da www.corriere.it
Il «tempismo» di una generazione fortunata che ha avuto il posto fisso
Esiste una formula per vivere bene e trovarsi agli appuntamenti che migliorano la vita? In fondo non ci vuole molto. Basta essere nati nell’anno giusto. E non è una questione di segni astrali. Serve una meravigliosa serie di coincidenze che arricchite di qualche casualità, connesse a uno sfondo favorevole, rendono più agevole il percorso nel tempo. Gli inglesi l’hanno trovato questo anno fortunato: è il 1948. Si alzino dunque i bicchieri per i neonati di 61 anni fa, invidiati ieri nella loro scapigliata giovinezza come oggi in una serena, gaudente terza età. Per loro la vita, tutta sesso, rock&roll e pensione sicura, pare sia stata sempre in discesa. Certo alcune circostanze possono variare da paese a paese.
Non a caso l’autorevole The Guardian elenca i motivi specifici della scelta britannica. Primo: nel ’48 è nato il welfare system con assegni familiari, istruzione gratuita, atenei accessibili e borse di studio. Secondo: i nati nel ’48 hanno saltato il militare perché nel ’60 è finito il servizio di leva. Terzo: il 2008 è stato l’ultimo anno utile per andare in pensione (piena) a sessant’anni. Inutile aggiungere quanta birra sia corsa per lo scampato rischio. E i quarantottini italiani? Magari non proprio nati con la camicia come gli inglesi. Però quella resta un’annata altamente doc. Basta ricordare che proprio nel 1948, dopo la parentesi della Costituente, si svolgono le prime elezioni per il Parlamento della Repubblica. Che sono le prime «politiche» a suffragio universale. E che, fondamento dei fondamenti, è l’anno in cui entra in vigore la Costituzione. Con la considerazione che la Carta riserva ad alcuni diritti essenziali come il lavoro e la salute. Non si può nascere in un anno così senza essere circondati da un’atmosfera di gioia, di speranza, che in qualche modo fanno di te una specie di testimonial di questa nuova fiducia nazionale. Ecco perché il ’48 rappresenta la punta di diamante d’una microgenerazione, quella di noi nati tra il ’47 e il ’50, che ci fa sentire particolarmente privilegiati. Una generazione che, al di là delle professioni, ha alle spalle una rassicurante abitudine al «posto fisso», concetto che oggi sembra appartenere addirittura ad altri mondi. Lavoro in nero e saltuario? Per noi soltanto qualche assaggio. Mai un’indigestione.
La conseguenza diretta sta nel crogiolarsi nella fascia anagrafica che in questi tempi di crisi ha meno da perdere, potendo contare (con i dovuti scongiuri) su una pensione sicura e, in linea di massima, pronta da subito. Un’opportunità grandiosa se si guarda in generale alla precarietà ormai istituzionalizzata tra i giovani e alle loro nebbiose prospettive nell’immediato futuro. Poi c’è il contorno, che conta sempre. Nella categoria dei baby boomer, i quarantottini (o se preferiamo, la generazione ’47-’50) si sono rivelati incredibilmente tempisti. Nati con la Costituzione e nel felice momento in cui il Paese già cominciava a porre le basi per la ricostruzione. In un’atmosfera assai diversa di chi è nato soltanto un paio di anni prima in città ancora ferite con le macerie a vista e in cui mancavano i presupposti elementari di qualsiasi buonumore. E per i baby b. arrivati invece dopo il ’50? Tranquilli, ma presi in contropiede. Troppo piccoli per andare da soli, come abbiamo fatto noi, a vedere i Beatles nell’unica (1965), leggendaria tournée italiana.
Troppo in erba non soltanto per fumare la prima erba, ma per entrare nei meandri sconosciuti del tanto discusso «amore libero». Del ’68 si può pensare poi tutto, ma che cosa c’è di più giusto e simbolico d’averlo incocciato proprio a vent’anni? I quarantottini sono diventati maggiorenni (21 anni a quell’epoca) nel 1969, l’anno dei tre giorni di pace e musica a Woodstock, trasgressione pura e squattrinata, anche senza il permesso dei genitori. Siamo una generazione che ha la stessa età dei dischi al vinile e di Radio Lussemburgo, che ha fatto l’amore e (almeno quella europea non la guerra) senza l’allarme dell’Aids e che ha sognato l’Afghanistan, al pari dell’India, come una terra promessa di contemplazione. Nata al momento giusto, giovane al momento giusto, con posto fisso, mutua e garanzia di una pensione. Che poi questa nostra fortuna sia meritata è tutto da dimostrare. Nel 1948 e dintorni è nata una generazione che spesso ha deviato nell’intolleranza e nella violenza e che dopo le barricate giovanili ha dimostrato di essere squallidamente voltagabbana e innamorata del potere. Nel migliore dei casi si è arroccata nella convinzione di essere stata la meglio gioventù con la migliore (questa sì) colonna sonora. Troppo fortunati noi quarantottini e troppo autoreferenziali per risultare anche minimamente simpatici.
GIAN LUIGI PARACCHINI (nato attorno al '48)16 novembre 2009
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