dal sito www.step1.it
di Agata Pasqualino | 19/02/2011 |
Presentato giovedì alla libreria Feltrinelli, il libro “Un taglio al futuro” di Sebastiano Gulisano, analizza e mostra tutte le criticità della riforma Gelmini dando voce a chi la vive e la subisce. Step1 ha intervistato l’autore
Sono le storie di chi vive all’interno del sistema dell’istruzione italiana le protagoniste di “Un taglio al futuro”, il libro del giornalista Sebastiano Gulisano, che analizza le conseguenze della riforma Gelmini, attraverso le voci e le facce di studenti, presidi, docenti e ricercatori. Lo abbiamo intervistato in occasione della presentazione del volume, che si è tenuta giovedì alla libreria Feltrinelli di Catania.
Il libro si apre con un riferimento alla Costituzione italiana. In che senso la riforma della Gelmini la viola?
Innanzitutto, il decreto dal quale parte la controriforma, perché in questo non si può parlare di riforma, è economico-finanziario e non è neanche firmato dalla Gelmini, perché è una legge di assestamento di bilancio e quindi l’istruzione non c’entra nulla. In questo decreto viene inserito un articolo che permette di scardinare la legislazione esistente e di fare le riforme tramite regolamenti che non sono soggetti al voto parlamentare, ma al parere consultivo delle commissioni. Inoltre, la filosofia che c’è dietro questi regolamenti di fatto penalizza gli ultimi, i più deboli. L’articolo 3 della nostra Costituzione affida alla Repubblica “il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale tra i cittadini”;a la scuola della Gelmini, e non solo, quella degli ultimi 15 anni, fa diventare invece l’istruzione una corsa a ostacoli. La scuola è l’unico elemento che può consentire la mobilità sociale, ma oggi non è più così. I figli di chi non è laureato difficilmente raggiungeranno la laurea e già quest’anno molti non hanno potuto iscriversi all’università. Poi c’è l’articolo 34, per cui “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. La Gelmini parla sempre di meritocrazia, però in due anni ha tagliato il 90% delle borse di studio.
I protagonisti del libro, più che i numeri e le statistiche, sono i volti e le vicende di chi vive la scuola e l’università. C’è una storia che l’ha colpita più delle altre e che trova emblematica della situazione?
Quello che ho cercato di fare nel mio libro è raccontare le ricadute reali della controriforma sul sistema della scuola, dell’università e della ricerca, attraverso la voce di chi il mondo dell’istruzione lo vive, e cioè studenti, docenti, ricercatori, sindacalisti, che, tra l’altro, non hanno avuto la possibilità di dire la propria, per via di quel processo per cui un decreto legge finanziario viene convertito in legge in 40 giorni senza possibilità di confronto parlamentare. Mi hanno colpito tutte le storie. Forse la più forte è quella di Fabio Passiglia, il dirigente scolastico della scuola elementare di Brancaccio di Palermo che racconta cosa vuol dire oggi lavorare in una scuola di frontiera, in una zona a rischio come Brancaccio che è stato il quartiere di Don Pino Puglisi oltre che dei fratelli Graviano. Mi ha colpito anche che i racconti di tutti gli universitari che ho intervistato avessero in comune due parole: futuro e estero. A prescindere dalle diverse esperienze personali, si ripeteva in tutti il pensiero di non avere futuro in questo paese e di doverlo cercare all’estero.
Come è stato accolto finora il libro dagli addetti ai lavori?
Ho avuto riscontri positivi perché, nonostante sia un instant book, fatto in un mese, rende bene l’idea di cosa sta succedendo nel sistema dell’istruzione italiano.
“Un taglio al futuro” è appunto un’istantanea delle conseguenze dei provvedimenti della Gelmini. Ha pensato alla possibilità di un secondo volume che ne racconti l’evoluzione?
Sto accarezzando quest’idea, in realtà. Ho comunque continuato a seguire le manifestazioni, le ricadute, il movimento degli studenti e in parte li ho documentati con la fotografia, passione che coltivo da qualche anno. Credo sia importante raccontare quali risposte sono state scelte da studenti, insegnanti e ricercatori per contrastare l’effetto devastante della controriforma dopo la sua approvazione, e c’è anche l’aspetto giuridico da analizzare, i tantissimi pronunciamenti di TAR, fino alla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha sconfessato le scelte del ministro e di questa maggioranza di Governo.
Durante la presentazione del libro uno dei relatori, il professor Antonio Pioletti dell’Università di Catania, ha detto che anche prima della Gelmini l’università non piaceva. Si doveva toccare il fondo per scuotere gli insegnanti, i ricercatori e gli studenti italiani e farli scendere in piazza?
Credo che l’abitudine di non contestare sia legata ad un’involuzione che ha riguardato il nostro paese negli ultimi quindici anni. Provo, però, a mettermi nei panni di uno studente che va a scuola, all’università, per studiare, formarsi, laurearsi e non per scioperare e contestare. Il punto è che negli ultimi due anni era impossibile non farlo, perché quel sistema che già non piaceva, è stato letteralmente massacrato. Per esempio, c’è chi con la laurea triennale era riuscito a diventare ricercatore e che all’improvviso si ritrova a causa della riforma con un contratto che non vale più, per legge. Cioè questi, invece di immettere gente nel mondo del lavoro, la espellono, per legge. Le riforme prendono anni, loro si sono mossi come fossero degli schiacciasassi e anche per questo non penso che sia finita qui, ci saranno certamente delle conseguenze anche sul piano giudiziario.
Il libro si apre con un riferimento alla Costituzione italiana. In che senso la riforma della Gelmini la viola?
Innanzitutto, il decreto dal quale parte la controriforma, perché in questo non si può parlare di riforma, è economico-finanziario e non è neanche firmato dalla Gelmini, perché è una legge di assestamento di bilancio e quindi l’istruzione non c’entra nulla. In questo decreto viene inserito un articolo che permette di scardinare la legislazione esistente e di fare le riforme tramite regolamenti che non sono soggetti al voto parlamentare, ma al parere consultivo delle commissioni. Inoltre, la filosofia che c’è dietro questi regolamenti di fatto penalizza gli ultimi, i più deboli. L’articolo 3 della nostra Costituzione affida alla Repubblica “il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale tra i cittadini”;a la scuola della Gelmini, e non solo, quella degli ultimi 15 anni, fa diventare invece l’istruzione una corsa a ostacoli. La scuola è l’unico elemento che può consentire la mobilità sociale, ma oggi non è più così. I figli di chi non è laureato difficilmente raggiungeranno la laurea e già quest’anno molti non hanno potuto iscriversi all’università. Poi c’è l’articolo 34, per cui “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. La Gelmini parla sempre di meritocrazia, però in due anni ha tagliato il 90% delle borse di studio.
I protagonisti del libro, più che i numeri e le statistiche, sono i volti e le vicende di chi vive la scuola e l’università. C’è una storia che l’ha colpita più delle altre e che trova emblematica della situazione?
Quello che ho cercato di fare nel mio libro è raccontare le ricadute reali della controriforma sul sistema della scuola, dell’università e della ricerca, attraverso la voce di chi il mondo dell’istruzione lo vive, e cioè studenti, docenti, ricercatori, sindacalisti, che, tra l’altro, non hanno avuto la possibilità di dire la propria, per via di quel processo per cui un decreto legge finanziario viene convertito in legge in 40 giorni senza possibilità di confronto parlamentare. Mi hanno colpito tutte le storie. Forse la più forte è quella di Fabio Passiglia, il dirigente scolastico della scuola elementare di Brancaccio di Palermo che racconta cosa vuol dire oggi lavorare in una scuola di frontiera, in una zona a rischio come Brancaccio che è stato il quartiere di Don Pino Puglisi oltre che dei fratelli Graviano. Mi ha colpito anche che i racconti di tutti gli universitari che ho intervistato avessero in comune due parole: futuro e estero. A prescindere dalle diverse esperienze personali, si ripeteva in tutti il pensiero di non avere futuro in questo paese e di doverlo cercare all’estero.
Come è stato accolto finora il libro dagli addetti ai lavori?
Ho avuto riscontri positivi perché, nonostante sia un instant book, fatto in un mese, rende bene l’idea di cosa sta succedendo nel sistema dell’istruzione italiano.
“Un taglio al futuro” è appunto un’istantanea delle conseguenze dei provvedimenti della Gelmini. Ha pensato alla possibilità di un secondo volume che ne racconti l’evoluzione?
Sto accarezzando quest’idea, in realtà. Ho comunque continuato a seguire le manifestazioni, le ricadute, il movimento degli studenti e in parte li ho documentati con la fotografia, passione che coltivo da qualche anno. Credo sia importante raccontare quali risposte sono state scelte da studenti, insegnanti e ricercatori per contrastare l’effetto devastante della controriforma dopo la sua approvazione, e c’è anche l’aspetto giuridico da analizzare, i tantissimi pronunciamenti di TAR, fino alla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha sconfessato le scelte del ministro e di questa maggioranza di Governo.
Durante la presentazione del libro uno dei relatori, il professor Antonio Pioletti dell’Università di Catania, ha detto che anche prima della Gelmini l’università non piaceva. Si doveva toccare il fondo per scuotere gli insegnanti, i ricercatori e gli studenti italiani e farli scendere in piazza?
Credo che l’abitudine di non contestare sia legata ad un’involuzione che ha riguardato il nostro paese negli ultimi quindici anni. Provo, però, a mettermi nei panni di uno studente che va a scuola, all’università, per studiare, formarsi, laurearsi e non per scioperare e contestare. Il punto è che negli ultimi due anni era impossibile non farlo, perché quel sistema che già non piaceva, è stato letteralmente massacrato. Per esempio, c’è chi con la laurea triennale era riuscito a diventare ricercatore e che all’improvviso si ritrova a causa della riforma con un contratto che non vale più, per legge. Cioè questi, invece di immettere gente nel mondo del lavoro, la espellono, per legge. Le riforme prendono anni, loro si sono mossi come fossero degli schiacciasassi e anche per questo non penso che sia finita qui, ci saranno certamente delle conseguenze anche sul piano giudiziario.
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