questo poco importa. Il delirio si scatena lo stesso.

Come si superano i deliri? Bisogna che ogni membro della comunità accademica rimanga presente a se stesso, mettendo in atto la "resistenza attiva". Deve sempre tenere a mente i propri convincimenti, soprattutto se entrano in conflitto con quelli del gruppo. Si devono attivare confronti con l'esterno e non rinchiudersi nel guscio universitario in modo che le dimensioni dei problemi restino quelli effettivi e non subiscano fenomeni di ingigantimento fittizio.

Questo è quanto descritto da Attena. Partendo dalle sue indicazioni ed aggiungendovi i necessari paragoni con i vizi e le virtù di altri sistemi universitari, nonchè affrontando anche le modalità di una migliore interrelazione fra l'Università e le altre realtà culturali, produttive, imprenditoriali, potrebbero essere individuate le modalità per ridurre e combattere gli attuali mali dell'Università italiana, per esaltarne le virtù e le potenzialità e, senza lasciarsi prendere dallo sport della denigrazione fine a se stessa, contribuire al rilancio delle istituzioni accademiche ed al loro proficuo utilizzo per la sana crescita della società italiana.

In Calabria, al solito, questi obiettivi sono ancora più importanti e strategici. La relativa gioventù dell'UniCal fa si che molti dei mali dell'Università italiana siano nel nostro Campus ancora in fase iniziale, se non addirittura in incubazione, in tempo cioè per debellarli sul nascere e per mantenere alti gli standard didattico-scientifici e dei servizi e per continuare a raggiungere eccellenza nella ricerca, cioè per difendere tutte quelle caratteristiche positive che ci hanno finora fatto conquistare le vette delle più importanti classifiche di valutazione delle università italiane.