La firma del presidente Napolitano alla riforma universitaria è arrivata ieri accompagnata, preceduta si potrebbe dire per un senso mediatico di attesa, da una “nota di criticità” che si distingue per affermazioni in negativo, che, invece di sostenere l’opportunità della firma, suggeriscono la lettura “ho firmato non perché buona legge, ma perché non abbastanza malfatta da poter evitare di firmarla”. Senza seguire la strada dell’interpretazione, chi scrive ha una precisa valutazione di questa “riforma” e potrebbe essere portato a falsare il senso della nota. Cercando quindi di procedere con piena onestà intellettuale, ripercorriamo alcuni passaggi.
A fine luglio il Presidente Napolitano riceve dalla Rete29Aprile una lettera in cui si fa il punto su mesi di proteste che il mondo universitario ha ritenuto di mettere in atto contro una riforma che, al di là di specifici affondi su ricerca e diritto allo studio, mina l’università pubblica nel suo impianto. A tale lettera il Presidente risponde con una nota pubblica che invita l’esecutivo ad ascoltare la voce della ricerca.
L’invito del Presidente è disatteso, le proteste ignorate, sminuite o peggio confuse artatamente con altre iniziative. L’iter della legge procede con l’approssimazione che tutti ricordiamo e che può essere rappresentata, nel merito, dai precisi richiami della nota del Presidente; nella forma, dallo spettacolo dell’ultima presidenza dei lavori al Senato.
Nei mesi, il lavoro di protesta spicca al confronto del “lavoro” dell’esecutivo e del Parlamento per la serietà ed autorevolezza dei tanti ricercatori, studenti, precari e professori, che, data l’importanza di una riforma universitaria, hanno sentito il dovere di analizzare, denunciare, protestare e proporre. E’ proprio questa serietà ed autorevolezza ad imporre il dibattito alla stampa ed alla televisione, fornendo all’opinione pubblica occasioni di confronto.
In quel confronto tra chi “protesta” e chi “fa la legge” cosa emerge ? Che il consulente del ministro, Roger Abravenel, il lunedì precedente la discussione alla Camera, in diretta su La7, alla domanda su se sia un bene l’approvazione di questa riforma in queste condizioni risponde: “Non lo so”… Oppure che, secondo Valentina Aprea (presidente della commissione Cultura della Camera), sempre su La7, i politici non devono essere soggetti a valutazione, a differenza degli universitari…
In sintesi, fretta, approssimazione, presunzione, assenza di dialogo, il tutto con lo sfondo di una maggioranza sul limite della sfiducia e per una legge in cui errori e deleghe rendono appunto necessario accompagnare la firma del presidente della Repubblica con una nota esplicativa. E’ mettendo in prospettiva tutti questi elementi che vanno lette le parole del presidente Napolitano: “Promulgo la legge, ai sensi dell’art. 87 della Costituzione, non avendo ravvisato nel testo motivi evidenti e gravi per chiedere una nuova deliberazione alle Camere, correttiva della legge approvata a conclusione di un lungo e faticoso iter parlamentare. L’attuazione della legge è del resto demandata a un elevato numero di provvedimenti, a mezzo di delega legislativa, di regolamenti governativi e di decreti ministeriali; quel che sta per avviarsi è dunque un processo di riforma”.
Come a dire: gli errori ci sono ma non è grave perché le legge non c’è, quindi, invece di rimandarla alle camere, si confida in un cambio di condotta nella fase dei decreti attuativi. Non appare questo certo uno scenario adeguato ad un atto di firma pieno. Con le stesse premesse si sarebbe potuto dire che gli errori ci sono ma le legge non c’è e quindi, invece di confidare in un cambio di condotta nella fase dei decreti attuativi, si rinvia alle camere il testo.
Se gli aspetti giuridico-legislativi non sono quindi determinanti, quelli politici prevalgono, così una firma finisce anche col divenire firma di una certa conduzione squalificata della Presidenza del Senato, di una approssimazione di consulenti ministeriali, di una ostentata autoreferenzialità di un presidente di commissione Cultura, di una pericolosa prassi per cui si legifera alla leggera, tanto poi… e della stessa indifferenza al richiamo al dialogo del Capo dello Stato.
E’ certo che quest’ultimo ha agito nella consapevolezza di tutto ciò ed è certo anche che ha agito nell’interesse del Paese, quindi devono esserci state solide valutazioni ed elementi, oltre quanto contenuto nella nota che anzi suggerirebbe per il rinvio alle Camere, ad aver fatto propendere il presidente per la firma. Per la serietà della protesta, per il lavoro profuso, per il continuo rifiuto di scorciatoie, tutti quanti finora hanno protestato – gli stessi ragazzi e ricercatori ricevuti in Quirinale – tutti noi abbiamo diritto di conoscere queste valutazioni. Presidente ci spieghi.
A fine luglio il Presidente Napolitano riceve dalla Rete29Aprile una lettera in cui si fa il punto su mesi di proteste che il mondo universitario ha ritenuto di mettere in atto contro una riforma che, al di là di specifici affondi su ricerca e diritto allo studio, mina l’università pubblica nel suo impianto. A tale lettera il Presidente risponde con una nota pubblica che invita l’esecutivo ad ascoltare la voce della ricerca.
L’invito del Presidente è disatteso, le proteste ignorate, sminuite o peggio confuse artatamente con altre iniziative. L’iter della legge procede con l’approssimazione che tutti ricordiamo e che può essere rappresentata, nel merito, dai precisi richiami della nota del Presidente; nella forma, dallo spettacolo dell’ultima presidenza dei lavori al Senato.
Nei mesi, il lavoro di protesta spicca al confronto del “lavoro” dell’esecutivo e del Parlamento per la serietà ed autorevolezza dei tanti ricercatori, studenti, precari e professori, che, data l’importanza di una riforma universitaria, hanno sentito il dovere di analizzare, denunciare, protestare e proporre. E’ proprio questa serietà ed autorevolezza ad imporre il dibattito alla stampa ed alla televisione, fornendo all’opinione pubblica occasioni di confronto.
In quel confronto tra chi “protesta” e chi “fa la legge” cosa emerge ? Che il consulente del ministro, Roger Abravenel, il lunedì precedente la discussione alla Camera, in diretta su La7, alla domanda su se sia un bene l’approvazione di questa riforma in queste condizioni risponde: “Non lo so”… Oppure che, secondo Valentina Aprea (presidente della commissione Cultura della Camera), sempre su La7, i politici non devono essere soggetti a valutazione, a differenza degli universitari…
In sintesi, fretta, approssimazione, presunzione, assenza di dialogo, il tutto con lo sfondo di una maggioranza sul limite della sfiducia e per una legge in cui errori e deleghe rendono appunto necessario accompagnare la firma del presidente della Repubblica con una nota esplicativa. E’ mettendo in prospettiva tutti questi elementi che vanno lette le parole del presidente Napolitano: “Promulgo la legge, ai sensi dell’art. 87 della Costituzione, non avendo ravvisato nel testo motivi evidenti e gravi per chiedere una nuova deliberazione alle Camere, correttiva della legge approvata a conclusione di un lungo e faticoso iter parlamentare. L’attuazione della legge è del resto demandata a un elevato numero di provvedimenti, a mezzo di delega legislativa, di regolamenti governativi e di decreti ministeriali; quel che sta per avviarsi è dunque un processo di riforma”.
Come a dire: gli errori ci sono ma non è grave perché le legge non c’è, quindi, invece di rimandarla alle camere, si confida in un cambio di condotta nella fase dei decreti attuativi. Non appare questo certo uno scenario adeguato ad un atto di firma pieno. Con le stesse premesse si sarebbe potuto dire che gli errori ci sono ma le legge non c’è e quindi, invece di confidare in un cambio di condotta nella fase dei decreti attuativi, si rinvia alle camere il testo.
Se gli aspetti giuridico-legislativi non sono quindi determinanti, quelli politici prevalgono, così una firma finisce anche col divenire firma di una certa conduzione squalificata della Presidenza del Senato, di una approssimazione di consulenti ministeriali, di una ostentata autoreferenzialità di un presidente di commissione Cultura, di una pericolosa prassi per cui si legifera alla leggera, tanto poi… e della stessa indifferenza al richiamo al dialogo del Capo dello Stato.
E’ certo che quest’ultimo ha agito nella consapevolezza di tutto ciò ed è certo anche che ha agito nell’interesse del Paese, quindi devono esserci state solide valutazioni ed elementi, oltre quanto contenuto nella nota che anzi suggerirebbe per il rinvio alle Camere, ad aver fatto propendere il presidente per la firma. Per la serietà della protesta, per il lavoro profuso, per il continuo rifiuto di scorciatoie, tutti quanti finora hanno protestato – gli stessi ragazzi e ricercatori ricevuti in Quirinale – tutti noi abbiamo diritto di conoscere queste valutazioni. Presidente ci spieghi.
* Rete29Aprile
Nessun commento:
Posta un commento