Dal sito della rete 29 aprile lanciata una raccolta firme contro il ddl sull'università: "Insegnare non è fare un lavoro come un altro, non è timbrare il cartellino: è spendere sogni, anni, fatica e sudore. Un paese in cui chi insegna o ricerca è costretto ad andarsene o vergognarsi di ciò che fa non è un paese né per giovani né per vecchi"
Anche i ricercatori bolognesi, assieme ai colleghi di molti atenei italiani, aderiscono all'appello "Per non rinunciare al futuro", che vede come primi firmatari Dario Fo e Franca Rame e che è stato fatto proprio dalla rete 29 aprile. "Il sistema scolastico e universitario italiano è in grave pericolo - è il testo dell'appello - Un pericolo serio, reale, non dovuto al dilagare della tv spazzatura, non provocato dal terrorismo islamico e stranamente neppure causato dai mutamenti climatici; la scuola e l’università italiana sono a rischio perché si tagliano drasticamente le risorse che, pur tra mille difficoltà, hanno permesso fino a oggi il loro funzionamento e garantito l’esistenza di insegnanti e ricercatori convinti di star svolgendo un compito importante".
Non si placa la protesta in seno al mondo universitario contro il progetto di riforma del ministro Mariastella Gelmini. "Insegnare non è un lavoro come un altro - scrivono i firmatari, che nel pomeriggio di oggi hanno superato quota trecento - Fare ricerca non è una comoda pratica per timbrare il cartellino e poi subire un lavoro più o meno tollerato o detestato: è spendere sogni, anni, fatica e sudore per studiare, interpretare, valutare, elaborare ipotesi, fare confronti, trasmettere conoscenze e gli strumenti per elaborarle".
In Italia, denunciano i firmatari, quest'attività viene privata di rispetto e dignità, mentre "in tutti i Paesi dell’Unione europea l’insegnamento è riserva strategica di competenze e sapere; nel nostro Paese l’insegnante è screditato agli occhi di un’opinione pubblica resa sempre meno responsabile verso il futuro, il docente universitario viene visto come un comodo elefante parcheggiato in una placida savana, mentre il ricercatore viene considerato un tipo strambo prossimo al disadattamento".
Il ddl sulla riforma universitaria "arranca alla Camera" e per i firmatari questo è salutare: "non si può fare una riforma senza i fondi". Ma nella loro battaglia contro un'università che aumenta il precariato e che scardina l'insegnamento dal suo piedistallo, fanno i conti delle risorse venute a mancare: "in totale, alla formazione scolastica e universitaria italiana vengono sottratti in cinque anni 10 miliardi di euro. Si tratta di una cifra paragonabile all’entità degli aiuti inviati in Italia col Piano Marshall dal 1948 al 1952. Quattro anni che allora cambiarono in meglio un Paese devastato dalla guerra, cinque anni che oggi possono distruggere quello che rimane di un sistema scolastico e universitario che un tempo era reputato tra i migliori al mondo".
E in conclusione, l'appello a chi vuole combattere questo progetto: "Un paese nel quale chi insegna o ricerca è costretto ad andarsene o vergognarsi di ciò che fa, perché sottovalutato, denigrato e offeso proprio da chi dovrebbe garantire la sua professionalità, non è un paese né per giovani né per vecchi: è un paese di anime morte".
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