lunedì 21 marzo 2011

L'università e la «mistica degli statuti»

da www.ilsole24ore.com del 21.03.2011

La riforma Gelmini dell'università impegna gli atenei al riordino della governance. Sei mesi di tempo, più tre di "supplementari".
Ma perché cambiare gli statuti? Se è vero che molti atenei non sono stati in grado di controllare adeguatamente bilanci e reclutamento, spesso sforando i limiti di legge, è pure vero che molti altri - a parità di regole – hanno tenuto le cose a posto. Questa stessa differenza dimostra de facto che l'autonomia funziona e che il problema dell'efficienza del sistema non è, almeno non solo, nei meccanismi di governance.
Perché cambiare allora? Perché anche chi ha operato bene lo ha fatto con grande fatica districandosi tra competenze attorcigliate e ripetute di un sistema “bicamerale imperfetto” in cui senato accademico e Consiglio di amministrazione, ma anche giunta, commissioni istruttorie e collegi vari, si occupano tutti di tutto.
Intendiamoci, il fatto che molti argomenti siano discussi in più consessi non è, per sé, un male. Si potrebbe sostenere che è un modo per garantire trasparenza e verificabilità. Purtroppo non è così perché la ripetizione comporta tempi spesso incompatibili con il mutare degli eventi esterni, mentre la molteplicità dei consessi diluisce e sfuoca le responsabilità.
La responsabilità, appunto. La riforma (legge 240) riassegna "ex lege" al senato accademico quella della politica culturale e scientifica e al Cda quella della spesa e del controllo di gestione, inclusa la decisione finale sulla attivazione dei corsi di studio. Impone anche la composizione degli organi: massimo 35 membri al primo, e 11 al secondo di cui almeno tre non appartenenti all'ateneo. La presenza di esterni viene letta da alcuni come un prodromo del condizionamento di privati sulle università. È un timore infondato, credo, non foss'altro perché la presenza di non-accademici è già oggi contemplata da molti statuti. D'altra parte una distinzione di funzioni molto marcata tra senato accademico e CdA e una maggiore competenza in chi deve leggere e approvare i bilanci potrebbe portare chiarezza nelle scelte programmatiche e un controllo della spesa più adeguato.
Ci sono, tuttavia, altre prescrizioni che sembrano attrarre meno attenzioni e che invece avranno impatto molto significativo. Vediamone alcune:
1) i dipartimenti, oltre che della ricerca, dovranno farsi carico dello svolgimento delle attività di formazione fin qui gestite dalle facoltà attraverso i corsi di studio. Questa convergenza richiederà una profonda riorganizzazione dei processi (accoglienza studenti, attività di segreteria, piani di studio, ecc,) e in parte dei luoghi (laboratori, biblioteche, aule ecc.) attualmente gestiti in maniera separata e distinta dalle strutture didattiche e di ricerca. La conseguente riconfigurazione gestionale, soprattutto nei mega atenei, avrà un impatto non indifferente sull'organizzazione del lavoro del personale tecnico e amministrativo oltre che dei docenti. I dipartimenti saranno cosa ben diversa da quelli attuali;
2) la confluenza della didattica e della ricerca porterà nei dipartimenti anche il budget del personale docente. Si potrà così superare la attuale stravaganza di "posti" banditi dalle facoltà sulla base delle esigenze didattiche mentre i luoghi di afferenza univoca e di ricerca sono i dipartimenti. Il dualismo dipartimento-facoltà / ricerca-didattica è un po' all'origine di molti dei problemi dell'Università, non ultimo quello della valutazione della didattica e della ricerca;
3) c'è poi il compito delle strutture di coordinamento della didattica alle quali compete dare chiarezza all'offerta formativa. Bisognerà che le diverse aree o scuole o come si chiameranno mettano gli studenti in condizione di orientarsi senza "navigatore" tra percorsi ben identificabili dalla laurea triennale, alla magistrale, fino al terzo livello della formazione, il dottorato di ricerca. Il dottorato è ancora il grande assente dai nostri dibattiti mentre i grandi atenei d'Europa hanno strutture formative organizzate intorno alle scuole dottorali.
Insomma, la riforma degli statuti, anche se imposta ex lege a strutture dotate di autonomia, è una occasione da non perdere per rilanciare il nostro sistema universitario. Attenzione alla "mistica degli statuti", tuttavia. Statuti e regolamenti sono solo metà, a volte anche meno della metà, di quanto serve al funzionamento delle università. L'altra metà è fatta dagli uomini e dalle donne e dagli obiettivi che perseguono.

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