giovedì 16 dicembre 2010

Libertà, musica e ora la pensione. La vita (in discesa) dei nati nel ’48

da www.corriere.it

 Il «tempismo» di una generazione fortunata che ha avuto il posto fisso




Esiste una formula per vivere bene e trovarsi agli appuntamen­ti che migliorano la vita? In fon­do non ci vuole molto. Basta es­sere nati nell’anno giusto. E non è una questione di segni astrali. Serve una meravigliosa serie di coincidenze che arricchite di qualche casualità, connesse a uno sfondo favorevole, rendono più agevole il percorso nel tem­po. Gli inglesi l’hanno trovato questo anno fortunato: è il 1948. Si alzino dunque i bic­chieri per i neonati di 61 anni fa, invidiati ie­ri nella loro scapiglia­ta giovinezza come og­gi in una serena, gau­dente terza età. Per loro la vita, tut­ta sesso, rock&roll e pensione sicura, pare sia stata sempre in di­scesa. Certo alcune cir­costanze possono va­riare da paese a paese.
Non a ca­so l’autorevole The Guardian elenca i motivi specifici della scelta britannica. Primo: nel ’48 è nato il welfa­re system con assegni familiari, istruzione gratuita, atenei acces­sibili e borse di studio. Secondo: i nati nel ’48 hanno saltato il mi­litare perché nel ’60 è finito il servizio di leva. Terzo: il 2008 è stato l’ultimo anno utile per an­dare in pensione (piena) a ses­sant’anni. Inutile aggiungere quanta birra sia corsa per lo scampato rischio. E i quarantottini italiani? Ma­gari non proprio nati con la ca­micia come gli inglesi. Però quel­la resta un’annata altamente doc. Basta ricordare che proprio nel 1948, dopo la parentesi della Costituente, si svolgono le pri­me elezioni per il Parlamento della Repubblica. Che sono le pri­me «politiche» a suffragio uni­versale. E che, fondamento dei fondamenti, è l’anno in cui en­tra in vigore la Costituzione. Con la considerazione che la Car­ta riserva ad alcuni diritti essen­ziali come il lavoro e la salute. Non si può nascere in un an­no così senza essere circondati da un’atmosfera di gioia, di spe­ranza, che in qualche modo fan­no di te una specie di testimo­nial di questa nuova fiducia na­zionale. Ecco perché il ’48 rappresenta la punta di diamante d’una mi­crogenerazione, quella di noi na­ti tra il ’47 e il ’50, che ci fa senti­re particolarmente privilegiati. Una generazione che, al di là delle professioni, ha alle spalle una rassicurante abitudine al «posto fisso», concetto che oggi sembra appartenere addirittura ad altri mondi. Lavoro in nero e saltuario? Per noi soltanto qual­che assaggio. Mai un’indigestio­ne.
La conseguenza diretta sta nel crogiolarsi nella fascia anagrafi­ca che in questi tempi di crisi ha meno da perdere, potendo conta­re (con i dovuti scongiuri) su una pensione sicura e, in linea di massima, pronta da subito. Un’opportunità grandiosa se si guarda in generale alla preca­rietà ormai istituzionalizzata tra i giovani e alle loro nebbiose prospettive nell’immediato futu­ro. Poi c’è il contorno, che conta sempre. Nella categoria dei baby boomer, i quarantottini (o se preferiamo, la generazione ’47-’50) si sono rivelati incredi­bilmente tempisti. Nati con la Costituzione e nel felice momen­to in cui il Paese già cominciava a porre le basi per la ricostruzio­ne. In un’atmosfera assai diver­sa di chi è nato soltanto un paio di anni prima in città ancora feri­te con le macerie a vista e in cui mancavano i presupposti ele­mentari di qualsiasi buonumo­re. E per i baby b. arrivati invece dopo il ’50? Tranquilli, ma presi in contropiede. Troppo piccoli per andare da soli, come abbia­mo fatto noi, a vedere i Beatles nell’unica (1965), leggendaria tournée italiana.
Troppo in erba non soltanto per fumare la pri­ma erba, ma per entrare nei me­andri sconosciuti del tanto di­scusso «amore libero». Del ’68 si può pensare poi tut­to, ma che cosa c’è di più giusto e simbolico d’averlo incocciato proprio a vent’anni? I quarantot­tini sono diventati maggiorenni (21 anni a quell’epoca) nel 1969, l’anno dei tre giorni di pa­ce e musica a Woodstock, tra­sgressione pura e squattrinata, anche senza il permesso dei ge­nitori. Siamo una generazione che ha la stessa età dei dischi al vini­le e di Radio Lussemburgo, che ha fatto l’amore e (almeno quel­la europea non la guerra) senza l’allarme dell’Aids e che ha so­gnato l’Afghanistan, al pari del­­l’India, come una terra promes­sa di contemplazione. Nata al momento giusto, giovane al mo­mento giusto, con posto fisso, mutua e garanzia di una pensio­ne. Che poi questa nostra fortuna sia meritata è tutto da dimostra­re. Nel 1948 e dintorni è nata una generazione che spesso ha deviato nell’intolleranza e nella violenza e che dopo le barricate giovanili ha dimostrato di esse­re squallidamente voltagabbana e innamorata del potere. Nel migliore dei casi si è arroc­cata nella convinzione di essere stata la meglio gioventù con la migliore (questa sì) colonna so­nora. Troppo fortunati noi quaran­tottini e troppo autoreferenziali per risultare anche minimamen­te simpatici.
GIAN LUIGI PARACCHINI (nato attorno al '48)
16 novembre 2009

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