tratto dal sito www.pietroichino.it
UN ESEMPIO TRATTO DALLA VITA VISSUTA DI COME IL NOSTRO PAESE PENALIZZA I GIOVANI. E ALCUNE PROPOSTE SUL COME USCIRNE
Lettera pervenuta il 5 gennaio 2010
Caro Prof. Ichino,
Le scrivo dopo aver letto le sue proposte sulla flexsecurity e i suoi commenti e proposte espressi nella sua intervista al Riformista del 2 Gennaio riguardo alla ‘nuova generazione rassegnata’.
In questa lettera paragono inizialmente la mia esperienza lavorativa con quella di mio padre; successivamente, le propongo alcune chiavi di lettura sulla mia ‘generazione’, riallacciandomi al concetto di ‘familismo amorale’ – chiave nell’ultimo libro di Andrea Ichino e Alberto Alesina, L’Italia fatta in casa - che lei cita nell’intervista al Riformista; infine, le suggerisco alcune ‘vie d’uscita’ da una situazione che, altrimenti, i futuri neo-laureati italiani dovranno davvero ‘rassegnarsi’ ad affrontare.
Mio padre è nato nel 1948. Dopo essersi laureato in ingegneria a 24 anni, ha trovato subito lavoro in un’azienda in Italia dove veniva pagato a sufficienza per, come si suol dire, iniziare una famiglia. A 59 anni ha smesso di lavorare; grazie a un’ottima carriera e al generoso sistema pensionistico italiano attuale, ricevera’ una buona pensione per gli anni a venire. [Recentemente, il giornale inglese The Guardian ha definito la vita dei nati subito dopo la seconda Guerra Mondiale ‘in discesa’ (vedi anche http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_16/nati_nel_48_be5fc2c8-d27b-11de-a0b4-00144f02aabc.shtml)].
Dopo essermi laureato in ingegneria a 24 anni, la mia ricerca di lavoro, durata vari mesi, aveva portato solo a un paio di possibili ‘stage’ (leggi: lavoro di basso livello non retribuito) e a un possibile contratto di sei mesi per la Hewlett Packard a 300€ al mese (non e’ un refuso: 300€!). A una societa’ di consulenza franco-olandese, che mi offriva un contratto di un anno a 600€ al mese, avevo chiesto la possibilita’ di lavorare fuori dall’Italia: in risposta, mi avevano dato l’incarico di lavorare come ‘bassa manovalanza’ per l’Ipercoop situato dietro alla casa dei miei genitori. Queste prospettive mortificanti e altri motivi personali mi spinsero a emigrare in Inghilterra. A distanza di sei anni, ho un lavoro che mi piace moltissimo e attraverso il quale ho fatto una carriera al doppio della velocita’ dei miei colleghi rimasti in Italia, sia in termini di retribuzione, che di ‘grado’.
Chiaramente questa èsolo la mia esperienza; credo, però che si dovrà far qualcosa molto presto per evitare che i futuri neo-laureati si ritrovino davanti non a una scelta, ma a un’opzione binaria: restare in Italia in una situazione di dipendenza economica dai tuoi genitori almeno per i prossimi 5-10 anni; cercare lavoro all’estero e rimanerci, con una certa probabilita’, per sempre. Quando l’ex-Ministro Padoa-Schioppa descrisse i giovani italiani come ‘bamboccioni’ dimostrò di aver capito ben poco di questa situazione. Certo, ci sono della persone che stanno ben volentieri a casa dei genitori senza affitto da pagare, e con la mamma che cucina, lava e stira. Ma, a guardar bene, questa e’ una condizione, ahime’, spesso inevitabile (cosa ci si può permettere con 300 euro al mese?) e alla lunga umiliante, che molti di noi eviterebbero volentieri. Condizione analoga e’ quella dei dipendenti pubblici: ci sono certamente dei ‘fannulloni’ che stanno volentieri al bar nelle ore di ufficio. Il problema di gran lunga maggiore sono pero’ i ‘nullafacenti’, cioe’ quelle persone che pur lavorando, spesso anche piu’ del dovuto, non creano valore per l’organizzazione e la collettività perché non sono messi in condizione di farlo (per motivi strutturali, per carenza di management e leadership, etc.).
Inoltre, come lei sa benissimo, chi non sviluppa (in questo caso, “a chi non viene data l’opportunità di sviluppare”) una ‘cultura del lavoro’ in giovane età, lavorerà poco, non sarà molto produttivo, difficilmente riuscirà a valorizzare il lavoro come componente fondamentale della propria vita, ecc.
Nella sua intervista al Riformista lei dice, a ragione, che c’è una disaffezione dei giovani verso la politica. I motivi sono moltissimi e diversi a seconda dei casi. Personalmente, da adolescente avevo partecipato a riunioni e iniziative di un paio di partiti politici, solo per rendermi conto di quanto fossero intrisi di ideologia, autoreferenziali e distanti dalla realtà. Di partiti e sindacati non se ne vedeva l’ombra quando cercavamo lavoro e ci venivano proposti dei contratti da regime di schiavitu’. Ne’ le aziende sembravano molto interessate a investire in noi e nel nostro potenziale creativo. La nostra giovinezza sembrava un vero e proprio handicap… E non a livello micro, ma anche macro, basti pensare all’età di alcuni neo-eletti in cariche chiave dello Stato: Berlusconi Presidente del Consiglio a 72 anni, Napolitano Presidente della Repubblica ad 81 anni; Zavoli presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai a 85 anni, etc.
Qual è il messaggio se non: la porta d’ingresso è chiusa; attendete 30-40 anni e poi, semmai, vi verrà aperta?
Un altro fattore cruciale che tiene l’Italia legata a un modello fallimentare, sicuramente a livello economico, e’ quello del ‘familismo amorale’, che lei cita nella sua intervista. Quando si parla del Sessantotto, delle conquiste sociali sicuramente ottenute dai nostri genitori, etc. ci si dimentica che l’idea di ‘famiglia’ all’italiana come ‘unita’ fondamentale d’analisi’ e’ stata appena scalfita. In Italia permane un sistema che, come il libro di A. Ichino e A. Alesina dimostra, non solo è a bassa produttività perché le ‘risorse economiche e umane’ sono allocate male, ma anche perchè il sistema stesso tende a chiudersi e a diventare autoreferenziale. In altre parole, in un contesto in cui la maggior parte dei servizi sociali sono erogati dalla famiglia, per reclutare un eccellente informatico indiano (se mai lo si volesse) sarebbe necessario dotarlo non solo di un salario competitivo, ma anche di una famiglia italiana!
Chiudo questa lettera proponendo tre suggerimenti su come uscire da una situazione decisamente difficile:
- investire nei giovani italiani mandandoli all’estero e facendoli tornare in Italia con posizioni di responsabilità: periodi di studio o di lavoro all’estero (Master e PhD, programmi Erasmus e Leonardo, etc), sono poco valutati in Italia, sia in sede di reclutamento che di ‘utilizzo’ delle risorse umane. Partiti politici, sindacati e associazioni industriali dovrebbero iniziare a capire che una persona puo’ far la differenza grazie alle proprie skills, capacità e, soprattutto, a un approccio culturale diverso. La Cina e i paesi mediorientali stanno investendo cifre incredibili per mandare persone a studiare e lavorare in UK e US e farle ritornare in patria con delle posizioni di maggiore responsabilita’ per ‘importare’ buone pratiche sviluppate in altri contesti. Questo approccio potrebbe benissimo esser utilizzato in Italia, tra l’altro contribuendo a scardinare idee assurde come la ‘difesa del posto’ e la progressione per sola anzianità.
- Usare la tecnologia per creare valore e coinvolgere i ‘giovani’: ci si lamenta tanto che l’Italia e’ indietro nell’ambito dell’ICT (information and communication technology); poi si arriva in un aeroporto italiano e la prima cosa che tutti fanno e’ chiamare al telefono, scrivere con il blackberry, etc. Negli ultimi anni, le organizzazioni pubbliche, i partiti e molti politici hanno aperto dei siti Internet. Peccato pero’ che la maggior parte li usi come strumenti di propaganda o come database, piuttosto che come siti in cui generare un dialogo che porti a idee e proposte sviluppate da vari soggetti. E qui e’ l’approccio che fa la differenza, non la semplice tecnologia: avere un blog/forum al quale non partecipo e che lascio in mano a sostenitori, oppositori e mitomani (vedi sito del Ministro Brunetta) non serve a molto.
- Gestire le aspettative: in Italia, purtroppo, si è creata una situazione per cui è normale lavorare gratis per mesi, se non anni, fare la ‘gavetta’ sotto l’ala protettrice di un professionista, prof. universitario, etc. Negli altri paesi europei questo non esiste! Hewlett-Packard non si sognerebbe mai di proporre contratti ai neo-laureati per 300 euro al mese in UK, in Germania, etc. In UK ci sono degli ottimi ‘graduate scheme’ per neo-laureati dove si impara moltissimo e si ricevono stipendi sufficienti per andare a vivere fuori casa (un inglese gia’ lontano dai genitori da alcuni anni – questo però sarebbe un discorso troppo lungo). Se questo fosse reso molto chiaro in Italia, forse non si accetterebbero più queste condizioni lavorative assurde come ‘normali’ e si potrebbe avere maggior partecipazione da parte di chi al momento deve tener la testa bassa e aspettare che le cose migliorino.
La ringrazio molto per la sua attenzione.
E.L.
Le scrivo dopo aver letto le sue proposte sulla flexsecurity e i suoi commenti e proposte espressi nella sua intervista al Riformista del 2 Gennaio riguardo alla ‘nuova generazione rassegnata’.
In questa lettera paragono inizialmente la mia esperienza lavorativa con quella di mio padre; successivamente, le propongo alcune chiavi di lettura sulla mia ‘generazione’, riallacciandomi al concetto di ‘familismo amorale’ – chiave nell’ultimo libro di Andrea Ichino e Alberto Alesina, L’Italia fatta in casa - che lei cita nell’intervista al Riformista; infine, le suggerisco alcune ‘vie d’uscita’ da una situazione che, altrimenti, i futuri neo-laureati italiani dovranno davvero ‘rassegnarsi’ ad affrontare.
Mio padre è nato nel 1948. Dopo essersi laureato in ingegneria a 24 anni, ha trovato subito lavoro in un’azienda in Italia dove veniva pagato a sufficienza per, come si suol dire, iniziare una famiglia. A 59 anni ha smesso di lavorare; grazie a un’ottima carriera e al generoso sistema pensionistico italiano attuale, ricevera’ una buona pensione per gli anni a venire. [Recentemente, il giornale inglese The Guardian ha definito la vita dei nati subito dopo la seconda Guerra Mondiale ‘in discesa’ (vedi anche http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_16/nati_nel_48_be5fc2c8-d27b-11de-a0b4-00144f02aabc.shtml)].
Dopo essermi laureato in ingegneria a 24 anni, la mia ricerca di lavoro, durata vari mesi, aveva portato solo a un paio di possibili ‘stage’ (leggi: lavoro di basso livello non retribuito) e a un possibile contratto di sei mesi per la Hewlett Packard a 300€ al mese (non e’ un refuso: 300€!). A una societa’ di consulenza franco-olandese, che mi offriva un contratto di un anno a 600€ al mese, avevo chiesto la possibilita’ di lavorare fuori dall’Italia: in risposta, mi avevano dato l’incarico di lavorare come ‘bassa manovalanza’ per l’Ipercoop situato dietro alla casa dei miei genitori. Queste prospettive mortificanti e altri motivi personali mi spinsero a emigrare in Inghilterra. A distanza di sei anni, ho un lavoro che mi piace moltissimo e attraverso il quale ho fatto una carriera al doppio della velocita’ dei miei colleghi rimasti in Italia, sia in termini di retribuzione, che di ‘grado’.
Chiaramente questa èsolo la mia esperienza; credo, però che si dovrà far qualcosa molto presto per evitare che i futuri neo-laureati si ritrovino davanti non a una scelta, ma a un’opzione binaria: restare in Italia in una situazione di dipendenza economica dai tuoi genitori almeno per i prossimi 5-10 anni; cercare lavoro all’estero e rimanerci, con una certa probabilita’, per sempre. Quando l’ex-Ministro Padoa-Schioppa descrisse i giovani italiani come ‘bamboccioni’ dimostrò di aver capito ben poco di questa situazione. Certo, ci sono della persone che stanno ben volentieri a casa dei genitori senza affitto da pagare, e con la mamma che cucina, lava e stira. Ma, a guardar bene, questa e’ una condizione, ahime’, spesso inevitabile (cosa ci si può permettere con 300 euro al mese?) e alla lunga umiliante, che molti di noi eviterebbero volentieri. Condizione analoga e’ quella dei dipendenti pubblici: ci sono certamente dei ‘fannulloni’ che stanno volentieri al bar nelle ore di ufficio. Il problema di gran lunga maggiore sono pero’ i ‘nullafacenti’, cioe’ quelle persone che pur lavorando, spesso anche piu’ del dovuto, non creano valore per l’organizzazione e la collettività perché non sono messi in condizione di farlo (per motivi strutturali, per carenza di management e leadership, etc.).
Inoltre, come lei sa benissimo, chi non sviluppa (in questo caso, “a chi non viene data l’opportunità di sviluppare”) una ‘cultura del lavoro’ in giovane età, lavorerà poco, non sarà molto produttivo, difficilmente riuscirà a valorizzare il lavoro come componente fondamentale della propria vita, ecc.
Nella sua intervista al Riformista lei dice, a ragione, che c’è una disaffezione dei giovani verso la politica. I motivi sono moltissimi e diversi a seconda dei casi. Personalmente, da adolescente avevo partecipato a riunioni e iniziative di un paio di partiti politici, solo per rendermi conto di quanto fossero intrisi di ideologia, autoreferenziali e distanti dalla realtà. Di partiti e sindacati non se ne vedeva l’ombra quando cercavamo lavoro e ci venivano proposti dei contratti da regime di schiavitu’. Ne’ le aziende sembravano molto interessate a investire in noi e nel nostro potenziale creativo. La nostra giovinezza sembrava un vero e proprio handicap… E non a livello micro, ma anche macro, basti pensare all’età di alcuni neo-eletti in cariche chiave dello Stato: Berlusconi Presidente del Consiglio a 72 anni, Napolitano Presidente della Repubblica ad 81 anni; Zavoli presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai a 85 anni, etc.
Qual è il messaggio se non: la porta d’ingresso è chiusa; attendete 30-40 anni e poi, semmai, vi verrà aperta?
Un altro fattore cruciale che tiene l’Italia legata a un modello fallimentare, sicuramente a livello economico, e’ quello del ‘familismo amorale’, che lei cita nella sua intervista. Quando si parla del Sessantotto, delle conquiste sociali sicuramente ottenute dai nostri genitori, etc. ci si dimentica che l’idea di ‘famiglia’ all’italiana come ‘unita’ fondamentale d’analisi’ e’ stata appena scalfita. In Italia permane un sistema che, come il libro di A. Ichino e A. Alesina dimostra, non solo è a bassa produttività perché le ‘risorse economiche e umane’ sono allocate male, ma anche perchè il sistema stesso tende a chiudersi e a diventare autoreferenziale. In altre parole, in un contesto in cui la maggior parte dei servizi sociali sono erogati dalla famiglia, per reclutare un eccellente informatico indiano (se mai lo si volesse) sarebbe necessario dotarlo non solo di un salario competitivo, ma anche di una famiglia italiana!
Chiudo questa lettera proponendo tre suggerimenti su come uscire da una situazione decisamente difficile:
- investire nei giovani italiani mandandoli all’estero e facendoli tornare in Italia con posizioni di responsabilità: periodi di studio o di lavoro all’estero (Master e PhD, programmi Erasmus e Leonardo, etc), sono poco valutati in Italia, sia in sede di reclutamento che di ‘utilizzo’ delle risorse umane. Partiti politici, sindacati e associazioni industriali dovrebbero iniziare a capire che una persona puo’ far la differenza grazie alle proprie skills, capacità e, soprattutto, a un approccio culturale diverso. La Cina e i paesi mediorientali stanno investendo cifre incredibili per mandare persone a studiare e lavorare in UK e US e farle ritornare in patria con delle posizioni di maggiore responsabilita’ per ‘importare’ buone pratiche sviluppate in altri contesti. Questo approccio potrebbe benissimo esser utilizzato in Italia, tra l’altro contribuendo a scardinare idee assurde come la ‘difesa del posto’ e la progressione per sola anzianità.
- Usare la tecnologia per creare valore e coinvolgere i ‘giovani’: ci si lamenta tanto che l’Italia e’ indietro nell’ambito dell’ICT (information and communication technology); poi si arriva in un aeroporto italiano e la prima cosa che tutti fanno e’ chiamare al telefono, scrivere con il blackberry, etc. Negli ultimi anni, le organizzazioni pubbliche, i partiti e molti politici hanno aperto dei siti Internet. Peccato pero’ che la maggior parte li usi come strumenti di propaganda o come database, piuttosto che come siti in cui generare un dialogo che porti a idee e proposte sviluppate da vari soggetti. E qui e’ l’approccio che fa la differenza, non la semplice tecnologia: avere un blog/forum al quale non partecipo e che lascio in mano a sostenitori, oppositori e mitomani (vedi sito del Ministro Brunetta) non serve a molto.
- Gestire le aspettative: in Italia, purtroppo, si è creata una situazione per cui è normale lavorare gratis per mesi, se non anni, fare la ‘gavetta’ sotto l’ala protettrice di un professionista, prof. universitario, etc. Negli altri paesi europei questo non esiste! Hewlett-Packard non si sognerebbe mai di proporre contratti ai neo-laureati per 300 euro al mese in UK, in Germania, etc. In UK ci sono degli ottimi ‘graduate scheme’ per neo-laureati dove si impara moltissimo e si ricevono stipendi sufficienti per andare a vivere fuori casa (un inglese gia’ lontano dai genitori da alcuni anni – questo però sarebbe un discorso troppo lungo). Se questo fosse reso molto chiaro in Italia, forse non si accetterebbero più queste condizioni lavorative assurde come ‘normali’ e si potrebbe avere maggior partecipazione da parte di chi al momento deve tener la testa bassa e aspettare che le cose migliorino.
La ringrazio molto per la sua attenzione.
E.L.
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