mercoledì 31 marzo 2010

Per un'Università "più ottima"

(versione completa, spedita per la pubblicazione su Mezzoeuro del 27.2.2010)


La situazione attuale della scuola e dell'università italiana spiegata attraverso alcuni brani di un famoso discorso di 60 anni fa di Calamandrei.

Purtroppo le previsioni di qualche mese fa si stanno avverando. Non era certo difficile intravedere le conseguenze di certe scelte. Chiunque comprende senza grandi difficoltà che se si fissano dei limiti percentuali da non superare e se si riduce progressivamente il valore assoluto su cui operare tale percentuale, è chiaro che prima o poi questi limiti saranno superati. Mi riferisco al 90 per cento del Fondo di Finanziamento Ordinario che ogni Ateneo non deve superare per far fronte alle spese fisse (stipendi praticamente) per poter essere considerato "economicamente virtuoso" e per essere autorizzato ad assumere oppure a compiere altre operazioni che ne consentono lo sviluppo. Addirittura, si può operare a tal punto da mettere in crisi finanziaria l'istituzione autonoma che quella centrale controlla ed a cui impone questi paletti sempre più stringenti, fino a renderli impossibili da rispettare.

Sabato scorso è apparsa su Repubblica una nota dal tragico titolo "Gli Atenei in profondo rosso. Qui rischiamo la bancarotta". in cui viene riportato l'allarme di molti Rettori che affemano "se confermano i tagli chiudiamo". In particolare il Rettore della "La Sapienza" di Roma, il più grande Ateneo d'Italia, arriva a preventivare il commissariamento della sua Università a partire dal prossimo mese di Marzo, praticamente fra pochi giorni.

Non intendo annoiarvi con tutti i dati economici che dimostrano la veridicità delle affermazioni dei Rettori. E' facile reperirli ed analizzarli. In un mio articolo di qualche mese fa spiegavo pure la situazione dell'UniCal che risulta essere una delle migliori del Paese. Tale posizione di virtuosità economica, ottenuta con grossi sacrifici e notevole impegno di quanti operano a vario titolo nell'Ateneo, ma anche dell'intera società Calabrese che da più di un trentennio punta su questa "fabbrica del sapere" per sperare in un cambiamento positivo della nostra povera terra, flagellata da cattiva politica, frane e terremoti, ci consentirà ..... qualche mese ulteriore di respiro!

La lettera inviata a tutto il personale UniCal dal Rettore è più che chiara.

"Cari colleghi, Cari Dirigenti, Cari tecnici e amministrativi, Cari studenti

la difficilissima situazione finanziaria in cui versa praticamente l’intero sistema universitario italiano, è stata efficacemente messa in luce anche nell’articolo allegato, pubblicato dal quotidiano “la Repubblica”, che conferma, purtroppo, le valutazioni preoccupate sullo stato delle cose e sulle prospettive dello stesso sistema, da tempo espresse anche dal nostro Ateneo, nonostante i suoi conti siano in regola e l’oculata ed equilibrata conduzione economico- finanziaria-amministrativa, su cui ha potuto contare in questi anni, lo abbiano posto al riparo da situazioni ancora più esplosive.

Senza lasciarsi andare ad una visione pessimistica dei problemi sul tappeto - anche se lo scenario, riferito sia ai prossimi mesi che ad una più lunga proiezione temporale, non sembra rendere credibile un’ inversione di tendenza rispetto ai tagli pesantissimi decisi dal Governo - ma, unicamente, guardando allo stato delle cose con il realismo e il senso di responsabilità necessari, non possiamo nascondere la gravità del momento e i sacrifici con cui anche l’UniCal è chiamata a fare i conti.

Per queste ragioni è importante che ciascuno di noi prenda coscienza di ciò che tale situazione potrebbe determinare, ancora e più di quanto già non sia successo, sul piano della riduzione dei costi e di una gestione adeguata della crisi in corso.

Ciò, se da un lato aiuterà a capire meglio la portata e il carattere virtuoso che il Governo dell’Università della Calabria ha assunto nel corso di questi anni, e di cui l’Ateneo ha beneficiato ampiamente con fasi di sviluppo e di crescita probabilmente irripetibili ancora per molto tempo, sono certo sarà di sprone affinchè le difficoltà del momento vengano affrontate con la collaborazione e il contributo consapevole di tutti.

Un sincero saluto.

Il Rettore
Prof. Giovanni Latorre"

Di fronte a questo quadro, che si aggiunge a quello anch'esso tragico dell'intera scuola italiana, documentata in numerosi articoli e numerose trasmissioni televisive, non può che ritornare alla mente un famoso discorso di Piero Calamandrei pronunciato al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN) svoltosi a Roma l' 11 febbraio 1950.

Ne riporto alcuni brani, invitando i lettori interessati a leggere il testo intero, facilmente reperibile sulla rete internet.

"La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". ..... Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue"

"A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali."

"Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private."

"Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: (1) ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest'ultimo è il metodo più pericoloso. » la fase più pericolosa di tutta l'operazione. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito."

Ogni commento è chiaramente superfluo. Sempre Calamnadrei, nel suo discorso ci indica la soluzione:

"La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. (2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l'espressione, "più ottime" le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione."


Speriamo, allora, che sessanta anni non siano passati inutilmente e che scuole ed università siano "più ottime" delle analoghe scuole ed università private. Per fare ciò c'è bisogno di riconoscere e risolvere i problemi ed i difetti delle scuole e delle università di Stato, ma c'è anche bisogno che esse non siano dissanguate economicamente rendendo ogni tentativo impossibile

Sorge, poi, il sospetto che tutto questo togliere risorse economico non sia solo il modo per indurre gli Atenei a temere la catastrofe e poi, con i soldi che erano stati tolti e che vengono ridati, quindi senza "ulteriori oneri per il bilancio dello Stato", come usa dire Tremonti, non si voglia indorare la pillola di un blitz legislativo che approvi tutte le modifiche all'organizzazione universitaria contenute nella riforma Gelmini?

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