da sito bolognanotizie.com
ROMA, 21 OTT. – “Chiuderemo alcune università”, così recita l’ultimo dictat del ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini. L’annuncio, rilasciato nella giornata di ieri dai microfoni del programma Mediaset Mattino cinque, trova fondamento sulla precaria situazione finanziaria di alcuni atenei italiani. “Qualche università, purtroppo, è in una situazione di dissesto finanziario. La riforma prevede la fusione piuttosto che la federazione di atenei diversi come strumento per favorire una riprogrammazione dell’offerta formativa”.
Il problema risiede nella mancanza di finanziamenti ed ecco allora che in attesa del decreto Milleproroghe di fine novembre, dal quale potrebbero arrivare una parte dei fondi destinati ai ricercatori, la Gelmini annuncia la scomparsa di università presenti in un’ipotetica black list. Ad essere investiti da questa epurazione non saranno solo le università con i conti in rosso, quindicimila docenti universitari (sui sessantamila totali) andranno in pensione senza essere sostituiti da nuovi docenti. Il ddl sulla riforma dell’università si appresta, inoltre, ad apportare una riduzione dei corsi di laurea che passeranno dagli attuali 5.835 a poco più di 3.000 e molte sedi distaccate chiuderanno o sono già chiuse. Tra le 88 università a rischio, tra cui gli atenei di Napoli, Palermo, Bari e il Politecnico di Milano c’è anche la Sapienza, che chiuderà l’anno con un bilancio in deficit di 8 milioni: “Ho ridotto tutto quello che potevo ridurre se il ministro ritiene, mi commissari” così si è sfogato il rettore Luigi Frati.
L’effetto di tali dichiarazioni da un lato dimostrano la scarsa attenzione che in Italia si continua a dare all’istruzione, considerata sempre più come un elemento di bilancio che può essere razionalizzato a piacimento, dall’altro l’acuirsi delle proteste di studenti, ricercatori e docenti universitari, che continuando a manifestare nelle piazze e nelle università difendono il diritto inalienabile allo studio. Sicuramente molte università presentano dei conti dissestati, ma la soluzione più logica non è certamente quella di chiudere ma, forse, aumentare i finanziamenti all’istruzione.
Dino Collazzo
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