venerdì 30 aprile 2010

Ok al nucleare. Ma puntiamo anche sul solare. Come in Germania

da sito Generazione Italia (30.4.2010)

Contrapporre le rinnovabili al nucleare e viceversa è un delitto d’ideologia, un peccato di miopia. L’aut aut su ciò che è complementare disegna il viatico migliore per l’inefficienza delle scelte. E nel caso dell’energia, trattandosi di scelte strategiche per il futuro del Paese e del Pianeta, questa contrapposizione oltre ad essere sterile è anche dannosa. Soprattutto se ci si pone la salvaguardia dell’ambiente come un obiettivo concreto, non dogmatico.
Ne abbiamo discusso ieri pomeriggio nell’ambito de “I seminari di Libertiamo”, l’associazione politica presieduta dal Benedetto Della Vedova, in un appuntamento dal titolo Sole e nucleare: energie non in alternativa, cui ha preso parte il professor Paolo Saraceno, dell’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario.
In uno scenario da global warming, dimostrato da accurate analisi scientifiche sulla composizione dei ghiacci antartici, e di esplosione demografica dei paesi in via di sviluppo (la Nigeria, ad esempio, aveva 30 milioni di abitanti nel 1950, oggi ne ha 130; andiamo verso un mondo con 10 miliardi di abitanti, nell’800 ce n’era uno soltanto), Saraceno ha avvertito: “ E’ necessario cambiare modello di sviluppo, o la Terra non ne avrà per tutti”. Né di energia, né di cibo. Cambiare il modello, dunque, ma non lo sviluppo, che tra l’altro è il più potente dei contraccettivi. Con buona pace dei declinisti, degli oppositori dello sviluppo permanente e di qualche caudillo sudamericano che predica il ritorno allo stato del buon selvaggio. Fandonie.
Che si fa quindi? L’imperativo è sostituire le fonti fossili (da esse oggi traiamo l’81% dell’energia mondiale), producendo tutta l’energia possibile con le rinnovabili, il resto con il nucleare. E largo spazio agli Ogm, nei cui confronti è stata montata la più antiscientifica delle campagne: “La verità biologica – spiega il professore – attesta che più un cibo è naturale più fa male. La verità storica che l’uomo, da quando coltiva, prima modifica e poi mangia le specie che ha modificato”
Sul fronte energetico è necessario un uso massiccio delle centrali nucleari. Il problema delle scorie non esiste, è uno spauracchio. La controindicazione, semmai, è un’altra. Ed è tutta di natura geopolitica. Perché una volta che hai rovesciato il modello di produzione energetica a favore delle centrali atomiche hai moltiplicato pure il pericolo d’uso dell’uranio a scopi non proprio pacifici. Nei paesi emergenti, dove massima è l’esigenza di energia, diffondere le centrali nucleari vuol dire accrescere il rischio che qualcuno tiri fuori l’uranio per costruirci la bomba, e in tempi di terrorismo globale l’argomento non è marginale. Ma l’India, per esempio, sta costruendo una centrale nucleare alimentata dal Torio che, a differenza dell’uranio, non è utilizzabile a scopi bellici. Avanguardie.
Quanto al sole, esso da solo fornisce già l’energia sufficiente a mantenere dieci pianeti come il nostro. L’energia prodotta al centro della terra è 1/2000 dell’energia solare incidente. Quella consumata dall’uomo è circa 1/6000. Il problema è che questa energia non sappiamo ancora catturarla. Le celle fotovoltaiche in circolazione non sono ancora in grado di farlo. E’ una follia sussidiarle. Stiamo arricchendo i tedeschi, che sul fotovoltaico hanno fondato un’industria nazionale. Con gli incentivi, quindi, si finanzia l’inefficienza e si rinuncia alla ricerca. E’ la ricerca la chiave d’accesso a un futuro sostenibile. Con i pannelli giusti basterà una centrale nel Sahara, nemmeno troppo grande, per rifornire di energia tutto il Pianeta.
Uno via l’altro, Saraceno, da scienziato, smonta i capisaldi del “fideismo verde”, tra i quali il risparmio energetico, che, spiega “serve a poco”. Certo, esso è praticabile nei paesi ricchi, i quali ultimi però sono un nonnulla nell’oceano demografico del resto del mondo. Con quale coraggio, inoltre, possiamo pretendere dagli africani, o dagli asiatici, che risparmino energia? Lo fanno già, e per questo vivono in media 40 anni meno di noi. Queste persone cercano, giustamente, il benessere. Avere gli ospedali, le industrie, il frigo e l’acqua corrente, allunga la vita. Ma costa energia. E si torna daccapo.
Nucleare e solare sono la risposta, per lo meno la migliore che conosciamo oggi. Chi vi si oppone per ideologia fa male al Pianeta e lo fa sulla pelle dei poveri.

Milano come Roma: se non cambia ddl Gelmini niente più lezioni

Roma, 29 apr. (Apcom) - Si allarga la protesta dei ricercatori italiani, avviata nelle scorse settimane dal Cnru, il 'Coordinamento nazionale ricercatori universitari', per opporsi alla riforma accademica già approvata in prima lettura dal Cdm e da alcuni mesi al vaglio delle commissioni parlamentari per la stesura definitiva: oggi a Milano si è svolta una partecipata assemblea, alla presenza di una trentina di rappresentanti di categoria, al termine della quale i ricercatori hanno confermato la volontà di non accettare più l'incarico di tenere le lezioni qualora il ddl Gelmini venisse approvato senza le modifiche richieste. I ricercatori contestano, in particolare, la norma che prevede l'addio alla professione qualora, dopo sei anni di supplenze certificate, non dovessero superare il concorso per diventare professori associati. Da qui la decisione di non accettare più gli incarichi didattici non obbligatori a partire dal prossimo anno accademico: i ricercatori si limiteranno, pedissequamente, in linea con quanto prevede la legge, ad assistere gli studenti e a fornire le loro prestazioni tecniche all'interno dei laboratori. Le richieste, tra cui un incremento dei fondi destinati al settore della ricerca accademica, sono state apposte oggi all'interno di un documento unitario, sottoscritto da tutte le associazioni di categoria: i ricercatori hanno annunciato che il documento nei prossimi giorni verrà inviato al ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini. Ad avviare la protesta contro il ddl Gelmini era stato, alcune settimane fa, il 'Coordinamento nazionale ricercatori universitari' a seguito di un sondaggio a cui avevano partecipato quasi 5.000 dei 25.000 ricercatori attivi nel panorama accademico italiano: nell'occasione in 3.887 (il 79.9%) si sono dichiarati favorevoli alla ipotesi di attivazione di maggiori possibilità concorsuali e di inquadramento nella docenza, con possibilità di raggiungere il IX livello, per coloro che hanno svolto almeno sei anni di didattica certificata. Al termine di un'assemblea nazionale, svolta ad inizio aprile, anche i delegati del Cnri hanno invitato "tutti i ricercatori universitari a non accettare incarichi per affidamento e supplenza per il prossimo anno accademico" e ad avviare "forme di lotta immediate che comprendano anche la sospensione dell'attività didattica". 

Crui, serve piano reclutamento personale docente universitario


Roma, 30 apr. (ADNKronos- Labitalia) - "La Crui ribadisce la richiesta, già espressa nell'Assemblea dello scorso 25 marzo e largamente condivisa negli atenei, di prevedere un piano pluriennale di reclutamento di personale docente universitario, adeguatamente finanziato, con il quale fare fronte alle numerosissime uscite dal servizio in atto, che stanno sguarnendo e sempre più sguarniranno le università di competenze didattiche e scientifiche indispensabili, e garantire nel contempo ai giovani meritevoli prospettive reali di accesso e di valorizzazione del loro impegno". E' quanto si legge in una nota della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane), in riferimento a una mozione approvata ieri dall'Assemblea all'unanimità.
A questo fine, con riferimento al ddl in discussione al Senato e agli emendamenti in via di approvazione, va considerevolmente ampliata, secondo la Crui, la quota di posti, in particolare di professore associato, da destinare alle chiamate di personale in servizio, che abbia conseguito, in riconoscimento del lavoro svolto e delle qualità dimostrate, l'abilitazione scientifica nazionale.
La Crui ritiene "essenziale che ciò accada in particolare nei primi sei anni di applicazione della nuova normativa, prima cioè che arrivino a conclusione i primi contratti di ricercatore a tempo determinato, rispetto ai quali la Crui chiede che venga rafforzato e reso effettivamente operante il sistema di 'tenure track', da collegare in maniera più vincolante all'impegno dell'ateneo ad avviare le procedure di chiamata in caso di superamento della prova di abilitazione scientifica nazionale per professore associato".

giovedì 29 aprile 2010

Inaugurazione anno accademico - Latorre alla classe politica: "Difendete insieme le Università del sud"

da strill.it di Giovedì 29 Aprile 2010 
La cerimonia di apertura del trentottesimo anno accademico dell’Università della Calabria, a Cosenza, ha rappresentato l’occasione per un vero e proprio grido di allarme lanciato dal Magnifico Rettore, Giovanni Latorre:  “le cause delle difficoltà, già emerse e in larga parte prevedibili” – ha detto Latorre – “sono tutte di natura esogena. Cosa è accaduto dunque? Innanzitutto è arrivata a maturazione, giustamente noi diciamo, l’esigenza certamente sentita sia dalla classe politica che dall’Accademia, di far coesistere l’autonomia gestionale con quella che nel mondo anglosassone viene definita accountability: ovvero la responsabilità verso i portatori d’interesse dell’Istituzione universitaria".
Latorre si è poi soffermato su risorse ed obiettivi, sottolineando la necessità di “Un atteggiamento che implichi la gestione oculata delle risorse pubbliche e il perseguimento degli obiettivi di efficacia ed efficienza nella didattica, nella ricerca e nei servizi. Efficacia ed efficienza” – ha rimarcato Latorre – “che, non possono essere date per scontate, o solo genericamente manifestate, ma misurate attraverso adeguati processi di valutazione. E’ una cultura” – ha ricordato il Rettore – “quella della valutazione degli Atenei, che è partita in ritardo nel nostro Paese, anche se oggi non siamo all’anno zero. Ebbene, tale modello, pur sostanzialmente condiviso dal sistema delle Università” – ha rimarcato Latorre -  “non ha prodotto i risultati sperati per il semplice fatto che esso non ha potuto assegnare, nel tempo, risorse premiali visto il regime di finanziamenti rimasti  stazionari da almeno un decennio”.
Latorre ha poi messo il dito nella piaga dei conti, ricordando che “in conseguenza di vari provvedimenti il Finanziamento Ordinario del 2009 è stato di circa 7,5 Miliardi di euro. Per il corrente anno era previsto un taglio di risorse di circa 700 Milioni che, forse, grazie all’extragettito derivante dallo scudo fiscale, potrà essere ridotto a 300 Milioni di euro. Per tutto ciò, verosimilmente, nel 2010 il sistema universitario potrà contare su poco meno di 7,2 Miliardi, corrispondente ad un taglio del 4,2% rispetto alle risorse del 2009. Ma il punto più critico per le Università” – ha scandito, preoccupato, il Rettore – “sarà il 2011, quando il Finanziamento Ordinario scenderà a 6,1 Miliardi, corrispondente ad un taglio di 1,4 Miliardi di euro, cioè - 19% circa rispetto allo stanziamento del 2009, e sarà improbabile a quel punto immaginare il ricorso a nuove forme di compensazione in grado di attutire le difficoltà che ne conseguiranno. I prossimi mesi saranno molto difficili” – ha detto, avviandosi alla conclusione Latorre – “ ed oltre alla stretta sulle risorse dovremo, molto probabilmente, riscrivere il nostro statuto. E tutto ciò dovrà essere fatto con un assetto apicale dell’Università che, al momento, è in scadenza. Ebbene, questa situazione generale merita una riflessione condivisa ed un forte spirito di coesione, elemento che dovrà prevalere su ogni altro.”
La chiusura, prima di dichiarare formalmente aperto il trentottesimo anno accademico dell’Università della Calabria, si è tramutata in un vero e proprio appello alla classe politica regionale: “Vorremmo lanciare, a questo punto, un appello alla classe politica che rappresenta la nostra regione, a livello locale ed a livello nazionale” – ha detto a chiare lettere Latorre -  “Difendete insieme, destra, centro e sinistra, il sistema delle Università meridionali. Esse sono un patrimonio comune di grande valore. La conoscenza e le competenze sono elementi fondamentali per lo sviluppo e le Università sono luoghi di aggregazione e coesione della nostra gioventù; sono, in definitiva un fattore di democrazia”.

Dall'università al lavoro le «dieci parole» del Pd

da ilsole24ore del 28.4.2010 di Piero Ostellino


Un anno di tempo e dieci grandi progetti per l'Italia, dall'università al lavoro. Il Pd da il via ai lavori per definire il proprio profilo e l'alternativa da proporre al paese, attraverso proposte di cambiamento che si tradurranno in altrettante iniziative legislative da costruire coinvolgendo i territori e i circoli, anche in prospettiva delle elezioni comunali del 2011. Gli esponenti di spicco del partito, però, fanno fretta al segretario Pier Luigi Bersani per far sì che il Pd possa affrontare da posizioni più salde i futuri passaggi politici, senza escludere la possibilità di una crisi del governo Berlusconi.
Sono stati questi, ieri mattina, i temi di cui si è discusso nella prima riunione del "caminetto" dopo le regionali. Bersani e il suo vice Enrico Letta hanno riunito al Nazareno i membri della segreteria, i responsabili dei forum e i capigruppo delle commissioni parlamentari. La riunione è stata aperta da Letta e chiusa dal segretario. Al termine è stato il primo a spiegare che «da oggi comincia un anno di lavoro per costruire il progetto per l'Italia 2011 del Pd. Da oggi ci mettiamo a lavoro per definire il profilo dell'alternativa individuando dieci parole e formulando per ognuna una proposta forte e comprensibile, che sottoporremo all'assemblea nazionale». Anche per uscire «dall'attuale indistinto», percepito dai cittadini. Si comincia il 21 e 22 maggio con la prima assemblea, altre due si terranno in autunno, su quattro temi: ricerca e università, riforme istituzionali e della giustizia, che comprendono anche la legge elettorale, green economy e lavoro e su ogni proposta l'assemblea si pronuncerà con un voto. Il progetto verrà quindi presentato al paese, con un viaggio in giro per l'Italia che toccherà dieci grandi città, in concomitanza con le elezioni previste il prossimo anno in comuni come Torino, Milano, Napoli. «Rispetto alle divisioni del governo che si occupa da un mese a questa parte solo dei suoi problemi interni – ha aggiunto Letta – noi vogliamo smascherare la loro voglia di conservazione e rendere evidente che il nostro profilo è il cambiamento del paese».
Prima della riunione, Bersani aveva incontrato i «big» del partito a partire dai contendenti alle primarie, Dario Franceschini e Ignazio Marino, fino a Massimo D'Alema, Franco Marini, Beppe Fioroni e Piero Fassino. E sono stati sollevati non pochi dubbi sulle ultime recenti interviste del segretario, in merito alla proposta di un'alleanza repubblicana in cui coinvolgere anche Gianfranco Fini e la «profonda sfiducia» manifestata da Bersani sulla volontà e capacità della maggioranza di fare le riforme. In particolare, D'Alema si è mostrato tra i più perplessi di fronte a una chiusura sulle riforme. A suo giudizio, infatti, è giusto chiedere al centro-destra l'onere della prova, ma il Pd non può dare l'impressione di essere pregiudizialmente indisponibile al confronto, come invece è emerso dalle dichiarazioni di Bersani. D'Alema ha invitato il partito a manifestare apertamente la sua linea senza oscillazioni e a tenersi pronto a ipotesi alternastive al voto anticipato. Sulla stessa linea si è trovato Marini, al quale ha replicato duramente Rosy Bindi, difendendo il segretario, che non ha detto no alle riforme, ma «ha solo detto che Berlusconi non è affidabile».
Anche l'atteggiamento tenuto dal Pd in questi giorni nei confronti di Fini è stato oggetto di discussione: gli appelli di Bersani, secondo la minoranza di Franceschini e Veltroni, rischiano di dare un'immagine confusa agli elettori. Fini merita attenzione, ma bisogna stare attenti a non dare l'impressione di tirarlo per la giacca. Un ragionamento condiviso solo in parte da D'Alema, per il quale Fini non deve essere «arruolato» dal Pd, ma allo stesso tempo il Pd non può certo ignorare le giuste questioni sollevate dal presidente della Camera «solo per non mettere a rischio il bipolarismo». Bersani resta però convinto che l'uscita di Fini ha mostrato le spaccature «insanabili» della maggioranza, che diverranno ingestibili sulle riforme e nei decreti attuativi del federalismo fiscale, quando la Lega passerà all'incasso.

martedì 27 aprile 2010

Ricercatori, da Torino a Palermo scatta la protesta nelle Università

 da ilmessaggero.it
di Anna Maria Sersale


ROMA (19 aprile) - Genova, Torino, Roma, Palermo, da un ateneo all’altro rimbalza la protesta dei ricercatori universitari. «Abbiamo votato all’unanimità l’astensione dall’attività didattica - afferma Marco Merafina, il coordinatore nazionale - La riforma in discussione in Parlamento non ci riconosce lo stato giuridico di docenti, perciò dal prossimo anno accademico ci rifiuteremo di fare lezione. Solo i nuovi ricercatori, che ora hanno il contratto “a tempo”, se confermati potranno diventare associati. Per noi c’è il blocco di carriera, ma non abbiamo alcuna intenzione di andare in estinzione come i dinosauri».
Merafina sostiene che «migliaia di ricercatori rischiano di restare su un binario morto perché esclusi dalla possibilità di diventare docenti, pur avendo supplito per anni alle carenze degli atenei». Un problema che il governo sembra voler risolvere con una modifica del ddl che ora è all’esame della Commissione cultura in Senato. «La modifica, comunque, escluderà ogni forma di ope legis - spiega il relatore della riforma, il senatore Giuseppe Valditara - Il nodo deve essere sciolto, perché la disparità è ingiusta. Però deve essere chiaro che non può diventare professore associato un ricercatore che non consegua l’abilitazione nazionale e che non abbia i titoli».
Intanto sugli atenei incombe la minaccia dell’astensione dei ricercatori dalla didattica, astensione che può avere conseguenze pesanti. Per essere autorizzato al funzionamento ogni corso di laurea deve avere un numero minimo di docenti. Ma siccome gli ordinari e gli associati non bastano a garantire il numero minimo, senza l’apporto dei ricercatori molti corsi sono a rischio.
«La nostra defezione sarà a tappeto - sostiene ancora Merafina - perciò in quasi tutti gli atenei ci saranno corsi di laurea che non avranno più i requisiti minimi e saranno costretti a chiudere. La nostra protesta, ovviamente, non riguarda solo lo stato giuridico, ma include tutto: dai problemi della ricerca alla mancanza di fondi, dal precariato irrisolto ai prepensionamenti». Quanto all’astensione gli effetti saranno immediati, poiché i presidi nelle prossime settimane dovranno presentare l’offerta formativa per il nuovo anno accademico. Inevitabilmente accadrà che senza avere la garanzia dei numeri richiesti dal regolamento molti corsi non potranno essere confermati.
«La riforma - accusa ancora il coordinatore dei ricercatori universitari - articola la docenza in due fasce, quella degli ordinari e quella degli associati, a noi avrebbero dovuto riconoscere il ruolo di associati ma non ci pensano affatto. Eppure ci hanno sempre chiesto di fare didattica (che in teoria non ci dovrebbe riguardare). Per tutto questo la mobilitazione non si fermerà, chiediamo che venga riconosciuto il nostro merito scientifico e il diritto a essere inquadrati nella nuova seconda fascia, anche perché per anni abbiamo supplito alle tante carenze degli atenei».

lunedì 26 aprile 2010

Governo tecnico contro "rischio Grecia": se ne parla dall'autunno 2009 .... adesso si farà?

dal sito epresso.it
I finiani fanno capire che dopo Berlusconi potrebbe nascere un esecutivo a termine per salvare l'Italia dal rischio-Grecia. È un'ipotesi realistica? E il centrosinistra dovrebbe appoggiarlo?



L'unico ad averne parlato apertamente è stato Alessandro Campi, direttore scientifico della fondazione FareFuturo: facendo l'ipotesi di un governo tecnico tutto impostato sull'economia per traghettare l'Italia nel dopo-berlusconismo evitando il rischio di un crac economico come quello greco. Campi non è solo uno studioso e un accademico: secondo molti, è la voce dei finiani, è l'uomo che dice quello che il presidente della Camera non può esprimere pubblicamente.

Un dettaglio che non è sfuggito al presidente del Consiglio, secondo il quale Fini sta facendo appunto un doppio gioco: da un lato andare di persona in tivù assicurando che non farà sgambetti all'esecutivo, dall'altro lato preparare la successione a Berlusconi attraverso l'ipotesi di un governo tecnico (magari presieduto da una personalità super partes come il governatore di Bankitalia Mario Draghi) sostenuto da tutta l'attuale opposizione, più l'ala dissidente del Pdl.

Ma è uno scenario davvero realistico o è soltanto un modo per "far ballare" il Cavaliere? E il centrosinistra farebbe bene ad appoggiare una fuoriuscita dal berlusconismo attraverso una soluzione così?

domenica 25 aprile 2010

La nave va



"Te lo dico in faccia: il tradimento ...... "

da sito www.generazioneitalia.it 
Il discorso dello Statista. Oggi è nato il popolo della Libertà
di GianMario Mariniello 



“Berlusconi te lo dico in faccia: il tradimento che è certamente poco dignitoso, viene spesso da chi alle spalle dice il contrario di ciò che dice pubblicamente, ma raramente il tradimento è nella coscienza di chi si assume la responsabilità di quello che pensa in privato e pubblicamente”. Gianfranco Fini con il suo discorso di oggi alla Direzione nazionale del Pdl ha sicuramente cambiato la politica italiana. Mai fino ad oggi un collega di partito o di coalizione aveva messo tanto in difficoltà il Presidente Berlusconi. La controprova è la replica del Cav., stizzita, nervosa. Un Berlusconi che la butta subito sul personale. E ci va pesante. “Ha sbroccato”, ha detto il giornalista di Sky. Forse è così.
Di sicuro oggi è finito il partito monarchico. Il capo è stato messo in discussione, sfidato sui temi concreti che interessano gli italiani e i militanti, iscritti e simpatizzanti del Pdl. Toccò in Gran Bretagna alla Thatcher a cavallo tra gli anni ‘80 e i ’90, è toccato oggi a Silvio Berlusconi. È il bello della democrazia.
Tornando alla “ciccia” del discorso di Fini, notevoli sono gli spunti del Presidente della Camera che hanno riguardato l’abolizione delle province, la liberalizzazione dei servizi pubblici locali (vera fonte di potere della Lega), l’innalzamento dell’età pensionabile (“si cominci ora per far stare meglio i nostri figli domani”) che libererebbe le risorse necessarie per abbassare finalmente le tasse. La proposta di Fini di convocare gli Stati generali del Pdl sull’economia va in tale direzione.
Fini poi incalza sul rapporto Pdl-Lega. È indubitabile che il Pdl appaia sempre di più come una fotocopia del partito di Bossi. Ed è ingeneroso che Berlusconi dia agli ex di AN tutte le responsabilità del boom leghista al Nord. Come si sentiranno adesso – verrebbe da chiedere – i 75 ex An che hanno firmato il documento”berlusconiano”?
Il Presidente della Camera tira poi fuori una parola fino ad oggi “sconosciuta” al Pdl: “Legalità”. Berlusconi “freme” quando Fini gli dice che “combattere la politicizzazione di una parte della magistratura non significa dare anche minimamente l’impressione di tutelare sacche di impunità”. E ancora: “Il processo breve era un’amnistia mascherata”. Era ora.
Notevole il passaggio da statista sul federalismo: come non condividere la proposta di Fini di convocare una commissione del Pdl sul decreti attuativi del federalismo fiscale, cui dovranno prendere parte tutti i nostri governatori di regione? Oppure il Pdl preferisce dare carta bianca a Calderoli? Se vogliamo una riforma per il futuro dell’Italia, il Pdl deve prendere l’iniziativa. Così come sulle riforme istituzionali: può il partito di maggioranza relativa non avere una propria bozza di riforma da presentare a tutte le forze politiche presenti in Parlamento? Sono questi gli interrogativi cui Berlusconi non darà risposta nel suo intervento di replica.
Gianfranco Fini non vuole fare la fronda interna, non vuole sabotare il Pdl ma vuole un partito che si riunisca, discuta e alla fine decida sui temi che riguardano il futuro dell’Italia.

La politica italiana oggi è cambiata. E sul “One man show” scorrono i titoli di coda.


da strill.it del 25.4.2010

Ventitre amministratori calabresi al fianco di Gianfranco Fini

Sono 23 gli amministratori calabresi del Pdl che hanno aderito alla posizione di Gianfranco Fini sottoscrivendo l'appello di Generazione Italia. Lo rende noto, attraverso Facebook, il consigliere comunale di Rende (Cosenza) Spartaco Pupo. ''Siamo partiti - scrive Pupo - che eravamo solo in tre. Adesso, dopo soli tre giorni, siamo in 23. L'area urbana cosentina puo' gia' contare su tre consiglieri comunali del Pdl''. Oltre allo stesso Pupo, ci sono Fabrizio Falvo, consigliere comunale a Cosenza, e Alberto Rossi, che ricopre la stessa carica a Montalto Uffugo. L'appello di Generazione Italia, inoltre, e' stato firmato da un consigliere comunale di Reggio Calabria, Beniamino Scarfone, e dal sindaco di Panettieri (Cosenza), Giovanni Bonacci.

La spirito della libera Ricerca alle celebrazioni del 25 Aprile

 da Ilgiornale.it del 25 Aprile 2010


Sul palco della Scala per le celebrazioni dei 65 anni dalla Liberazione ieri è salita anche una ricercatrice, Antonella Viola, quarantenne dell’Università Statale. Applauditissima, ha lanciato un appello alle istituzioni «perchè facciano in modo che l’entusiasmo dei ricercatori italiani non vada perso», «perchè non c’è libertà con l’ignoranza e la vera libertà passa attraverso la conoscenza». In platea, il premier Silvio Berlusconi, il capo dello Stato Giorgio Napolitano, i politici locali. «La Liberazione - ha detto dal palco la ricercatrice - così duramente sofferta, voluta, conquistata dai nostri nonni, ci ha regalato la possibilità, a volte inconsapevole, di crescere e di formarci in un Paese in cui i concetti di libertà civile e morale fossero radicati. Il valore di ciò è inestimabile per tutti gli italiani della mia età ma lo è particolarmente per me: un ricercatore, uno scienziato, che ha dunque basato tutta la vita sulla libertà intellettuale e la passione per la conoscenza». La ricorrenza della Liberazione «deve essere l’occasione per costruire un futuro diverso, libero, in cui la politica sia sempre e solo confronto e mai scontro».

Rinnovabili, marcia indietro sugli impegni di Copenhagen

da edilportale.com - di Paola Mammarella



Maggioranza: accordi 20-20-20 penalizzanti e scientificamente inattendibili

19/04/2010 - Inutili l’accordo del 20-20-20 e gli impegni assunti al vertice di Copenhagen. È la posizione della maggioranza, che ha presentato in Senato la mozione 248, dando il via libera a un’inversione di tendenza rispetto alle soluzioni europee sul cambiamento climatico. Per Lega Nord e PdL, promotori della mozione, che si appellano alla clausola di revisione, l’accordo che propone di ridurre i gas serra aumentando rinnovabili ed efficienza energetica del 20% sarebbe ormai superato perché frutto di posizioni catastrofiste e non totalmente attendibili.

Sono molti a sostenere che le restrizioni imposte dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo scientifico facente capo all’Onu, mirino a contenere l’espansione dei Paesi in via di sviluppo attraverso vincoli che di fatto ne bloccano l’industrializzazione.

Pur condividendo pienamente l'esigenza di una maggiore sostenibilità energetica, la maggioranza disapprova la linea politica dell'Unione europea alla luce dei dubbi emersi in rapporto all'affidabilità dei dati sul riscaldamento globale. Secondo l’Ipcc il riscaldamento globale sarebbe dovuto unicamente all’anidride carbonica, tralasciando altri processi ambientali. I risultati benefici derivanti dal rispetto del Protocollo di Kyoto sarebbero inoltre modesti se comparati ai limiti imposti. Gli aiuti di Stato alle rinnovabili sarebbero poi responsabili della distorsione della concorrenza nel mercato dell’energia.

Le posizioni del Governo sono state contraddette dall’opposizione, che ha ricordato gli sforzi a sostegno delle rinnovabili anche da parte di Paesi tendenzialmente refrattari all’attuazione della green economy, come Cina e Stati Uniti. La riduzione dell’efficienza energetica si traduce inoltre in una perdita di competitività.

La Conferenza di Copenhagen ha poi costituito un'occasione di confronto e di coinvolgimento dei Paesi extraeuropei maggiormente inquinanti, dove l’Italia ha sottoscritto impegni sconfessati dalla stessa coalizione di Governo, con la conseguente estromissione dai futuri negoziati.

Oltre alle problematiche dell’inquinamento bisogna infatti considerare la pericolosità della dipendenza dalle fonti esauribili, che non contribuisce allo sviluppo della ricerca

Il sottosegretario Ravetto ha precisato ai presentatori della mozione che non esiste alcuna clausola di revisione dell'Accordo 20-20-20. È stato inoltre messo in evidenza come gli errori dell’Ipcc riguardano esclusivamente la previsione dei tempi di scioglimento dei ghiacciai himalayani, ma non mettono in questione la diagnosi complessiva sull'innalzamento delle temperature e sulla responsabilità delle emissioni di gas ad effetto serra.

sabato 24 aprile 2010

Non bacio le mani !

ILSOLE24ORE.COM - La Calabria "non bacia le mani"Il claim è molto forte e ha una forte carica politica e sociale: "Non bacio le mani". In Calabria, terra di ‘ndrine e di patriarchi mafiosi, uno slogan del genere ha un valore sovversivo. Il claim è della casa editrice Rubbettino di Soveria Mannelli in provincia di Catanzaro che lancia così una campagna di sensibilizzazione antimafia. Una campagna che viene presentata oggi ma sarà avviata da lunedì 19 aprile nelle più importanti librerie italiane con uscite promozionali sulla stampa e un sito web dedicato che si può consultare all'indirizzo www.nonbaciolemani.it.
Si tratta di un'iniziativa, che ha il sostegno della provincia di Catanzaro, e che si propone, spiega l'editore Florindo Rubbettino "di promuovere la lettura come strumento di conoscenza utile a contrastare i fenomeni mafiosi. La lettura che aiuta a conoscere meglio la realtà che ci circonda, a capire a fondo quello che succede in un paese in cui il malaffare è presente ovunque e spesso si nasconde dietro forme inconsuete e ingannevoli. La cultura dunque come strumento di libertà, che aiuta a non abbassare la testa, a non baciare le mani appunto". La casa editrice calabrese propone in questo contesto cinque recenti titoli sulle mafie che possono aiutare il lettore ad approfondire l'argomento. Si tratta di ‘Ndrangheta di Enzo Ciconte, "Malitalia. Storie di mafiosi, eroi e cacciatori" di Laura Aprati ed Enrico Fierro, "Storia Criminale" di Enzo Ciconte, "Il Gotha di Cosa Nostra. La mafia del dopo Provenzano nello scacchiere internazionale del crimine" di Piergiorgio Morosini e "Peppino Impastato. Una vita contro la mafia" di Salvo Vitale.

La costosa eutanasia di una metropolitana insensata

dal sito www-lavoce.it    di Andrea Boitani e Carlo Scarpa     23.04.2010
 
La metropolitana di La Rochelle

La metro di Parma non si farà. Dopo anni di lavoro, il Cipe ha ritirato il finanziamento a un'opera priva di senso. Tutto bene, dunque. Non proprio perché nel frattempo sono stati già spesi molti soldi pubblici per progettazione, personale, acquisto o noleggio di macchinari, anticipazioni finanziarie. Altri ancora ne serviranno per l'indennizzo dell'impresa che aveva vinto l'appalto. La morale è che le amministrazioni pubbliche che gettano al vento denaro pubblico non vengono punite. Anzi, a Parma arriverà quel che resta del finanziamento statale.
La metro di Parma non si farà. Dopo anni di lavoro, il Cipe ha ritirato il finanziamento a un’opera priva di senso, e un decreto dal linguaggio mediamente oscuro ci ha messo sopra una pietra tombale. (1) Il tutto, dopo che sono stati spesi parecchi milioni di denaro pubblico – per nulla.
Non essendo una storia solo parmigiana, è giusto raccontarla e usarla per qualche riflessione.
UN PROGETTO SENZA CAPO NÉ CODA
Nel maggio del 2005 il Cipe, su spinta dell’allora ministro alle Infrastrutture Lunardi, di origini parmigiane, aveva deliberato un finanziamento di 210 milioni a fondo perduto per la metropolitana di Parma, ridente città che notoriamente si gira con ben altri mezzi. Il comune (giunta di centrodestra) aveva spinto molto per avere questi soldi, impegnandosi a metterci il resto (96 milioni, dati i preventivi di allora). La Regione (retta dal centrosinistra) ci aveva messo il timbro. Si era costituita la società Metro Parma, con amministratori e dipendenti. Erano stati fatti (e rifatti) i progetti. Si era finanche fatto l’appalto, vinto da una cordata bipartisan: l’associazione temporanea di imprese (Ati) Pizzarotti-CoopSette-Ccc.
Nel frattempo, una serie di persone aveva detto che il progetto non aveva senso, non solo perché non serviva, ma anche perché (proprio in quanto semi-inutile) non avrebbe avuto abbastanza passeggeri da coprire i costi di esercizio, figuriamoci quelli di costruzione. In una serie di incontri pubblici (a cui ha partecipato anche uno degli scriventi) si era denunciato quello che si profilava come un colossale spreco di denaro pubblico, oltre che una “pillola avvelenata”, destinata a gravare sul bilancio comunale per decenni. Ne scrivemmo anche su lavoce.info[link Boitani, Scarpa, 13.06.2005]. Nulla da fare.
Poi, alle elezioni del maggio-giugno 2007 il sindaco Ubaldi, dopo due mandati, ha ceduto il testimone a un suo braccio destro, l’attuale sindaco Vignali, eletto con un programma incentrato sulla metro; d’altronde, il suo antagonista era l’assessore regionale Peri, il quale aveva controfirmato il progetto: evidentemente, le pillole avvelenate esercitano un’attrazione bipartisan. Nel frattempo, il costo era salito a 318 milioni, cui andavano sommati 15 milioni l’anno per la gestione del metrò, e le risorse statali erano scese a 172 milioni: non veniva cioè finanziato l’acquisto del materiale rotabile (37 milioni) che doveva accollarsi il comune. Il nuovo sindaco ha cercato (non sappiamo con quanta convinzione) i finanziamenti aggiuntivi per andare avanti, senza però trovarli. Risultato: non se ne fa nulla. Tutto bene quello che finisce bene, dunque? Purtroppo no.


 ANCHE NON FARE HA UN COSTO (MA, TANTO, LO PAGHIAMO NOI…)
Uno dei principi fondamentali dell’economia come “triste scienza” è che non esistono pasti gratuiti: tutto ha un costo. E i costi di questa operazione (conclusasi con un assoluto “nulla”) sono effettivamente elevati.
La società Metro Parma ha operato per alcuni anni per mettere insieme il progetto. La progettazione è stata rivista diverse volte, per soddisfare i rilievi tecnici avanzati dal Cipe e per risolvere l’interferenza con le Ferrovie dello Stato. In tutto questo, dai bilanci di Metro Parma, che il comune si guarda bene dal rendere pubblici, risultano costi complessivi di circa 12 milioni (costi di progettazione e stipendi di chi ha diretto questa impresa). L’Ati, e in particolare la sua componente più vocale, la Pizzarotti, dichiara che (tra Metro Parma e questa impresa) in realtà i costi già sostenuti ammonterebbero a circa 26 milioni, tra progettazione, assunzione di personale, acquisto e/o noleggio di macchinari, anticipazioni finanziarie e altro. A questo andrà poi aggiunto l’indennizzo che chi si è aggiudicato l’appalto intende chiedere, e a cui ai sensi di legge ha diritto, anche se in misura da determinare. Vedremo quanto sarà, ma applicando parametri normali si potrebbe giungere ad altri 30 milioni.
Chi paga? Il decreto, al comma 7, sancisce che “l’indennizzo è corrisposto a valere sulla quota parte del finanziamento non ancora erogata”. Apparentemente, dunque, con soldi dello Stato. Comunque, che i fondi siano statali o locali poco cambia. Sono soldi pubblici. Dei quali nessuno, a quanto pare, sarà chiamato a sostenere responsabilità politiche e meno ancora finanziarie; paga Pantalone, cioè – in ultima analisi – i cittadini italiani. D’altronde, anche se oggi il Pd di Parma canta vittoria, le responsabilità politiche sono piuttosto diffuse tra comune e Regione.
LEZIONI DA TRARRE
La principale lezione è una amara conferma. In questo paese non è che le responsabilità politiche siano un optional: non esistono proprio. Se provate a parlarne vi guardano in modo strano. E proprio coloro che invocano soavemente la “sovranità” della politica nei processi decisionali si adontano se osate chiedere valutazioni accurate dei costi e dei benefici delle opere pubbliche da effettuare prima che la politica scelga. Ma dove è finita la regola secondo cui la “sovranità” si deve sempre accompagnare alla “responsabilità” (politica)? Decine di milioni buttati per non fare nulla. Ma non esiste una cosa che si chiama “danno erariale”? E non esiste da qualche parte una Corte dei conti?
Le amministrazioni pubbliche che gettano al vento denaro pubblico non vengono punite. Anzi: quel che resta del finanziamento statale, dopo le varie deduzioni per indennizzo, può essere devoluto integralmente, dice il decreto al comma 8, – su richiesta del comune di Parma – ad “altri investimenti pubblici”. Una manciata di milioni a quella amministrazione resta comunque garantita. Secondo quale logica? Per quali priorità nazionali, visto che di fondi nazionali si tratta? Non è dato sapere. Sembra proprio che, in un modo o nell’altro, quei soldi a Parma dovevano finire. Chissà, forse servono a garantire l’equilibrio geopolitico nel nascente federalismo zoppo…

(1) Decreto Cipe del 25 marzo 2010, n. 40.

mercoledì 21 aprile 2010

"Referto" della Corte dei Conti: l'Università italiana è K.O. !!!

da www.step1.it del 20.4.2010

La Corte dei Conti ha prodotto un ampio documento di analisi (142 pagine, corredate da numerose tabelle) intitolato "Referto sul sistema universitario". "L’obiettivo di fondo del presente referto - scrivono le sezioni riunite della Corte - è quello di offrire al Parlamento un quadro conoscitivo degli attuali profili finanziari e gestionali del sistema universitario, anche alla luce dei prefigurati modelli di “governance” contabile". Il testo è molto interessante perché contiene una gran massa di informazioni sulla struttura e sul funzionamento delle università italiane. Non possiamo che raccomandare lo studio del documento integralegrale, limitandoci qui a riportare alcune parti. 


(Le parti citate sono estratte dal "Referto", mentre i titoli sono aggiunti).
CONFRONTO INTERNAZIONALE: UNIVERSITA' ITALIANA FORTEMENTE SOTTOFINANZIATA
"L’Italia nel confronto europeo con gli altri Paesi membri dell’OCSE presenta una spesa annuale per studente nel 2006, nell’ambito dell’educazione terziaria incluse le attività di ricerca e svluppo, al di sotto della media (8.725 dollari, rispetto alla media OCSE di 12.336)".
FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO INADEGUATO MENTRE SCOMPARE LA LOGICA DEL RIEQUILIBRIO
"L’assegnazione annuale a favore di ciascuna università a carico del FFO, fino al 2003, si è articolata in una quota base (proporzionale ai trasferimenti statali e alle spese sostenute direttamente dallo Stato nel 1993 – spesa storica) ed in una quota di riequilibrio attribuita secondo criteri relativi a standard dei costi di produzione per studente, al minore valore percentuale della quota relativa alla spesa per il personale di ruolo sul FFO (art. 51, comma 5, della legge n. 449 del 1997) ed agli obiettivi di qualificazione della ricerca, tenuto conto delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali (comma 3).  La situazione di partenza era caratterizzata da un sostanziale “squilibrio” tra le risorse storicamente assegnate e il numero di studenti, di corsi ecc.
Il FFO è cresciuto nel corso degli anni ma con una dinamica che in alcuni degli anni più recenti è risultata inferiore al tasso di inflazione e, soprattutto, all’incremento delle retribuzioni, delle quali, in base all’art. 5 della legge 537/93, si sarebbe dovuto tener conto annualmente per incrementare le assegnazioni del FFO.
A partire dal 2004, in sostituzione del vecchio meccanismo di riequilibrio è stato introdotto un nuovo modello di finanziamento (formalmente adottato con il d.m. n. 146 del 28 luglio 2004) che ha recepito il modello di finanziamento predisposto dal CNVSU, su parere della CRUI e del CUN.
Tale modello esplicita maggiormente il ruolo dei processi formativi e della ricerca scientifica, evidenziando inoltre la possibilità di incentivare, per dare un impulso al sistema, politiche specifiche ritenute rilevanti in un certo periodo.
Quindi, nei fatti, dal decreto scompare la logica del fondo di riequilibrio".

PERSONALE DOCENTE: LA GERARCHIA ACCADEMICA NON E' AFFATTO UNA PIRAMIDE
"Relativamente al personale docente, prendendo riferimento i dati riferiti al 1998 – tenuto conto che la legge n.210/1998 ha innovato il reclutamento del personale docente e che ha avuto la sua prima applicazione a partire dal 1999 - è possibile analizzare l’andamento del numero dei docenti di ruolo che secondo i dati del Ministero dell’università, dell’economia e del CINECA, è risultato complessivamente incrementato di oltre 11.000 unità (+23,1 per cento dal 1998). Il numero dei professori ordinari ha raggiunto nel 2008 le 18.228 unità; i professori associati sono pari a 17.549 unità e i ricercatori si attestano a 24.492 unità".

PREVALGONO LE PROMOZIONI INTERNE: GLI ORDINARI AUMENTANO ASSAI PIU' DEI RICERCATORI
"Lo spiccato aumento dei professori ordinari - che registrano nel periodo 1998-2008 valori superiori a quelli dei ricercatori (rispettivamente + 42 per cento e + 28 per cento) risulta influenzata dal succedersi delle norme di contenimento della spesa che, negli anni recenti, ha favorito le promozioni interne a scapito del reclutamento del
personale più giovane nel ruolo dei ricercatori".
FORTISSIMO LOCALISMO DEI PROFESSORI UNIVERSITARI E SQUILIBRIO TRA LE AREE SCIENTIFICHE
"Ha contribuito a tale fenomeno anche il sistema di reclutamento del personale docente disciplinato dalla legge n. 210 del 1998 che ha dato alle commissioni di concorso la facoltà di selezionare per i professori un numero di idonei superiore a quello dei posti messi a concorso, consentendo ad un numero molto ampio di soggetti già in servizio di utilizzare la loro idoneità per un inquadramento a livello superiore nello stesso ateneo di appartenenza anche se diverso da quello che aveva bandito il posto. I limiti imposti al finanziamento delle spese di personale ha indotto gli atenei a fare ampio ricorso a tale meccanismo, già di per sé foriero di possibili squilibri sia a livello di ateneo che di area scientifica o facoltà, atteso che le promozioni alle fasce superiori nell’ambito degli stessi atenei, risulta preferibile anche sotto il profilo finanziario".

PAUROSO INVECCHIAMENTO DEI DOCENTI: I "GIOVANI" IN ENTRATA HANNO UN'ETA' MEDIA SUPERIORE A 36 ANNI
"Un ultimo aspetto che merita attenzione è dato infine dalla composizione per età dei docenti nelle università statali. Nel periodo preso a riferimento la pur significativa quota di nuove assunzioni non è stata sufficiente a compensare il naturale invecchiamento dei docenti la cui età media presenta valori elevati in tutte le qualifiche, anche in relazione agli effetti, ancora attuali, degli inquadramenti disposti nel 1980 ai sensi del d.P.R. 382/1980.
Se la presenza di una consistente quota di docenti prossima ai limiti di età per il pensionamento può rappresentare, assieme alla razionalizzazione dei corsi di studio, una opportunità per interventi di riequilibrio, risulta invece più complesso intervenire sul dato relativo alla crescita della età media di ingresso nei diversi ruoli.
Il maggior numero di concorsi banditi in ciascun anno ai sensi della legge 210/1998 non ha contribuito infatti a ridurre l’età media di ingresso. Se inoltre sull’assunzione dei professori può aver influito il minor costo delle promozioni interne, appare particolarmente critica la progressiva crescita dell’età di ingresso dei ricercatori che dai 30 anni del 1980 è passata ai 35 anni del 1999 per raggiungere i 36,3 anni del 2008".
LE SPESE PER IL PERSONALE ASSORBONO TUTTO E NON CONSENTONO DI PROVVEDERE AL FUNZIONAMENTO DEGLI ATENEI
"Lo squilibrio tra l’andamento del FFO e la crescita delle spese di personale, anche in presenza dei correttivi previsti dal 2004 al 2008 peraltro non più confermati, rappresenta pertanto un forte elemento di criticità dell’attuale sistema di finanziamento che non riesce a garantire alle università un adeguato livello di spesa sia per il funzionamento e le attività istituzionali che per i progetti di investimento.
Il dato che emerge dalle rilevazioni del MIUR evidenzia, infatti, un andamento delle spese di personale che nel loro complesso assorbono interamente le risorse provenienti dal FFO".
STUDENTI: NUMERO STABILE, MOLTI ABBANDONI DEGLI STUDI E DIMINUZIONE DEI LAUREATI
"Il numero totale degli iscritti alle università è sostanzialmente stabilizzato da circa cinque anni su un valore di poco superiore a 1.800.000 unità con un valore nell’anno accademico 2007-2008, pari a 1.809.192, di poco inferiore a quello registrato nell’anno accademico 2006-2007, pari a 1.810.101.
(...) Rilevante è ancora la cifra relativa alla quota degli abbandoni dopo il primo anno, pari nell’anno accademico 2006-2007 al 20 per cento, valore questo sostanzialmente analogo a quello registrato negli anni precedenti la riforma degli ordinamenti didattici.
(...) Il numero dei laureati scende complessivamente da 301.376 nel 2006 a 293.087 nel 2008. In netto aumento è peraltro nell’ultimo anno considerato il numero di laureati già in possesso di titolo (73.887 nel 2008 rispetto a 38.214 nel 2006), effetto questo essenzialmente della riforma a regime del doppio ciclo di laurea".
GLI EFFETTI PERVERSI DEL 3+2: CRESCITA ESPONENZIALE DEI CORSI DI LAUREA
"Il numero complessivo dei corsi di studio è andato tuttavia progressivamente aumentando sino a tutto l’anno accademico 2007-2008, raggiungendo un numero di 5519 corsi attivi di I e II livello a fronte di 4.539 corsi attivi di I e II livello nell’anno accademico 2003-2004.
L’effetto moltiplicativo è dato soprattutto dalla crescita esponenziale dei corsi di laurea specialistica passati da 1204 nell’anno accademico 2003-2004 a 2416 nell’anno accademico 2007-2008. Una certa inversione di tendenza, in conseguenza dei decreti di riforma del 2004 e del 2007, comincia a registrarsi solo a partire dall’anno accademico 2008-2009. Secondo stime comunicate dal CUN, nell’anno accademico 2010-2011 sarebbe prevista un’ulteriore riduzione dei corsi attivi che si dovrebbero attestare su un numero inferiore a 2500 per i corsi aperti alle immatricolazioni pure e su un numero inferiore a 2100 per i corsi di laurea specialistica/magistrale. I dati di previsione per l’anno accademico 2010-2011 dovrebbero quindi riportare, secondo le stime del CUN, i corsi attivi per le lauree aperte alle immatricolazioni su valori allineati a quelli registrati prima della riforma avviata con il d.m. n. 509 del 1999".
ALTRI EFFETTI PERVERSI DEL 3+2: LA FRAMMENTAZIONE DEGLI INSEGNAMENTI
"Sia pure con questa precisazioni che tengono conto di un sistema che sta cambiando dall’interno, non può non sottolinearsi tuttavia che i dati rappresentati mostrano in ogni caso che, almeno sino all’anno accademico 2007-2008, non hanno funzionato i filtri di verifica sia a livello di ateneo sia a livello di sistema, nel senso che non sempre sono state attentamente valutate le reali potenzialità di specializzazione dell’ateneo in presenza di effettive attività di ricerca e in una visione comunque coordinata e complementare con quella di altri atenei.
Rilevante è poi il numero dei corsi di primo livello al quale risultano iscritti non più di 10 immatricolati, come anche significativo è il numero totale degli insegnamenti attivi e il numero di quelli ai quali è attribuito un numero di crediti inferiore o uguale a 4. Il numero dei corsi di studio con un massimo di 10 immatricolati è di 340 su 3.373 complessivi nell’anno accademico 2006-2007, pari al 10,1 per cento del totale. Il numero degli insegnamenti è passato da 116.182 nell’anno accademico 2001-2002 a 180.001 nell’anno accademico 2006-2007 (con un incremento di circa il 60 per cento) e di questi ben 71.038 (pari a 39,5 per cento del totale) hanno massimo 4 crediti. Sulla base dei dati riportati nel X Rapporto del CNVSU, una leggera contrazione del numero degli insegnamenti viene registrata nell’anno accademico 2007-2008 (171.066) cui segue una altrettanto leggera diminuzione della percentuale di insegnamenti ai quali sono attribuiti non più di 4 crediti formativi (36,5 per cento a fronte del 40 per cento nell’anno precedente)".
DUPLICAZIONI TRA LAUREA TRIENNALE E SPECIALISTICA
"Il quadro rappresentato mostra che la riforma ha spesso favorito l’attuazione di corsi di studio rispondenti spesso ad una modesta domanda. Inoltre, la riforma non ha realizzato l’obiettivo di attuare una distribuzione degli insegnamenti tra lauree e lauree specialistiche, ma ha avuto l’effetto di realizzare una frequente duplicazione degli stessi oltre che una frammentazione degli insegnamenti".
SEDI DECENTRATE: FATTORE DI ABBASSAMENTO DELLA QUALITA' E AUMENTO DELLA SPESA
"Al forte aumento dell’offerta formativa si aggiunge anche il rilevante fenomeno della proliferazione delle sedi decentrate, le quali oltre a far lievitare i costi dell’intero sistema di finanza pubblica, rispondono spesso in modo inefficace alla domanda di formazione attesa. Sulla base dei dati riportati nel IX rapporto del CNVSU, risultano
oltre 70 sedi ove nell’anno accademico 2006-2007 era attivo un solo corso di studio e ulteriori 30 ove erano attivi solo 2 corsi di studio.
Sempre, secondo i dati riportati nel IX rapporto del CNVSU risultano ben 28 sedi decentrate nelle quali, nell’anno accademico 2006-2007, non figurando nuovi immatricolati, i corsi di laurea sono stati disattivati, sebbene in taluni comuni i corsi siano stati mantenuti solo per la conclusione degli studi degli iscritti negli anni precedenti. In tre di queste sedi figura peraltro nell’anno accademico 2006-2007 un solo iscritto, mentre in 15 delle medesime sedi risultano nello stesso anno accademico un numero di iscritti pari o minore a 10".
CRESCITA ESPONENZIALE DEI DOCENTI A CONTRATTO
"Non ultimo va considerato, in termini di impatto sui maggiori costi del sistema universitario nonché in parte anche sulla non sempre verificabile qualità dell’offerta formativa, il peso via via crescente che negli ultimi anni hanno assunto i professori a contratto, esterni ai ruoli universitari. Senza considerare gli incarichi per attività didattiche integrative, i professori a contratto hanno subito infatti una variazione in aumento del 67 per cento tra l’anno accademico 2001-2002 (con un numero pari a 20.848 unità) e l’anno accademico 2007-2008 (con un numero pari a 34.726).
(...) Secondo i dati riportati nel citato rapporto del CNVSU, nell’anno accademico 2006-2007 la percentuale dei crediti coperti da docenti esterni all’ateneo non appartenenti a ruoli dell’università si aggirava attorno ad un valore medio che superava il 15 per cento del totale dell’offerta formativa, con punte significative in gruppi di facoltà come architettura (con il 33,4 per cento), lettere e filosofia (con il 17,3 per cento), lingue e letteratura straniere (con il 20,1 per cento), scienza della formazione (con il 23,4 per cento), sociologia (con il 28,4 per cento). I dati riportati nel testo provvisorio del X rapporto del CNVSU confermano la tendenza in crescita anche per l’anno accademico 2007-2008 con una percentuale dei crediti coperti da docenti esterni all’ateneo non appartenenti a ruoli dell’università attorno ad un valore medio di quasi il 19 per cento del totale dell’offerta formativa.
I valori indicati sembrano evidenziare l’anomalia di un fenomeno che, se fisiologico per aree disciplinari nelle quali occorrono competenze specifiche normalmente non presenti nei ruoli universitari, appare singolare in non pochi casi, ove l’insegnamento a contratto verrebbe in realtà a configurarsi come modalità sostitutiva di un’offerta.
SCARSA DOMANDA DI LAUREATI TRIENNALI E FORTE PRECARIATO PER TUTTI
"I dati rilevano che nel 2007 circa il 41 per cento dei laureati in corsi lunghi e ben il 48 per cento dei laureati triennali lavora con contratti a termine, spesso non per una scelta autonoma ma in conseguenza di difficoltà riscontrate nella ricerca di un posto di lavoro.
Ad avere un’occupazione a tempo indeterminato è il 40,6 per cento dei giovani che hanno conseguito un titolo lungo e il 42,4 per cento dei laureati triennali mentre ad intraprendere un’attività autonoma è solo il 19 per cento dei laureati dei corsi lunghi e il 9 per cento dei laureati triennali".
POCHI FONDI PER L'AVVIAMENTO AL LAVORO
Il coinvolgimento degli atenei in questa nuova attività, già peraltro avviata da quasi tutte le università, ora tenute anche ad interconnettersi alla borsa nazionale continua del lavoro, mira ad implementare rapporti più stabili di collaborazione con le aziende, stimolandone la richiesta di informazioni rispetto alle attività didattiche e di ricerca degli atenei, con l’obiettivo di individuare possibili aree di interesse ed, eventualmente, giovani laureati da inserire in azienda.
Questo processo, ovviamente più diffuso in quei contesti territoriali caratterizzati da un contesto socio-economico dinamico, è tuttavia ancora affidato all’intraprendenza delle singole università sui cui bilanci ricadono in definitiva i costi del servizio, con la conseguenza che solo gli a tenei dotati di adeguati mezzi finanziari potrebbero essere in grado di avviare un’attività di intermediazione rivolta non esclusivamente ai propri laureati".
FONDI INSUFFICIENTI PER APPLICARE LA RIFORMA DELLA DIDATTICA
L’analisi dei dati evidenzia un tasso di incremento delle risorse del FFO in progressiva diminuzione ed una crescita nettamente più elevata delle spese del personale determinata da dinamiche volte ad avviare la riforma degli ordinamenti didattici e ad assicurare i necessari ricambi generazionali.
Ne consegue un progressivo irrigidimento delle risorse assegnate per il funzionamento delle università quasi interamante assorbite dalla spesa per la corresponsione degli assegni fissi al personale che in base ai dati rilevati dal MIUR si attesta sin dal 1998 sopra l’82 per cento del valore del FFO per raggiungere l’89,5 % nel 2008.
Lo squilibrio, confermato anche a livello di singolo ateneo, non tiene inoltre conto del rilevante ammontare delle retribuzioni accessorie. Considerando anche tali voci retributive le rilevazioni del MIUR evidenziano un andamento delle spese di personale che nel loro complesso assorbono interamente le risorse provenienti dal FFO.
ATENEI KO PER LA RIDUZIONE DEL FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO
Le difficoltà finanziarie degli atenei potrebbero accentuarsi anche a seguito delle più recenti misure legislative che, a fronte della riduzione progressiva del FFO, non hanno attualmente rifinanziato, a decorrere dal 2011, il Fondo straordinario di cui all’art. 2, comma 428 della legge 244/2007, né hanno confermato i correttivi alla spesa per il personale previsti nel periodo 2004-2008.
Ciò richiede, da un lato, la necessità, per ciascun ateneo, di fronteggiare i nuovi oneri attraverso un’opportuna rimodulazione dei propri bilanci ed un appropriato processo di riallocazione delle risorse e suggerisce, dall’altro, di ripensare l’attuale sistema di finanziamento al fine di garantire agli atenei un adeguato livello di spesa sia per il funzionamento e le attività istituzionali che per i progetti di investimento".

Indagine Demoskopica: in Calabria imprese in ginocchio per ritardi pagamenti Regione

“Il credito maturato verso gli enti pubblici calabresi ammonta ad oltre 2 miliardi di euro, che genera un aggravio di costi aziendali per 300 milioni di euro”. E' quanto emerge dall'analisi regionale realizzata dall'Istituto Demoskopika. Per 9 imprenditori su 10 le situazioni piu' critiche si verificano negli uffici regionali con un ritardo medio di oltre 150 giorni.


Il presidente dell'Istituto Demoskopika, Raffaele Rio, ha detto che ''i notevoli ritardi nei pagamenti mettono in ginocchio le imprese calabresi, rendendole piu' vulnerabili alla criminalita' organizzata e al mercato dell'usura''. Oltre 2 miliardi i crediti maturati, quindi - sostiene Demoskopica - dalle aziende con tempi medi di pagamento che hanno raggiunto i 135 giorni di ritardo a fronte di una media europea pari a 65 giorni. Una performance negativa del mercato pubblico che pesa negativamente sulle imprese con un aggravio di costi stimato in 300 milioni di euro causato - secondo 7 imprenditori calabresi su 10 - dalla proliferazione di norme sempre piu' numerose e complesse. In Calabria si calcola che i tempi medi di pagamento abbiano raggiunto i 135 giorni di ritardo, in pratica almeno 40 giorni in piu' dei termini contrattuali previsti (con punte che arrivano anche a oltre 6 mesi secondo il 27 per cento delle imprese intervistate). Un valore decisamente superiore a quello medio europeo, - sostiene Demoskopica - che si attesta sui 65 giorni. Dai dati esposti, emerge che in media le aziende calabresi devono aspettare circa 4,40 mesi ossia circa 135 giorni, per vedersi liquidare le fatture da parte della PA, dato questo perfettamente in linea con quanto rilevato dalle indagini svolte a livello nazionale. Nel caso specifico, si nota che circa il 90% dei rispondenti indica che le situazioni di maggior ritardo si verificano con la Regione, percentuale, ben superiore alle altre osservabili, presentando di fatto un ritardo medio pari a 5,12 mesi, vale a dire 154 giorni, contro i 4,68 mesi (141 giorni) del Comune, i 4 mesi della provincia (120 giorni) e i 3,8 mesi di altri enti (114 giorni). Il campione di imprese che dichiara un aumento dei costi, legati alla PA e con un assenso pari al 71,1% degli intervistati, ha portato a giustificazione la presenza di norme piu' numerose e complesse, mentre il 25% dichiara che a causa dell'espansione dell'attivita' ''ne deve rispettare di piu'''. Per coloro i quali i costi sono diminuiti (15,5% del campione) la principale motivazione addotta (55,8%) riguarda il fatto che si e' verificata una riduzione dell'attivita' dell'impresa. Per il 30,2%, inoltre, il calo e' dovuto al fatto che all'interno dell'azienda e' stata fatta una riorganizzazione nella gestione delle prescrizioni normative. Infine, una quota minore (13,9%) ritiene che tale diminuzione e' data dall'avvenuta semplificazione delle procedure con i sistemi on-line etc, (11,6%) o per la diminuzione del numero di norme o minore complessita' delle normative (2,3%). ''Nel 2009 in Calabria, le imprese hanno fornito beni e servizi per un valore di 3,7 miliardi di euro alla Pubblica Amministrazione centrale ed alle amministrazioni locali (comuni, province, regioni, ecc.) - afferma Demoskopica - generando un giro di affari che sfiora circa il 12,3% del Pil, e rappresentando di fatto un importante mercato per migliaia di aziende. A fronte di cio', pero', i crediti commerciali che le aziende calabresi vantano nei confronti della Pubblica Amministrazione ammonterebbero a quasi di 2,1 miliardi di euro e sono legati principalmente ai ritardi di pagamento da parte dei soggetti istituzionali pubblici. Negli ultimi anni, infatti, i costi legati agli adempimenti amministrativi e burocratici - conlude Demoskopica - sono aumentati per il 46 per cento degli imprenditori, rimasti invariati per circa un terzo e diminuiti soltanto per il 15,5 per cento.

da www.strill.it del 21.04.2010

Regione: Giunta delibera richiesta differimento termine entrata in vigore legge antisismica

 Su proposta dell’Assessore ai LL.PP. Giuseppe Gentile, la Giunta regionale ha preso atto della relazione del Direttore generale del Dipartimento che ha rappresentato l’impossibilità di poter dare attuazione, per carenza di personale e di risorse, alla legge antisismica che, altrimenti, entrerebbe in vigore l’undici maggio prossimo. Di conseguenza, la Giunta ha deliberato di richiedere un differimento del termine di entrata in vigore della legge e, a scopo precauzionale, ha ordinato la sospensione dell’efficacia del regolamento regionale esecutivo della stessa legge, nelle more delle decisioni che assumerà il Consiglio.

martedì 20 aprile 2010

"La ricerca scientifica al centro del programma di Scopelliti"


"La ricerca scientifica e' al centro del programma del Presidente Scopelliti". Questo Mario Caligiuri, assessore con le deleghe all'universita' e ricerca scientifica, ha comunicato telefonicamente ai quattro Rettori delle universita' calabresi per un primo contatto istituzionale e per annunciare appena possibile incontri operativi.

lunedì 19 aprile 2010

La Corte dei Conti boccia il 3+2 !


Roma, 19 apr. (Adnkronos/Labitalia) - La riforma dell'università che ha introdotto il sistema 'a doppio ciclo', laurea e laurea specialistica (il cosiddetto '3+2'), "non ha prodotto i risultati attesi né in termini di aumento dei laureati né in termini di miglioramento della qualità dell'offerta formativa". E' la valutazione espressa dalla Corte dei Conti nel 'Referto sul Sistema Universitario', pubblicato oggi.
Tra gli effetti negativi della riforma del 1999, aggiungono i magistrati contabili, c'è anche quello di "aver generato un sistema incrementale di offerta, certamente sino all'anno accademico 2007-2008, con un'eccessiva frammentazione delle attività formative ed una moltiplicazione spesso non motivata dei corsi di studio".

La Corte dei Conti sottolinea come "a fronte di un dato sostanzialmente stabilizzato del numero degli iscritti, nell'ultimo quinquennio, su un valore di poco superiore a 1.800.000 unità" sia "ancora rilevante la cifra relativa agli abbandoni dopo il primo anno pari (nell'anno accademico 2006-2007) al 20%, un valore sostanzialmente analogo a quello degli anni precedenti la riforma degli ordinamenti didattici". In netto aumento, invece, nell'anno 2007-2008, il numero dei laureati già in possesso del titolo di laurea breve: 73.887 nel 2008 rispetto a 38.214 nel 2006".
Quello che i magistrati contabili sottolineano è "il fenomeno della proliferazione dei corsi di studio, che passano dai 2.444 dell'anno accademico 1999-2000 ai 3.103 dell'anno accademico 2007-2008". I dati sono relativi alle 'immatricolazioni pure' cioè ai corsi di I livello o ai cicli unici. Se si aggiungono anche i corsi di II livello, il numero complessivo di corsi attivi nell'anno accademico 2007-2008 è di 5.519 a fronte dei 4.539 dell'anno 2003-2004.
"Una certa inversione di tendenza - annota la Corte dei Conti - in conseguenza dei decreti di riforma del 2004 e del 2007, comincia a registrarsi solo a partire dall'anno accademico 2008-2009, con un decremento rispetto all'anno precedente del 7,4% per i corsi di I livello, e del 2,6% per i corsi di II livello". Una tendenza che, secondo la Corte dei Conti, dovrebbe essere confermata anche per l'anno accademico in corso (2010-2011).