Come i modi d'essere dell'Accademia italiana e gli elementi caratteriali individuali possono determinare il destino scientifico ed umano di un universitario
Ce lo spiega, fra il serio e l'ironico, un libro di Francesco Attena.
(nota pubblicata su mezzoeuro di Maggio 2009)
Sono le particolari caratteristiche di una data professione che attirano e selezionano gli individui ad essa costituzionalmente predisposti, oppure è la sub-cultura caratteristica di tale professione che spinge gli individui ad assumere una particolare configurazione caratteriale? Per fare il pompiere occorre una dose di coraggio innato; l'apparente cinismo dei medici può essere considerata una inevitabile conseguenza dell'essere a continuo contatto con malati e malattie.
Parte da questa semplice considerazione Francesco Attena (Napoli 1952), Professore Ordinario di Igiene generale ed applicata presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della Seconda Università di Napoli, per analizzare il processo di integrazione nell'istituzione accademica e capire se essa comporta, come prezzo da pagare, una qualche forma di degenerazione psicopatologica. Il suo libro "psicopatologia della carriera universitaria" (Philos edizioni - Roma - 1995 - ISBN88-86589-2-6) fa ricorso alle categorie descrittive ed al linguaggio della psichiatria, alternando ironia a riflessione seria, per descrivere il variegato e, alcune volte, anche divertente microcosmo universitario, mettendo in evidenza vizi e debolezze dei singoli membri dell'Accademia italiana.
E' un libricino di 80 pagine circa che leggo spesso dal 1997 ed in cui riesco ad individuare sempre la descrizione dei miei comportamenti e di quelli dei vari colleghi che durante l'ormai ventennale carriera ho avuto occasione di incontrare nelle situazioni più diverse, sia nel ruolo di precario prima, di docente e ricercatore dopo, sia nello svolgimento dei compiti di amministratore dell'Ateneo. Ho potuto notare come una combinazione fra i vari tipi e sottotipi descritti da Attena riesca sempre a rappresentare molto bene il singolo accademico che si ha di fronte. Se si conosce la storia di quella persona si può anche cercare di tracciare la sua evoluzione nel tempo fra tali tipi e sottotipi e notare come gli eventi si siano frequentemente intrecciati con le sue note caratteriali di base. Ho potuto constatare come, sia presso l'UniCal, sia in qualsiasi altra sede italiana, le cose si ripetano con una similitudine impressionante. Si riescono a capire meglio molti degli attuali mali dell'Università italiana e si può verificare come comportamenti individuali e collettivi, innati o acquisiti, possano spiegare certe degenerazioni, ma anche chiarire da dove provenga quella forza che riesce a mantenere la barca a galla, spesso ottenendo risultati sorprendentemente eccellenti. Si capisce meglio la differenza fra il sistema italiano e quelli degli altri nostri "competitors". europei, giapponesi, statunitensi, ma anche indiani, cinesi, etc. Confrontandosi con greci, argentini, spagnoli, si notano invece analogie sia nei vizi, sia nelle virtù.
Cerco di riassumere i contenuti più significativi, ed alcune volte ironici, del volumetto. Oramai nella nostra Regione il numero dei docenti e dei ricercatori universitari comincia ad essere "statisticamente" significativo. Una volta era quasi impossibile trovare una famiglia in Calabria senza un ferroviere, adesso comincia ad essere praticamente impossibile non avere un parente o un amico che insegna o ricerca nell'Università, sia con un incarico di ruolo, sia con una delle varie forme di collaborazione (assegnista di ricerca, ricercatore e/o docente a contratto, etc). Chiunque, può, quindi, cercare di identificare fra le varie descrizioni il suo conoscente, oppure a se stesso, e verificare se Attena riesca, almeno parzialmente, a ricostruire la tipologia accademica cui sembra appartenere, cercando anche di capire se l'attività e l'ambiente che frequenta tale conoscente lo abbia o meno modificato nel tempo.
Attena divide i comportamenti degli universitari secondo tre sottotipi abbastanza stabili, in quanto fortemente collegati alle note caratteriali di base che l'individuo ha sviluppato prima di intraprendere la carriera universitaria, o che sono addirittura innate (per questa stabilità a me piace partire dal sottotipo e non dal tipo, come invece avviene nel libro). Ci sono il sottotipo classico, lo spregiudicato e quello critico. Esistono. inoltre, quattro sindromi o "tipi" che, invece, evolvono nel tempo e sono individuate come: neofita, narcisista, dissociato ed involuto. Esse seguono lo svilupparsi della carriera universitaria e sono fortemente legate al raggiungimento (o meno) delle varie tappe accademiche, dall'apprendistato alla pensione.
SINDROME/SOTTOTIPO | CLASSICO | SPREGIUDICATO | CRITICO |
NEOFITA | Neofita classico | Neofita spregiudicato | Neofita critico |
NARCISISTA | Narcisista classico | Narcisista spregiudicato | ------------------- |
DISSOCIATO | Classico impegnato | --------------------- | Critico disimpegnato |
INVOLUTO | Classico demenziale | Spregiudicato paranoide | Critico schizoide |
La tabella riepiloga le varie combinazioni di base. Si nota che alcune combinazioni sono considerate praticamente impossibili da verificarsi e lo capiremo dalle descrizioni successive. Ovviamente, sono poi possibili coesistenze di combinazioni per cui ci si può trovare in una via di mezzo fra due combinazioni adiacenti. Così come sono possibili eventi, alcune volte anche traumatici, altre volte fortunosi, che possono far saltare da una combinazione ad un’altra, per cui una stessa persona può essere catalogata, in fasi diverse della sua vita accademica, in due modi apparentemente contrastanti. Io stesso sono "saltato" (o almeno credo) dal neofita classico, al neofita critico per poi evolvere verso una via di mezzo fra il narcisista classico ed il classico impegnato. Mi sembra di avere eguali probabilità di divenire (con molta calma però, senza fretta!) classico demenziale o critico schizoide.
Il neofita è in genere il giovane ricercatore o il perseverante volontario con speranza di inserimento che esprime tutto l'entusiasmo di inizio carriera. Nella variante classica subisce abbastanza passivamente le varie forme di addestramento, Rispetta i superiori. Mostra totale fedeltà all'Istituzione ed allo specifico gruppo di appartenenza. Manca di un forte potere critico, ha spesso una limitata cultura generale ma un'alta conoscenza specialistica. La sua massima aspirazione è spesso quella di poter trascorrere un periodo di studio negli "States". Ha fede cieca nell'utilità della scienza, ritiene onnipotenti gli strumenti analitici della ricerca. L'indottrinamento è quello più funzionale all'Istituzione e, fra l'altro, include piena fedeltà ed obbedienza al "maestro". Fa i lavori più umili in attesa della catarsi, cioè il pieno inserimento nel mondo universitario, ed allora potrà sperimentare l'inversione dei ruoli presentando il conto delle proprie sofferenze ai nuovi adepti.
Se, invece, appartiene al sottotipo "spregiudicato" si comporta in modo più utilitaristico e meno ingenuo. Infine se è il sottotipo "critico" mostra generalmente, oltre ad un significativo spirito critico anche una buona cultura generale. Mostra il dissenso ancora non in forma esplicita e pienamente cosciente e vive in una situazione di integrazione-dissociazione che può comportare anche qualche squilibrio emotivo e qualche somatizzazione organica.
E' abbastanza intuitivo che le forme di selezione accademica, che adottano spesso un processo darwiniano in cui tende a sopravvivere il più adatto al sistema, favorisce il neofita classico. Lo spregiudicato può passare attraverso le maglie se riesce a cammuffarsi da agnello pur essendo fondamentalmente un lupo. Il sottotipo critico ha difficoltà ad entrare, sia per scelta propria, sia per risposta negativa del sistema. La facilità di passaggio del neofita classico è legata anche all'alta probabilità di essere giudicato da accademici che provengono dalla stessa categoria.
Il narcisista è generalmente il neofita cresciuto, divenuto maturo ed accettato dal sistema. Oramai l'entusiasmo è divenuta routine, la curiosità certezza, la fede nella scienza addirittura fede in se stesso. Il narcisista fa proprio questo sillogismo "l'Università (e più in generale la scienza) è il faro culturale dell'umanità; io sono un suo autorevole rappresentante; ergo: io sono un faro culturale dell'umanità" Da qui si comprende facilmente la grande sicurezza in se che lo porta ad esprimere opinioni su tutto, conferendo alle proprie affermazioni lo status di certezza. E' generalmente ben inquadrato nel sistema e poiché tende a mantenere invariate norme e regole accademiche, facilmente lo ritroviamo direttore, presidente di consiglio di corso di laurea, preside, membro di commissione, consigliere di amministrazione. Non esiste il narcisista critico per evidente incompatibilità del tipo e del sottotipo. Se è del sottotipo classico mantiene un'immagine immacolata del proprio lavoro, è onesto intellettualmente e comportamentalmente. E' in pratica il classico accademico ascoltato e stimato che dispensa consigli e piaceri disinteressatamente. Il suo tornaconto è quasi sempre il piacere di essere ammirato e rispettato. Se è "spregiudicato" diverrà abile mediatore, scaltro consigliere, infido tessitore di alleanze. Generalmente non ama apparire e gestisce il suo potere nell'ombra. Gli interessano soprattutto prestigio, potere e soldi. I due tipi possono entrare in conflitto, ma più frequentemente tendono a vivere in simbiosi. Il classico sta sotto i riflettori e gode dell'ammirazione che gli si presta, il secondo sta nella sua ombra e, apparentemente all'insaputa del primo, tesse trame a suo vantaggio e/o del gruppo cui anche il classico spesso appartiene.
Il dissociato non può essere un sottotipo "spregiudicato" perchè deve aver prima nutrito ideali che una crisi di identità deve aver messo in discussione, oppure deve essere stato già critico per sua natura. Questa sindrome, infatti, si presenta in un neofita classico, passato o meno dalla fase narcisistica, in cui qualche evento ha fatto prendere coscienza che la sua visione ideale della scienza non ha perfetta rispondenza nella realtà. Forse aveva covato questo dubbio in modo inconsapevole ed adesso non riesce a negare l'evidenza. Se proviene dal neofita critico, l'evoluzione è naturale. Il sistema lo ha accettato ed ha accettato anche il suo spirito critico. Se deriva dal sottotipo classico c'è il pericolo che cominci a rifiutare dogmaticamente tutto ciò che è "sapere certificato" e che prima accettava con altrettanta convinzione. Se non cade in questa trappola, diviene un "classico-impegnato". Si batte contro l'ottusità delle istituzioni, ricerca forme di impegno alternativo. E' instancabile e perseverante. Difficilmente perde il suo amore per la verità scientifica. Non mostra più quella sicurezza di prima e preferisce il dialogo al monologo. Cerca di coinvolgere nuovi adepti. Frequentemente, però, accade che il suo lavoro non raggiunge gli obiettivi previsti. Se i tentativi che falliscono raggiungono un numero insopportabile può degenerare verso il classico demenziale oppure verso il critico schizoide. Il sistema però può riuscire ad inglobarlo e, perdonandogli la sua fase di momentanea ribellione, lo riporta ad un normale anonimato (la pecorella smarrita che ritorna all'ovile!). Se il dissociato è del sottotipo critico cerca di costruirsi una nicchia in cui vivacchia e tende a manifestarsi disprezzando, provocando e sbeffeggiando il sistema, sapendo ritornare però ubbidiente al momento opportuno. Il dissociato classico in pratica è impegnato a criticare il sistema per migliorarlo, quello critico si accontenta spesso di una critica fine a se stessa.
Arriviamo infine alla sindrome involutiva. E' l'evento più triste nella vita di un universitario. La residua felicità di un universitario involuto è principalmente affidata alla benevolenza ed alla tolleranza di coloro che lo circondano. La sindrome involutiva auspicabile è quella legata solo all'età, ma esistono forme involutive legate ad eventi traumatici (i.e. la bocciatura in un concorso che si era sicuri di vincere, l'improvvisa scoperta delle disistima da parte di persone di riferimento scientifico, etc.), oppure legate a stress lavorativo (può colpire facilmente coloro che per spirito di servizio o per sete di potere o di protagonismo, hanno cumulato impegni didattici, scientifici e istituzionali che, accavallandosi, portano la persona all'esaurimento), o ancora all'aver maturato che il proprio lavoro non ha quell'enorme utilità sociale di cui si era convinti. Se l'involuto è "classico" abbandona lentamente i problemi sostanziali e si attacca alle minuzie (gli auguri al collega, il perfetto funzionamento della fotocopiatrice, etc.). In quei rari casi in cui è del tipo "spregiudicato" (piuttosto immune dalla sindrome involutiva) diviene sempre più sospettoso, vede trame contro di lui dappertutto. Più frequentemente, però, si rende conto che la sua vita precedente ha fatto cumulare tante di quelle inimicizie accademiche che difficilmente lo tollererebbero e va in pensione anticipata, oppure si rifugia in una anonima nicchia operativa. Se è "critico" è ben tollerato, soprattutto perchè nel passato non ha quasi mai ricoperto posizioni di responsabilità. Diventa il classico professore stralunato, distratto, incoerente e quasi sempre mansueto.
Il libro di Attena si sofferma anche su etiopatogenesi, diagnosi, terapia e prevenzione. Simpatica la terapia che prevede uno "stage" periodico consistente in un radicale cambiamento di ruolo professionale e sociale, tipo una settimana all'anno di lavoro umile da lavapiatti.
C'è un capitolo però che è importante per comprendere molti dei mali dell'Università italiana. Il capitolo riguarda i "deliri accademici". Sono tre: il delirio burocratico, quello scientifico e, soprattutto quello bellico.
Il delirio burocratico non è da confondere con una sana organizzazione burocratica. Infatti ne è la sua degenerazione. Colpisce quelle strutture universitarie che non hanno una rilevante utilità. Spesso non si riesce a capire se l'inutilità della struttura ha generato la burocratizzazione per darsi una ragione d'esistere, oppure se l'eccessiva burocratizzazione abbia indebolito nel tempo l'utilità della struttura, facendo passare in secondo piano la sua originaria mission scientifica. Se si è in preda al delirio burocratico potrete osservare riunioni scientifiche, amministrative, consigli di dipartimento, consigli di corso di laurea, etc. a raffica. Spesso queste riunioni sono precedute da altre meta-riunioni preparatorie (commissioni, consigli di presidenza, etc.) a loro volta precedute da incontri informali, telefonate, etc. Quasi sempre alla fine della riunione gerarchicamente più importante tutti hanno cumulato livelli di tensione tali che hanno bisogno di recuperare le energie, oppure di abbandonarsi a comportamenti infantili. Le decisioni spesso sono dimenticate pochi minuti dopo la fine della riunione. Vi accorgete dell'esistenza del delirio burocratico dal fatto che tutti hanno sottobraccio un fascicolo e passano affannosamente da un ufficio all'altro.
Il delirio scientifico è caratterizzato da una iperproduzione di lavori scientifici. Da quando si è posto un numero massimo alle pubblicazioni da presentare ai vari concorsi questo delirio è diminuito in frequenza. Resta ancora in tutti quei casi dove non è il contenuto degli articoli ad essere controllato, ma il loro numero. Si mettono allora in atto tutti quegli stratagemmi che consentono di moltiplicare i pani ed i pesci e le persone coinvolte pensano continuamente a come ottenere il massimo numero di pubblicazioni con il minimo sforzo.
Ma il delirio che più di tutti spiega molte delle anomalie dell'Università italiana è il delirio bellico. Come tutti i deliri accademici non è il singolo ad attivarlo oppure a soffrirne ma riguarda tutto il collettivo. Il singolo in qualche modo addirittura lo subisce. Per l'innesco di un delirio, di quello bellico in questo caso, c'è necessità di un personaggio al vertice della gerarchia (un direttore di dipartimento, un presidente di consiglio di corso di laurea, per fare un esempio). I membri del gruppo, poi, attivano spesso un meccanismo di reciproco rinforzo al termine del quale il delirio viene percepito come una reale e legittima esigenza. Il delirio bellico opera quasi sempre per cerchi concentrici: il nucleo allievo-maestro; il gruppo di ricerca, il dipartimento, il corso di laurea, la facoltà, l'ateneo. Si sente sempre più spesso il "gergo guerresco": conquista di territori, ritirata strategica, trattati di pace, etc. Frasi del tipo "deve scorrere il sangue a fiumi" non sorprendono nessuno. Talvolta due docenti possono essere alleati per un interesse e nemici per un altro, rasentando così la schizofrenia relazionale. I motivi della rivalità: posti di ruolo da dividere fra i dipartimenti, fondi di ricerca da spartirsi, etc. Il numero di questi posti o l'entità dei fondi da dividere spesso è ridicola se paragonata con quelli di altri ambienti, ma questo poco importa. Il delirio si scatena lo stesso.
Come si superano i deliri? Bisogna che ogni membro della comunità accademica rimanga presente a se stesso, mettendo in atto la "resistenza attiva". Deve sempre tenere a mente i propri convincimenti, soprattutto se entrano in conflitto con quelli del gruppo. Si devono attivare confronti con l'esterno e non rinchiudersi nel guscio universitario in modo che le dimensioni dei problemi restino quelli effettivi e non subiscano fenomeni di ingigantimento fittizio.
Questo è quanto descritto da Attena. Partendo dalle sue indicazioni ed aggiungendovi i necessari paragoni con i vizi e le virtù di altri sistemi universitari, nonchè affrontando anche le modalità di una migliore interrelazione fra l'Università e le altre realtà culturali, produttive, imprenditoriali, potrebbero essere individuate le modalità per ridurre e combattere gli attuali mali dell'Università italiana, per esaltarne le virtù e le potenzialità e, senza lasciarsi prendere dallo sport della denigrazione fine a se stessa, contribuire al rilancio delle istituzioni accademiche ed al loro proficuo utilizzo per la sana crescita della società italiana.
In Calabria, al solito, questi obiettivi sono ancora più importanti e strategici. La relativa gioventù dell'UniCal fa si che molti dei mali dell'Università italiana siano nel nostro Campus ancora in fase iniziale, se non addirittura in incubazione, in tempo cioè per debellarli sul nascere e per mantenere alti gli standard didattico-scientifici e dei servizi e per continuare a raggiungere eccellenza nella ricerca, cioè per difendere tutte quelle caratteristiche positive che ci hanno finora fatto conquistare le vette delle più importanti classifiche di valutazione delle università italiane.