(pubblicato su mezzoeuro del 20 marzo 2010)
Dalla fine del XX secolo gli Atenei italiani hanno ottenuto autonomia nella didattica (1999) e nella gestione dei concorsi (1998). Attualmente le Università possono progettare e rendere operativi Corsi di Studio a vari livelli (laurea, laurea magistrale, dottorato, master, corsi di specializzazione) che si adattino alla situazione economico-sociale, alle richieste delle realtà produttive ed imprenditoriali locali, e che cerchino di dare loro risposte in termini di alta formazione e di formazione continua. Sulla carta, la sostanziale autonomia nella scelta dei propri ricercatori e dei propri docenti, sulle loro progressioni di carriera, dovrebbero fornire alla programmazione della didattica e della ricerca le risorse umane quantitativamente e qualitativamente necessarie.
Nei fatti, tranne qualche caso isolato, fra gli atenei, ed al loro interno anche fra le diverse Facoltà ed i diversi Corsi di Studio, ciò non si è verificato. Spesso l'autonomia è stata utilizzata per perseguire scopi diversi da quelli della buona ricerca e della buona didattica. I corsi sono proliferati. Al reperimento di nuove risorse umane si è preferito sostituire politiche che hanno privilegiato l'avanzamento di carriera. L'Università della Calabria è uno dei pochi Atenei dove ha prevalso la logica del reperimento di nuove risorse, tant'è che il corpo docente è raddoppiato nell'ultimo decennio ed ha potuto sostenere il rapido incremento del numero di studenti, che dai 12.000 previsti dall'originario Statuto è passato a circa 35.000 unità. Gli avanzamenti di carriera non hanno, comunque, subito grosse penalizzazioni e sono serviti anche a rendere disponibili quanti più posti possibili a livello di ricercatore.
Un dato per tutti è esemplificativo della situazione critica del sistema universitario italiano e riguarda l'età media di docenti e dei ricercatori. In Italia solo il 2% dei docenti universitari ha meno di 30 anni, contro il 15% della Germania o il 13% della Gran Bretagna. Al contrario, i docenti con oltre 50 anni in Italia sono il 56% del totale, contro il 31% della Germania o il 16% della Gran Bretagna. Di questi e di altri dati si può avere maggiore e più approfondita conoscenza attraverso la lettura di molti libri pubblicati negli ultimi anni e che trattano della crisi della ricerca scientifica e dell’Università in Italia. Recentemente sembra vi sia stata addirittura una accelerazione nella numerosità di questa saggistica. Ciò a ragione del crescente malessere di un settore, Università e Ricerca, importante in una società moderna ed efficiente. I titoli sono significativi: L’università dei tre tradimenti; Tre più due uguale a zero; La scienza negata; La ricerca tradita; L’università italiana: un irrimediabile declino?; L’università truccata; ….
L'ultimo in ordine temporale è "I ricercatori non crescono sugli alberi" di Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi (Saggi Tascabili Laterza, 118 pagine per 12,00 €) che ben rappresenta un quadro sempre più deprimente di un paese in declino, incapace di riconoscere nell’Università e nella ricerca scientifica i cardini su cui ruotano lo sviluppo e il benessere futuro di un Paese.
Ritornando al ragionamento iniziale: come mai l'autonomia non ha contribuito a migliorare la situazione? La risposta è semplice e basta osservare le Nazioni del Mondo industrializzato dei Paesi emergenti per ricavarla in modo quasi immediato. In Italia l'autonomia non è stata quasi mai connessa alla concorrenza. L’autonomia delle università e la concorrenza tra atenei migliorano la qualità della ricerca e della didattica. Se considerate isolatamente, autonomia e concorrenza non raggiungono il risultato. Non serve lasciare maggiore autonomia alle università se non si opera in un ambiente disciplinato da concorrenza per il conseguimento di fondi di ricerca, per la selezione del personale e per la possibilità di attrarre i migliori studenti
Nei sistemi universitari più evoluti si usano frequentemente i cosiddetti indicatori di successo. Mediante questi indicatori si stilano apposite graduatorie. Una delle più note è quella proposta dall’università di Shanghai che prende in considerazione: il numero di ex alunni che ha vinto il premio Nobel in fisica, chimica, medicina ed economia o la Field Medal in matematica; il numero di docenti che ha vinto il premio Nobel o la Field Medal; il numero di lavori pubblicati su Nature o Science; il numero di lavori pubblicati secondo il Science Citation Index; il numero di lavori molto citati secondo la banca dati Thomson Isi. Si tratta evidentemente di una graduatoria che si riferisce soprattutto a specifiche aree scientifiche. In Italia ci sono graduatorie stilate dal MIUR (Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca), dal CENSIS (Centro Studi Investimenti Sociali), dal CIVR (Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca), ed altri ancora. Anche in questo caso, come ben noto, l'Università della Calabria non sfigura, anzi si posiziona sempre ai primi posti.
Esistono numerosi studi che paragonano la performance dei sistemi universitari di vari Paesi. Tali studi concludono sempre che l’indice di performance è fortemente correlato con l’indice di autonomia e di concorrenza. I sistemi universitari di Italia e Spagna, per esempio, ottengono valori particolarmente bassi di tale indice. Al contrario, le università dei paesi scandinavi e del Regno Unito sono quelle che raggiungono i punteggi più elevati. Italia e Spagna sono accomunati da sistemi universitari in cui autonomia e concorrenza non procedono in stretta connessione. In quelli con performance migliore ciò, invece, avviene con netta evidenza.
Di fronte ad una così evidente conclusione, il Governo sta mettendo a punto una riforma che riduce il grado di autonomia e non rafforza sufficientemente la concorrenza tra atenei. Si fornisce una diversa figura di rettore, si riduce la dimensione del consiglio di amministrazione, si pongono limiti alla dimensione minima dei dipartimenti, si regola il numero massimo delle facoltà, i compiti dei dipartimenti e delle facoltà, etc. Sono azioni utili e che potrebbero ridurre i veti incrociati che oggi, a volte, si manifestano tra gli organi di governo, oppure dovrebbero rafforzare l'affidabilità economica, ma che riducono l’autonomia degli atenei nella scelta delle modalità organizzative, imponendo norme rigide per la scrittura dei propri statuti. Analogamente non si rafforza la capacità degli atenei di competere tra loro, tanto che le parole “concorrenza” e “competere” non ricorrono mai nei testi di proposte di legge che circolano nei siti istituzionali.
A tutto ciò si aggiunge la riduzione dei fondi di finanziamento ordinario che già ho commentato in precedenti articoli e che stanno conducendo a gravi difficoltà finanziarie in molti atenei. Senza poi parlare della beffa dei costi impropri che alcuni atenei debbono sopportare, soprattutto le Università che ricadono nelle Regioni più povere d'Italia. Tanto per essere più espliciti, il nostro Ateneo deve sostenere gran parte degli esoneri delle tasse, evidentemente percentualmente più significativi in Calabria che in Lombardia, visto il reddito medio della nostra Regione, e da anni il Ministero non provvede a restituire le somme che, essendo imputabili al "diritto allo studio" dovrebbero essere di competenza dello Stato e non del singolo Ateneo. Uno scherzetto che ci costa qualche milione di euro all'anno.
E' chiaro, quindi, che nel nostro Paese si continua a lavorare per non abbandonare il centralismo caratteristico della burocrazia italiana, non si affrontano i nodi che limitano l'autonomia e la concorrenza. si pensa a risolvere il tutto imponendo restrizioni finanziarie che non possono che colpire chi opera in un contesto economicamente debole, mentre dovrebbero colpire i meno efficienti.
Ad Arcavacata non si è mai temuta l'autonomia esterna ed interna (non si dimentichi che il sistema dipartimentimentale à nato all'UniCal e poi esteso in tutta Italia), nè si teme la concorrenza e ne sono la prova le classifiche italiane che ci vedono sempre fra i migliori. In più abbiamo il più grande (oltre che - cronologicamente - il primo) campus universitario italiano (3000 posti letto, 1300 posti mensa e 3500 pasti serviti quotidianamente), il più grande sistema Bibliotecario del mezzogiorno con 400.000 volumi, postazioni di lavoro e molti accessi telematici, un centro Arti Musica e Spettacolo che organizza concerti, rassegne cinematografiche, rappresentazioni teatrali e mostre, un Centro Sportivo con due complessi in cui si possono praticare oltre 25 discipline, dal calcio al tennis e al taekwondo, un centro per studenti con disabilità; un servizio di counselling e orientamento per gli studenti. Chiediamo solo di poter concorrere senza penalizzazioni dovute a mancati trasferimenti di fondi, al mancato premio all'efficienza ed alla qualità. E' raro che in Calabria non si chieda con il cappello in mano, ma si argomenti con la forza dei fatti. Speriamo che tutto ciò venga valorizzato e non mortificato!
Come un sasso nello stagno
13 anni fa
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