da sito giornale.it del 6 Luglio 2010
«Non credo che noi non siamo corresponsabili riguardo ai provvedimenti sull’università da parte dei governi di centrodestra e di centrosinistra. Il 30% dei ricercatori della facoltà di Giurisprudenza non ha prodotto nulla nell’ambito della ricerca scientifica e in generale alla Sapienza il 10% dei ricercatori non ha prodotto nulla in 10 anni. Queste persone vanno cacciate dall’università». Con queste parole durissime, il rettore della Sapienza Luigi Frati ha spezzato un tabù atavico, quello della solidarietà accademica per cui i panni sporchi si lavano in famiglia.
Non che Frati abbia scoperto l’America. In molti dipartimenti, specie nelle facoltà umanistiche, fino a qualche (...)
(...) anno fa, esisteva una legione di ricercatori magari assunti ope legis, cioè senza concorso e valutazione nazionale. All’inizio degli anni Novanta, quando chi scrive frequentava le aule, questi ricercatori notoriamente ricercavano solo il mondo di arrivare a sera senza annoiarsi troppo. L’unica, gravosa (si fa per dire) incombenza era sostenere gli appelli con gli studenti, dare consigli sui piani di studio e poco altro. C’è chi è andato in pensione senza neppure tentare un concorso per diventare almeno associato, forse perché mancante di una adeguata produzione accademica da esibire come titolo di merito. Per carità, il mondo dell’università è complesso, c’è dentro di tutto. Inclusi molti eroi che si ammazzano di fatica nonostante le condizioni economiche poco favorevoli fra stipendi troppo bassi e risibili finanziamenti a progetto, insufficienti per concludere il progetto stesso. Spesso essi sopperiscono con la fantasia, e se possono perfino di tasca propria, alle lacune della istituzione. Hanno quindi ogni ragione di essere insoddisfatti.
Chi tra loro, in questi giorni, si unisce alla protesta degli studenti contro i tagli della riforma Gelmini e della manovra finanziaria sbaglia però obiettivo. Perché il governo mette una pezza a spese troppo a lungo incontrollate, che hanno finito col danneggiare proprio chi vuole studiare, sia egli una matricola o un ricercatore. Le forme di mobilitazione annunciate oscillano poi fra il folklore (tenere gli appelli per strada, possibilmente di notte) e il semplice danno arrecato a chi vorrebbe esercitare il diritto di svolgere regolarmente, nell’ambito della legalità, i propri esami di profitto. Ma i professori non dovrebbero tutelare la dignità dei loro allievi?
Il rettore Frati quindi rincara la dose: «Bisogna reclamare la progressione economica solo per i meritevoli. C’è chi ruba lo stipendio: ci sono persone che lo prendono da anni e non fanno nulla. Facciamo pulizia a casa nostra per avere maggiore autorità morale». Giusto, sacrosanto. Però c’è da rivedere anche dell’altro: il sistema di reclutamento che non pare orientato all’assunzione dei migliori. E magari, tra i capitoli di spesa, si potrebbe dare un’occhiata anche ai costi delle riviste universitarie, incredibilmente moltiplicatesi come funghi negli ultimi anni. Ogni dipartimento ormai ha la sua: spesso per niente autorevole, funziona come ricettacolo di articoli mediocri ma utili a dare l’impressione che i cervelli siano in costante ebollizione.
Probabilmente, da un’inchiesta del genere, salterebbe fuori che le spese sono fuori controllo, o comunque sproporzionate al valore scientifico della pubblicazione. Chi le finanzia? Anche questi sono sprechi.
da sito della Repubblica del 6.7.2010
"Il 30% dei ricercatori della facoltà di Giurisprudenza nulla ha prodotto nell'ambito della ricerca scientifica e in generale alla Sapienza il 10% dei ricercatori non ha prodotto nulla in 10 anni. Queste persone vanno cacciate dall'università. Molti rubano lo stipendio e non fanno nulla. Così siamo in parte corresponsabili delle decisioni dei governi", tagli compresi quindi.
Parole di fuoco quelle del rettore della Sapienza Luigi Frati che dopo aver criticato il blocco degli esami attuato per protesta ha anche annunciato di aver fatto una contestazione disciplinare ad un professore ex ministro perché aveva accettato incarichi extradisciplinari. Teatro delle accuse ai "fannulloni", una conferenza stampa dei presidi delle facoltà umanistiche dell'ateneo riuniti per dire no ai tagli previsti dalla riforma Gelmini e dalla manovra finanziaria.
Le sue parole, le accuse hanno provocato stupore e contestazioni aperte tra docenti e ricercatori che urlavano "vergogna" rivendicando la bontà delle azioni di lotta: esami a lume di candela o nei viali dell'ateneo a partire dal 13 luglio.
"Queste azioni sono l'unico modo per far capire che con i tagli corriamo il rischio di finire in strada, con una drastica riduzione dei docenti, un terzo in 5 anni, la chiusura di alcuni corsi e per alcune facoltà il numero programmato", ha spiegato il preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Franco Piperno, in prima fila assieme agli altri presidi de La Sapienza.
Come negli altri atenei italiani, si contesta la riforma che introduce il ricercatore a tempo determinato, relegando chi è già dentro l'università su una sorta di binario morto. Si accusa il governo che taglia i fondi per la formazione e la ricerca.
"In cinque anni La Sapienza perderà oltre un terzo dei docenti, circa 1.300 professori, con un blocco nel ricambio dei professori. Dal turno over arriveremo al gave over dell'università", sbotta il preside della facoltà di Scienze umanistiche, Roberto Nicolai.
I docenti hanno annunciato che il 65% dei ricercatori di Lettere ha deciso che se non cambieranno le cose non assumerà incarichi didattici; molti corsi potrebbero quindi non partire.
E Roma è solo uno spicchio della realtà italiana. Un universo che conta oltre 25mila ricercatori (arrivano a 40mila con i borsisti, assegnisti di ricerca, specializzandi) che vive di stipendi lordi dai 16mila ai 21mila euro l'anno in un paese che per la ricerca spende già ora solo lo 0,9 del pil. Numeri lontani anni luce da altre realtà europee visto che Finlandia o la Danimarca spendono l'1,7 del prodotto interno lordo mentre nel mondo Canada e Stati Uniti arrivano ben al 2,9. Come dire, il nostro paese investe 5 miliardi di euro in meno rispetto alla media europea.
Con i nuovi tagli andrà ancora peggio. "Il governo deve trovare i soldi per le università altrimenti rischiamo di essere sempre meno competivi a livello mondiale, di uscire dal contesto europeo". Il professor Enrico De Cleva, presidente della Conferenza dei rettori, spera ancora che il Senato a fine mese migliori il disegno di legge e recuperi risorse. "Con i catastrofismi e con la mannaia non si va da nessuna parte. Il problema non è cacciare gli indegni, i fannulloni - i dati milanesi parlano di un 5 per cento che non ha prodotto ricerche - ma rendersi conto che la riforma dell'università è l'unico tipo di risposta. Ci sono situazioni che non vanno, come ovunque, ma non serve intervenire con la scimitarra. Se il problema è valorizzare il merito, sono d'accordo con Frati, ma bisogna avere la risorse per farlo". Sulla scarsa produttività dei ricercatori pensa che forse producono poco perché oberati di impegni tra esami e corsi da preparare, ma pur criticando i tagli non è d'accordo con lo sciopero degli esami come metodo di lotta. "Vorrei ricordare a ricercatori e docenti che nonostante le giuste rivendicazioni hanno dei doveri nei confronti degli studenti, del paese".
Non che Frati abbia scoperto l’America. In molti dipartimenti, specie nelle facoltà umanistiche, fino a qualche (...)
(...) anno fa, esisteva una legione di ricercatori magari assunti ope legis, cioè senza concorso e valutazione nazionale. All’inizio degli anni Novanta, quando chi scrive frequentava le aule, questi ricercatori notoriamente ricercavano solo il mondo di arrivare a sera senza annoiarsi troppo. L’unica, gravosa (si fa per dire) incombenza era sostenere gli appelli con gli studenti, dare consigli sui piani di studio e poco altro. C’è chi è andato in pensione senza neppure tentare un concorso per diventare almeno associato, forse perché mancante di una adeguata produzione accademica da esibire come titolo di merito. Per carità, il mondo dell’università è complesso, c’è dentro di tutto. Inclusi molti eroi che si ammazzano di fatica nonostante le condizioni economiche poco favorevoli fra stipendi troppo bassi e risibili finanziamenti a progetto, insufficienti per concludere il progetto stesso. Spesso essi sopperiscono con la fantasia, e se possono perfino di tasca propria, alle lacune della istituzione. Hanno quindi ogni ragione di essere insoddisfatti.
Chi tra loro, in questi giorni, si unisce alla protesta degli studenti contro i tagli della riforma Gelmini e della manovra finanziaria sbaglia però obiettivo. Perché il governo mette una pezza a spese troppo a lungo incontrollate, che hanno finito col danneggiare proprio chi vuole studiare, sia egli una matricola o un ricercatore. Le forme di mobilitazione annunciate oscillano poi fra il folklore (tenere gli appelli per strada, possibilmente di notte) e il semplice danno arrecato a chi vorrebbe esercitare il diritto di svolgere regolarmente, nell’ambito della legalità, i propri esami di profitto. Ma i professori non dovrebbero tutelare la dignità dei loro allievi?
Il rettore Frati quindi rincara la dose: «Bisogna reclamare la progressione economica solo per i meritevoli. C’è chi ruba lo stipendio: ci sono persone che lo prendono da anni e non fanno nulla. Facciamo pulizia a casa nostra per avere maggiore autorità morale». Giusto, sacrosanto. Però c’è da rivedere anche dell’altro: il sistema di reclutamento che non pare orientato all’assunzione dei migliori. E magari, tra i capitoli di spesa, si potrebbe dare un’occhiata anche ai costi delle riviste universitarie, incredibilmente moltiplicatesi come funghi negli ultimi anni. Ogni dipartimento ormai ha la sua: spesso per niente autorevole, funziona come ricettacolo di articoli mediocri ma utili a dare l’impressione che i cervelli siano in costante ebollizione.
Probabilmente, da un’inchiesta del genere, salterebbe fuori che le spese sono fuori controllo, o comunque sproporzionate al valore scientifico della pubblicazione. Chi le finanzia? Anche questi sono sprechi.
da sito della Repubblica del 6.7.2010
"Il 30% dei ricercatori della facoltà di Giurisprudenza nulla ha prodotto nell'ambito della ricerca scientifica e in generale alla Sapienza il 10% dei ricercatori non ha prodotto nulla in 10 anni. Queste persone vanno cacciate dall'università. Molti rubano lo stipendio e non fanno nulla. Così siamo in parte corresponsabili delle decisioni dei governi", tagli compresi quindi.
Parole di fuoco quelle del rettore della Sapienza Luigi Frati che dopo aver criticato il blocco degli esami attuato per protesta ha anche annunciato di aver fatto una contestazione disciplinare ad un professore ex ministro perché aveva accettato incarichi extradisciplinari. Teatro delle accuse ai "fannulloni", una conferenza stampa dei presidi delle facoltà umanistiche dell'ateneo riuniti per dire no ai tagli previsti dalla riforma Gelmini e dalla manovra finanziaria.
Le sue parole, le accuse hanno provocato stupore e contestazioni aperte tra docenti e ricercatori che urlavano "vergogna" rivendicando la bontà delle azioni di lotta: esami a lume di candela o nei viali dell'ateneo a partire dal 13 luglio.
"Queste azioni sono l'unico modo per far capire che con i tagli corriamo il rischio di finire in strada, con una drastica riduzione dei docenti, un terzo in 5 anni, la chiusura di alcuni corsi e per alcune facoltà il numero programmato", ha spiegato il preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Franco Piperno, in prima fila assieme agli altri presidi de La Sapienza.
Come negli altri atenei italiani, si contesta la riforma che introduce il ricercatore a tempo determinato, relegando chi è già dentro l'università su una sorta di binario morto. Si accusa il governo che taglia i fondi per la formazione e la ricerca.
"In cinque anni La Sapienza perderà oltre un terzo dei docenti, circa 1.300 professori, con un blocco nel ricambio dei professori. Dal turno over arriveremo al gave over dell'università", sbotta il preside della facoltà di Scienze umanistiche, Roberto Nicolai.
I docenti hanno annunciato che il 65% dei ricercatori di Lettere ha deciso che se non cambieranno le cose non assumerà incarichi didattici; molti corsi potrebbero quindi non partire.
E Roma è solo uno spicchio della realtà italiana. Un universo che conta oltre 25mila ricercatori (arrivano a 40mila con i borsisti, assegnisti di ricerca, specializzandi) che vive di stipendi lordi dai 16mila ai 21mila euro l'anno in un paese che per la ricerca spende già ora solo lo 0,9 del pil. Numeri lontani anni luce da altre realtà europee visto che Finlandia o la Danimarca spendono l'1,7 del prodotto interno lordo mentre nel mondo Canada e Stati Uniti arrivano ben al 2,9. Come dire, il nostro paese investe 5 miliardi di euro in meno rispetto alla media europea.
Con i nuovi tagli andrà ancora peggio. "Il governo deve trovare i soldi per le università altrimenti rischiamo di essere sempre meno competivi a livello mondiale, di uscire dal contesto europeo". Il professor Enrico De Cleva, presidente della Conferenza dei rettori, spera ancora che il Senato a fine mese migliori il disegno di legge e recuperi risorse. "Con i catastrofismi e con la mannaia non si va da nessuna parte. Il problema non è cacciare gli indegni, i fannulloni - i dati milanesi parlano di un 5 per cento che non ha prodotto ricerche - ma rendersi conto che la riforma dell'università è l'unico tipo di risposta. Ci sono situazioni che non vanno, come ovunque, ma non serve intervenire con la scimitarra. Se il problema è valorizzare il merito, sono d'accordo con Frati, ma bisogna avere la risorse per farlo". Sulla scarsa produttività dei ricercatori pensa che forse producono poco perché oberati di impegni tra esami e corsi da preparare, ma pur criticando i tagli non è d'accordo con lo sciopero degli esami come metodo di lotta. "Vorrei ricordare a ricercatori e docenti che nonostante le giuste rivendicazioni hanno dei doveri nei confronti degli studenti, del paese".
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