da sito larepubblica.it del 2.12.2010
Lettera degli studenti a Berlusconi
Una missiva scritta da una ragazza della facoltà di Lettere, occupata, dell'universitàLa Sapienza di Roma. Per replicare alle parole del premier su "i veri studenti stanno a casa a studiare". "Molti dei partecipanti alle manifestazioni hanno anche un'ottima media. Potremmo presentarle più di un libretto ma non lo faremo perché noi sappiamo chi siamo e questo è sufficiente. Quello che ha visto non era follia, ma felicità collettiva. E sappiamo che lei non potrà comprendere". La lettera è stata letta nel corso di una puntata del programma di La7 "Exit"
Caro Presidente del Consiglio,
le scriviamo perché sentiamo l'esigenza e il dovere, da studenti e da cittadini, di spiegare cosa è accaduto ieri.
Ci concederà, spero, questa premessa: molti studenti presenti alla manifestazione non solo non hanno mai messo piede in un centro sociale ma possiedono anche un'ottima media; potremmo presentarle più di un libretto, ma non lo faremo perché noi sappiamo chi siamo e questo è sufficiente.
Ma torniamo al fine di questa lettera e lo facciamo con una domanda che lei tante volte si sarà posto: perché queste persone-studenti, lavoratori, artisti, ecc. manifestano? In genere la risposta è che le rivolte sono rivolte di "pancia", di fame, dovute alla crisi economica globale. Certamente. Ma ci permetta di illustrarle un altro punto di vista e lo facciamo attraverso le parole di uno storico, Edward Palmer Thompson che, in questo saggio che citiamo, riflette sulle rivolte popolari inglesi del XVIII secolo: "(...) E' certamente vero che i disordini erano innescati dai prezzi saliti alle stelle, dagli abusi compiuti dai negozianti, dalla fame. Ma queste rimostranze agivano all'interno della concezione popolare che definiva la legittimità e l'illegittimità dei modi di esercitare il commercio, la molitura del frumento, la preparazione del pane, eccetera. E questa concezione, a sua volta, era radicata in una consolidata visione tradizionale degli obblighi e delle norme sociali, delle corrette funzioni economiche delle rispettive parti all'interno della comunità che, nel loro insieme, costituivano l'economia morale del povero. Un'offesa contro questi principi morali, non meno di un effettivo stato di privazione, era l'incentivo abituale per un'azione immediata".
Le citiamo, infine, uno slogan-accusa che i contadini rivolgevano nel Settecento ai mugnai, "il male del tempo": perché prima rubava ma con cortesia, ma ora è oltraggiosamente ladro.
Non ci fraintenda. Noi non stiamo accusando il suo governo di essere oltraggiosamente ladro, noi accusiamo l'Italia tutta di esserlo. La nostra patria è divenuta ladra di sogni, di speranze e di verità.
Accusiamo perfino le nostre madri e i nostri padri che continuano a difenderci dal mondo, da internet e da Facebook e non hanno ancora compreso che in questi anni il vero pericolo sono stati loro, la loro incapacità di critica, la loro incapacità di volere.
Condanniamo l'indifferenza poiché crediamo che la qualità di una società è inversamente proporzionale alla quantità degli indifferenti.
E in ultimo condanniamo noi stessi per non essere abbastanza bravi da rendere chiara l'evidenza. L'evidenza è questa: noi siamo la futura generazione di precari, o meglio, noi andremo a ingrossare le file di quella che possiamo definire "la classe dei precari". Così come la Rivoluzione industriale ha prodotto la classe operaia, rivoluzionaria per eccellenza, ecco che questo sistema in cui la speculazione è sfociata nello sfruttamento ha provocato la nascita di una nuova classe rivoluzionaria, i cui membri non formano "strutture", ma i cui legami si basano sulle relazioni e su una medesima condizione umana.
Lei ci insegna che un uomo può cambiare un Paese, noi fortunatamente siamo migliaia, forse milioni.
Sta certamente comprendendo quello che le stiamo dicendo. Le daremo una dritta, da sciocchi quali siamo. Ciò che deve temere di più è la felicità pubblica, ovvero quel sentimento antico quanto la Rivoluzione Francese, che si spiega più o meno così: l'uomo comprende di essere uomo solo quando è in movimento, e di questo ne scopre il divertimento, il piacere, puro, dello stare insieme. La Felicità Pubblica. Il resto è un colpevole silenzio e un'inquieta sensazione di noia.
Ieri per la prima volta è tornata. Quello che ha visto non era follia, ma per l'appunto felicità. Felicità collettiva.
E questa volta sappiamo per certo che lei non potrà comprendere.
Cordiali saluti.
Elisa Albanesi, Assemblea di Lettere Occupata.
(02 dicembre 2010)
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