da larepubblica.it del 13.6.2010
Sull’università italiana, alle prese con cronici problemi di sottofinanziamento, sta per abbattersi una tegola giudiziaria che potrebbe far sballare i bilanci di molti atenei che in questi anni hanno attinto all’inesauribile bacino dei “docenti a contratto” in maniera un po’ troppo disinvolta. Accanto ai professori “strutturati” (ordinari e associati) e ai ricercatori, incardinati nel sistema accademico, esiste infatti una larghissima fetta di freelance della cattedra - “esterni” all’università - che di fatto svolgono le loro stesse mansioni (insegnamento frontale, ricevimento degli studenti, esami e sedute di laurea) percependo però un compenso simbolico e talvolta addirittura gratis. Il tutto senza alcun trattamento assistenziale e previdenziale. Un’evidente disparità che l’associazione di consumatori Codacons si propone di sanare attraverso una class action di portata nazionale.
Docenti discriminati. Il presidente del Codacons, l’avvocato Carlo Rienzi, fa una stima del fenomeno: “Oggi, in un pullulare di nuovi corsi di laurea, a fronte di un 45% circa di professori strutturati, ivi compresi i ricercatori, il 55% del corpo docente è composto da professori a contratto che, pur essendo impegnati in mansioni del tutto paritetiche a quelle dei docenti interni, ricevono un trattamento economico a dir poco insignificante e sono privi di qualunque tutela assistenziale e previdenziale”. Per questo il Codacons ha deciso di schierarsi a difesa dei diritti che finora sono stati negati ai professori a contratto e di agire con un’azione giurisdizionale contro le Università e i Ministeri responsabili di un simile “caso” tutto italiano.
Correva l’anno 1998. La figura del docente a contratto nasce per decreto, firmato dall’allora ministro dell’Università Luigi Berlinguer, con lo specifico compito di “sopperire a particolari e motivate esigenze didattiche”: grazie a questa norma le università possono stipulare, laddove lo ritengano necessario, contratti di diritto privato con “studiosi od esperti di comprovata qualificazione professionale e scientifica” per l’insegnamento nei corsi e per lo svolgimento di attività didattiche integrative. Ben presto, però, quella che doveva essere una misura “eccezionale” diventa la regola e in pochi anni - complice anche la riforma del 3+2 e la conseguente moltiplicazione delle cattedre - sono sempre di più i corsi che vengono “appaltati” a professori a contratto low cost. Nel 2007 il decreto Mussi fissa un tetto del 50% agli insegnamenti affidati a contratto in ciascun corso di laurea, ma si tratta di una misura tardiva e poco incisiva: il fenomeno ha ormai assunto una dimensione preoccupante.
I furbetti del “contrattino”. Le cifre dell’Ufficio di Statistica del Miur, peraltro, confermano in pieno il ricorso massiccio degli atenei al bacino dei “contrattisti” per l’affidamento di moduli didattici all’interno delle facoltà. Il tutto a fronte di un sostanziale immobilismo nelle categorie dei docenti “strutturati”, rilevato al 31 dicembre di ciascun anno accademico: nel 2002 gli ordinari erano 18.131, nel 2008 18.929 (con un picco nel 2006, 19.845); stesso discorso per gli associati, che nel 2002 erano 18.502 e nel 2008 18.256. Variazioni poco significative. I docenti a contratto, invece, hanno avuto fin da subito un peso importante e crescente anno dopo anno, con veri e propri exploit: i titolari di insegnamenti ufficiali e/o attività didattiche integrative nel 2002 erano 31.775, nel 2008 ben 48.692 (con un picco di 51.365 nel 2007). Prova “provata” che le università hanno utilizzato lo strumento del “contrattino” per mantenere - e in taluni casi ampliare - l’offerta formativa “appaltando” intere cattedre all’esterno: una manna per il bilancio d’ateneo, che ora però potrebbe trasformarsi in un boomerang per i rettori.
Class action per tutti. La strategia processuale vagliata dal Codacons per i professori a contratto si snoda in due fasi distinte ma connesse tra loro: la prima consiste nella proposizione di un ricorso al Tar (Tribunale Amministrativo Regionale) che potrà essere intrapreso individualmente da ciascun docente universitario a contratto interessato; la seconda, a cui i professori a contratto ricorrenti al Tar potranno aderire gratuitamente, essendo loro richiesto solo il versamento di parte della quota di iscrizione all’associazione, consiste nella proposizione di una class action di portata nazionale. “Entrambe le azioni - sottolinea il presidente Rienzi - saranno volte al ripristino della legalità con conseguente riconoscimento in capo ai docenti del diritto alla corresponsione di una giusta retribuzione e del trattamento previdenziale e assistenziale, oltre al pagamento delle differenze retributive già maturate”.
Docenti discriminati. Il presidente del Codacons, l’avvocato Carlo Rienzi, fa una stima del fenomeno: “Oggi, in un pullulare di nuovi corsi di laurea, a fronte di un 45% circa di professori strutturati, ivi compresi i ricercatori, il 55% del corpo docente è composto da professori a contratto che, pur essendo impegnati in mansioni del tutto paritetiche a quelle dei docenti interni, ricevono un trattamento economico a dir poco insignificante e sono privi di qualunque tutela assistenziale e previdenziale”. Per questo il Codacons ha deciso di schierarsi a difesa dei diritti che finora sono stati negati ai professori a contratto e di agire con un’azione giurisdizionale contro le Università e i Ministeri responsabili di un simile “caso” tutto italiano.
Correva l’anno 1998. La figura del docente a contratto nasce per decreto, firmato dall’allora ministro dell’Università Luigi Berlinguer, con lo specifico compito di “sopperire a particolari e motivate esigenze didattiche”: grazie a questa norma le università possono stipulare, laddove lo ritengano necessario, contratti di diritto privato con “studiosi od esperti di comprovata qualificazione professionale e scientifica” per l’insegnamento nei corsi e per lo svolgimento di attività didattiche integrative. Ben presto, però, quella che doveva essere una misura “eccezionale” diventa la regola e in pochi anni - complice anche la riforma del 3+2 e la conseguente moltiplicazione delle cattedre - sono sempre di più i corsi che vengono “appaltati” a professori a contratto low cost. Nel 2007 il decreto Mussi fissa un tetto del 50% agli insegnamenti affidati a contratto in ciascun corso di laurea, ma si tratta di una misura tardiva e poco incisiva: il fenomeno ha ormai assunto una dimensione preoccupante.
I furbetti del “contrattino”. Le cifre dell’Ufficio di Statistica del Miur, peraltro, confermano in pieno il ricorso massiccio degli atenei al bacino dei “contrattisti” per l’affidamento di moduli didattici all’interno delle facoltà. Il tutto a fronte di un sostanziale immobilismo nelle categorie dei docenti “strutturati”, rilevato al 31 dicembre di ciascun anno accademico: nel 2002 gli ordinari erano 18.131, nel 2008 18.929 (con un picco nel 2006, 19.845); stesso discorso per gli associati, che nel 2002 erano 18.502 e nel 2008 18.256. Variazioni poco significative. I docenti a contratto, invece, hanno avuto fin da subito un peso importante e crescente anno dopo anno, con veri e propri exploit: i titolari di insegnamenti ufficiali e/o attività didattiche integrative nel 2002 erano 31.775, nel 2008 ben 48.692 (con un picco di 51.365 nel 2007). Prova “provata” che le università hanno utilizzato lo strumento del “contrattino” per mantenere - e in taluni casi ampliare - l’offerta formativa “appaltando” intere cattedre all’esterno: una manna per il bilancio d’ateneo, che ora però potrebbe trasformarsi in un boomerang per i rettori.
Class action per tutti. La strategia processuale vagliata dal Codacons per i professori a contratto si snoda in due fasi distinte ma connesse tra loro: la prima consiste nella proposizione di un ricorso al Tar (Tribunale Amministrativo Regionale) che potrà essere intrapreso individualmente da ciascun docente universitario a contratto interessato; la seconda, a cui i professori a contratto ricorrenti al Tar potranno aderire gratuitamente, essendo loro richiesto solo il versamento di parte della quota di iscrizione all’associazione, consiste nella proposizione di una class action di portata nazionale. “Entrambe le azioni - sottolinea il presidente Rienzi - saranno volte al ripristino della legalità con conseguente riconoscimento in capo ai docenti del diritto alla corresponsione di una giusta retribuzione e del trattamento previdenziale e assistenziale, oltre al pagamento delle differenze retributive già maturate”.
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