da sito corriere.it del 19.6.2010
Nei primi sei mesi di questo governo Mariastella Gelmini, uno dei ministri allora più attivi, lavorò ad un ampio progetto di riforma dell’università. Affinché nessuno potesse aver dubbi sulla serietà delle sue intenzioni, nel novembre 2008 ella portò in Consiglio dei ministri un decreto legge che da un giorno all’altro fece saltare migliaia di concorsi universitari, sui cui risultati le baronie accademiche si erano accordate prima ancora che le commissioni giudicatrici si riunissero. Lo sgomento fu tale che il progetto avanzò speditamente: la riforma era pronta nel gennaio 2009. Per portarla in Consiglio dei ministri fu necessario attendere nove mesi, un tempo perduto senza alcun motivo. Il governo finalmente la approvò il 28 ottobre 2009. Quel giorno, accompagnando il ministro Gelmini nella presentazione alla stampa della nuova legge, Giulio Tremonti disse: «Quella dell’università è una nostra grande riforma ».
Nei primi sei mesi di questo governo Mariastella Gelmini, uno dei ministri allora più attivi, lavorò ad un ampio progetto di riforma dell’università. Affinché nessuno potesse aver dubbi sulla serietà delle sue intenzioni, nel novembre 2008 ella portò in Consiglio dei ministri un decreto legge che da un giorno all’altro fece saltare migliaia di concorsi universitari, sui cui risultati le baronie accademiche si erano accordate prima ancora che le commissioni giudicatrici si riunissero. Lo sgomento fu tale che il progetto avanzò speditamente: la riforma era pronta nel gennaio 2009. Per portarla in Consiglio dei ministri fu necessario attendere nove mesi, un tempo perduto senza alcun motivo. Il governo finalmente la approvò il 28 ottobre 2009. Quel giorno, accompagnando il ministro Gelmini nella presentazione alla stampa della nuova legge, Giulio Tremonti disse: «Quella dell’università è una nostra grande riforma ».
Era anche un’occasione per dimostrare in modo concreto che la svolta riformatrice annunciata da Berlusconi (addirittura la proposta di cambiare la Costituzione per introdurvi principi liberisti) non si limita a qualche chiacchiera durante i talk-show. La commissione Istruzione del Senato ha studiato il progetto per otto mesi, lo ha modificato in più punti, e il 19 maggio scorso lo ha approvato e passato all’Aula per la votazione finale. L’intenzione era di procedere rapidamente, in modo che la legge potesse essere trasmessa alla Camera in giugno e definitivamente approvata prima dell’inizio del nuovo anno accademico. Settimana dopo settimana, il voto nell’aula del Senato viene prima posto in calendario, poi rimandato. A questo punto è improbabile che la Camera ne discuta prima dell’estate. In autunno il Parlamento è impegnato nella legge Finanziaria: di riforma dell’università si ricomincerà a discutere a gennaio 2011, due anni dal giorno in cui il ministro ne concluse la stesura. Questo con un governo che dispone di una maggioranza amplissima e che non si fa scrupolo nell’usare il voto di fiducia per questioni forse un po’ meno importanti del futuro dei nostri figli.
Nel frattempo le università stanno lentamente morendo, pur continuando a produrre privilegi per pochi e sofferenza per i più. La dedizione di molti insegnanti è ammirevole, ma i ricercatori migliori, appena possono, scappano altrove. La riforma Gelmini è lungi dall’essere una legge ideale. Ma è un passo avanti, soprattutto nelle nuove modalità di reclutamento. Perché è stata fermata? Forse nella maggioranza hanno prevalso i vecchi baroni che dopo lo scacco del novembre 2008 oggi si sono ripresi e difendono i privilegi che la riforma sottrae loro (pochi peraltro). Forse l’iniziale popolarità del ministro lombardo dell’Università ha preoccupato la Lega, che per lei ha decretato la sorte che è toccata a Venezia a Renato Brunetta, lui pure giudicato un concorrente pericoloso di Giulio Tremonti e dei lumbard. Forse il governo ha semplicemente scelto di lasciar morire l’università per lento soffocamento. I ricchi possono sempre mandare i loro figli a studiare in Inghilterra. I poveracci meglio se all’università non ci vanno: continuino a guardare la tv e non leggano troppi libri, così non si faranno venire strane idee.
di Francesco Giavazzi
19 giugno 2010
19 giugno 2010
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