sabato 30 luglio 2011

Familismo amorale, anzi no ... particolarismo ...... sicuro ARRETRATEZZA

tratto da http://patrickmarini.wordpress.com

Chi di noi non ha sperimentato frustrazione e delusione nel proporre temi importanti per un’evoluzione sostenibile della vita, della nostra città o nazione?
Temi come la pace, l’ottimizzazione, la valorizzazione della natura e del paesaggio coinvolgono l’ intera collettività eppure suscitano spesso nell’interlocutore, disinteresse e critiche supponenti o affermazioni come la maremmana “tanto va bene uguale!”.
Il motivo di questo comportamento è lo stesso per cui il corpo docente delle università spesso è formato da intere famiglie allargate, è lo stesso per cui le nostre case sono pulite e splendenti mentre fuori (regno di tutti e di nessuno) si può sporcare, è lo stesso per il quale non riusciamo a fare la raccolta differenziata e i politici se ne stanno al parlamento fino alla morte è lo stesso per cui esiste la mafia, la camorra o la ‘ndrangheta…
Perché noi italiani siamo così? Nel 1958 un antropologo americano, Edward Banfield, si trasferì presso una piccola comunità della Lucania convenzionalmente chiamata Montegrano: un paese isolato di contadini e braccianti, fra i più poveri del mondo occidentale. Lo scopo era di studiare per comprendere i meccanismi di uscita dalla società tradizionale o di resistenza allo sviluppo.
“Banfìeid fu colpito dal fatto che non esistesse qui una vita associativa, e si chiese perché di fronte agli evidenti problemi sociali, nessuno si desse da fare per cambiare le cose. La risposta fu cercata nel «familismo amorale», un tratto culturale secondo il quale gli abitanti di Montegrano cercano soltanto di massimizzare i vantaggi materiali e immediati del nucleo familiare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo. La prospettiva di investire risorse ed energie in beni collettivi e un’azione organizzata per realizzarla sono per questo fuori dall’orizzonte delle possibilità. La spaventosa miseria, il senso di umiliazione, la paura del futuro sono il terreno sul quale il familismo amorale è cresciuto, ma i montegranesi sono ora prigionieri della loro morale centrata sulla famiglia.” (A. Bagnasco, M. Barbagli, A. Cavalli “Corso di sociologia” ed Il Mulino pag. 680)
Questo comportamento non è molto cambiato, anzi sembra aver impregnato anche la politica, la scuola e persino il calcio, diventando la cultura dominante della nostra nazione. Il bello è che il termine “familismo amorale” viene spesso utilizzato in modo “particolaristico” come se se riguardasse soltanto una certo aspetto della cultura italiana e non l’Italia in generale. Del resto questo è forse il modo migliore per confondere un popolo non pensante, guidato in modo molto efficace dai media…..
Ma ecco alcuni esempi…
On. Giuseppe Pisanu, intervento al Senato del 20/10/2005 e alla Riunione straordinaria della Calabria a Reggio Calabria il 23/10/2004 […] Forte del suo “familismo amorale” che, da un lato, la rende particolarmente coesa e, dall’altro, la contrappone alla società civile e allo stato di diritto, la ‘Ndrangheta è insieme, per sua stessa natura, fenomeno criminale e forza eversiva.
Dichiarazioni di voto di Domenico Comino alla Camera, Seduta n. 322 del 10/3/1998 […] Per quanto riguarda la seconda relazione sui criteri di reclutamento del personale, abbiamo appreso, in una recente missione all’estero, come in altri paesi europei i funzionari ed il personale, in genere, dei servizi siano reclutati con appositi bandi pubblicati sui giornali. Qui da noi regna ancora una sorta di familismo amorale, per cui il politico, o il parente del politico di turno, manda a lavorare nei servizi di informazione e sicurezza il suo pupillo o il suo concessionario di voti, che non deve rispondere a nessuno, né in termini di professionalità, né in termini di produttività dei servizi.

Articolo di Gad Lerner su La Repubblica del 23/5/2006, Scandalo calcio, di padre in figlio ecco la catena del privilegio […] E ancora. Nel 2003, quando le indagini sui crac di Cirio e Parmalat coinvolsero il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, nessuno fra gli illustri membri del patto di sindacato di quella banca avanzò rilievi di opportunità per l’insolita compagnia d’affari in cui sedevano riuniti i figli dei protagonisti degli scandali. L’osservazione sarebbe parsa incongrua, esulando dalla materia delle indagini. Gli intrecci familistici da noi sono ridimensionati a mere questioni di gusto, debolezze genitoriali meritevoli d’indulgenza. Eppure mi chiedo quale forma di amore paterno sia questa che trasforma i figli in longa manus della propria influenza nell’establishment. E viceversa, perché a tanti giovani già comunque benestanti riesca così facile accettare l’idea, sgradevole per una donna o un uomo d’onore, di accreditarsi solo grazie ai privilegi del cognome che conta. Posso immaginare le obiezioni. Chi è senza peccato scagli la prima pietra! Le redazioni dei giornali (e più ancora dei telegiornali) non sono forse costellate di firme che si tramandano di padre in figlio? La prole degli avvocati, dei notai, dei medici non eredita forse massicciamente studi professionali bene avviati da generazioni? E la consuetudine di assumere i figli dei dipendenti non è stata contrattata dagli stessi sindacati di categoria, alle poste come alle ferrovie? Niente di nuovo sotto il sole, già i sociologi e gli storici di matrice anglosassone hanno dovuto coniare la formula del familismo amorale per raccontare il Bel Paese.
Relazione del dott. Valerio Belotti, Sociologo, esperto ed autore di testi sulle politiche per l’infanzia, docente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova alla Conferenza sulle politiche sociali della provincia di Trieste il 17/1/2003, atti della terza giornata […] In Italia, rispetto ad altri Paesi, si coniugavano due aspetti tra loro contraddittori: ad un’elevata importanza attribuita nella scala dei valori individuali e collettivi alla famiglia si accompagnava uno scarso peso delle politiche di intervento del settore. Ovvero, nel Paese dove maggiore era il peso culturale della famiglia, minore era il suo sostegno da parte della collettività e dello Stato. Come poteva accadere questo paradosso? La risposta era immediata, almeno da parte di alcuni esperti: la società italiana era affetta da una sorta di “familismo amorale”, ovvero da una cultura diffusa che considerava i legami e le strategie familiari cosa privata e disgiunta da una cultura più esterna alla famiglia, da una cultura per così dire di comunità locale. L’Italia viveva, in parte vive ancora, nell’idea che famiglia e bambini trovino sostegno e supporto adeguato nel brodo culturale e quotidiano dei rapporti informali e comunitari ovvero si viveva nell’idea non tanto dell’inutilità, ma della non legittimità dello Stato ad intervenire su problematiche considerate private.
Programma di Rifondazione del 25/11/2005 (Coord. Franca Bimbi) per il Programma dell’unione, Gruppo di Lavoro Scuola, Università, Ricerca – Scheda 1- Un altro mondo è possibile: Sfide, obiettivi e priorità per un’università dei giovani e dei talenti […]2. Le prospettive “Un altro mondo è possibile” le giovani generazioni chiedono ai loro insegnanti competenza, impegno, affidabilità, relazione, trasparenza. Si aspettano dall’università uguaglianza delle opportunità ed un contesto favorevole allo sviluppo del loro capitale culturale. Esigono equità, riconoscimento del merito, occasioni per far fiorire i talenti d’ogni ragazza e ragazzo, indipendentemente dalle disuguaglianze d’origine. “Più università”: rendere effettivo per quanti più possibile l’accesso al sapere, alla qualità del lavoro, alla competenza professionale; facilitare i migliori nel raggiungimento delle più alte mete di formazione scientifica e nel conseguimento precoce delle posizioni di responsabilità. “Più qualità all’università”: investire sul merito, le competenze, la professionalità di molti, penalizzando e lasciando da parte la cooptazione per fedeltà e anzianità, il familismo amorale, lo spoil system.

Tuttavia il termine più corretto che descrive il comportamento tipico italiano è “particolarismo”. Questo concetto è attualmente oggetto di studio di Alberto Marradi, ordinario di metodologia delle Scienze sociali all’Università di Firenze. Dal suo libro “Raccontar storie” edito nel 2005 da Carocci, riporto, a conclusione di questa analisi, un interessante stralcio:
(pp. 88-90) “La dimensione: particolarismo / universalismo”
Una società si forma e si distingue da un clan quando gli individui accettano l’idea di avere dei doveri e delle responsabilità non solo verso se stessi, non solo verso i familiari, non solo verso gli amici o i componenti del proprio clan, gruppo, cricca o simile, ma anche verso qualsiasi membro ignoto e anonimo di quella società. Ampliandosi via via l’orizzonte, si percepiscono doveri e responsabilità anche verso gli stranieri, gli alieni, gli animali non umani, la natura. In sostanza, 1’ampiezza della sfera delle entità che vengono percepite da un soggetto come titolari di diritti nei suoi confronti definiscono la sua posizione sulla dimensione particolarismo-universalismo. Per Ortega y Gasset, «l’essenza del particolarismo si ha quando ogni gruppo vive ermeticamente chiuso in sé, ignorando gli altri. È difficile immaginare che questi agglomerati formino una società» (1921, trad. it. pp 36 e 44-5).  Più in astratto, si tratta della capacità di considerare una situazione in base a criteri generali, che tengano conto in modo ponderato degli interessi, immediati e futuri, di tutti gli attori coinvolti (presenti e assenti, individuali e collettivi), anziché privilegiare il punto di vista di specifici attori: il proprio, quello del proprio gruppo o clan, quello dell’attore con cui ci si identifica – per affinità effettive o semplicemente perché la specifica situazione (1) induce a farlo.  Parsons (1951, p. 92) chiama universalismo la capacità di trattare specifici individui o situazioni come esemplari di categorie generali anziché in funzione di eventuali relazioni particolari (o assenza di queste) con l’attore. «L’universalista distribuisce le ricompense [...] sulla base di regole generali relative alle prestazioni, indipendentemente da relazioni personali» (ivi, pp. 182-3).  Osserva Collins (1975, p. 75): «II particolarista pensa in termini di individui e situazioni particolari, orizzonti di corto respiro, mentre un mondo estraneo e incontrollabile circonda gli ambiti ristretti che gli sono familiari».… Ma – come rileva la Signorelli (1983) – il particolarismo condiziona l’intera società italiana, opera a tutti i livelli della società. «La lealtà alla famiglia, al clan [...] alla clientela, alla fazione, alla mafia [...] se è più evidente nei villaggi del Sud, in realtà permea di sé tutto il sistema culturale e politico» (Alberoni, 1974, p. 470). Tuttavia, come osserva Cartocci (1994, p. .50), per una sorta di «rimozione nevrotica», molti intellettuali italiani hanno ignorato «il peso del particolarismo nella nostra cultura».  Malgrado questo, «i sociologi hanno curato poco gli strumenti metodologici e teorici adatti alla rilevazione dei fenomeni particolaristici. Concetti come la parentela, l’amicizia, il padrinaggio e il clientelismo sono stati lasciati prevalentemente agli antropologi, cioè a coloro che per tradizione hanno studiato la società degli altri» (Ève 1993, p. 362). «Le ragioni storiche della divisione del lavoro tra le due discipline sono da ricercarsi in ipotesi essenzialmente evoluzionistiche circa la natura della società moderna; società ” semplici “/”primitive”/”poco sviluppate” erano viste come tipi di formazione sociale le cui strutture si fondavano su sistemi di parentela in contrapposizione alle società “complesse”, “avanzate” o “moderne” in cui la vita sociale era fondata sulla struttura di relazioni. economiche» (Harris, 1990, p. 13).  Il fatto che sociologi, antropologi e politologi tendessero a collegare strettamente il particolarismo con il sottosviluppo e l’arretratezza economica fino a confonderli ha provocato le reazioni di alcuni studiosi. Questi, sottolineando il successo economico di alcuni Paesi asiatici la cui cultura è concordemente giudicata particolarista, hanno … la piena conciliabilità dei legami particolaristi con lo sviluppo economico, giungendo a ipotizzare che il particolarismo costituisca la via privilegiata per la modernizzazione e lo sviluppo economico di alcuni paesi, ad esempio dell’America Latina….  Ritengo che queste tesi siano fondate e che a certe condizioni il particolarismo sia perfettamente conciliabile con lo sviluppo, il benessere economico e la modernizzazione. Sono infatti convinto che il particolarismo caratterizzi molte società postindustriali nella stessa misura (7) in cui ha caratterizzato molte delle società storicamente note. Per questo motivo sottolineo l’opportunità – se vogliamo l’urgenza – di studiarlo anche nel cuore delle società industriali avanzate anziché solo nelle loro periferie o nelle società ritenute primitive.
Avrei preferito mille volte di più un’arretratezza derivante da “ricerca della felicità” come la intendevano gli epicurei, basata sull’amicizia, la libertà e il pensiero, in cui “la povertà commisurata al bene secondo natura è ricchezza” mentre “la ricchezza senza misura è una grande povertà”. Purtroppo non è così e con la nostra visione limitata, egoistica e particolarista ci agitiamo, come diceva Lucrezio, … senza alcun frutto e invano sempre, e tra inutili affanni consumiamo la vita, certo perché non conosciamo un limite al possesso e nemmeno, fin dove s’accresca il vero piacere.
Forse la grande sfida che ci attende a partire dal Peak Oil potrebbe essere l’occasione di rivedere la nostra storia. Potremmo trovare una nuova strada in cui far crescere i concetti morali rimasti inascoltati dal tempo degli antichi greci, all’ombra di una dominante ed esponenziale crescita tecnologica e dei crescenti e inutili consumi, alla ricerca di una felicità sempre più irraggiungibile.

Università di Sassari: approvato nuovo statuto

Sassari - Il Senato accademico dell'Università di Sassari ha approvato all'unanimità il nuovo Statuto di Ateneo, adeguato alla legge 240 di riforma del sistema universitario (nota come legge Gelmini). Lo Statuto, che pochi giorni fa aveva ottenuto il parere favorevole del Consiglio di amministrazione dell'Università, è stato redatto da una speciale Commissione, presieduta dal rettore Attilio Mastino, che in sei mesi di lavoro ha incontrato tutte le componenti dell'Ateneo al fine di realizzare un documento condiviso. Il documento sarà inviato al Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, che avrà tre mesi di tempo per esaminarlo e segnalare eventuali richieste di modifica all'Ateneo. «La Commissione statutaria - dice il rettore Mastino - ha svolto un lavoro accurato e profondo. Sebbene la riforma Gelmini tenda a dare alle Università una struttura centralistica, la Commissione ha raccolto gli umori dell'Ateneo ed è riuscita a scrivere uno Statuto che rispecchia i principi di democrazia e condivisione».
Lo Statuto è composto da 66 articoli ed è aperto da un preambolo che descrive brevemente la storia dell'Ateneo. Nel 2012 l'Università di Sassari festeggerà infatti il 450° anniversario della sua fondazione. Sempre nel preambolo, «l'Ateneo si impegna a promuovere, d'intesa con le altre istituzioni autonomistiche, lo sviluppo sostenibile della Sardegna e a trasferire le conoscenze nel territorio, operando per il progresso culturale, civile, economico e sociale». Interi articoli sono dedicati al diritto allo studio, alle pari opportunità, alle definizioni di didattica e di ricerca e all'internazionalizzazione. Con l'articolo 6 l'Ateneo riconosce inoltre «la dignità del lavoro dei suoi dipendenti e collaboratori, assicura a tutti i lavoratori piena garanzia e tutela, e promuove obiettivi di stabilizzazione e di riduzione del ricorso al lavoro precario per attività che abbiano carattere di continuità» e si impegna a realizzare «periodicamente un rapporto sui diritti del lavoro e sul lavoro precario da presentare in un incontro pubblico dignità del lavoro, compreso quello precario, da presentare in un incontro pubblico». Riveste particolare importanza anche l'articolo 12 (Promozione del progresso) con il quale l'Ateneo intende promuovere «il libero confronto delle idee e la diffusione dei risultati scientifici anche allo scopo di contribuire al progresso culturale, civile, sociale ed economico, operando in una prospettiva internazionale e favorendo lo sviluppo sostenibile e la tutela dell'ambiente, inteso come sistema di risorse naturali, sociali ed economiche».
Particolarmente importante è la definizione dei "nuovi" dipartimenti che decretano la scomparsa delle vecchie facoltà. L'articolo 35 definisce la natura e le funzioni di queste strutture «su cui si fondano l'organizzazione dell'Ateneo, costituiti sulla base di un progetto scientifico e didattico». Nello specifico «il dipartimento esercita le funzioni finalizzate allo svolgimento della ricerca scientifica, delle attività didattiche e formative, nonché delle attività rivolte all'esterno». La proposta di istituzione del dipartimento è presentata da un gruppo di docenti non inferiore a quaranta, afferenti a settori scientifico-disciplinari omogenei per fini e rispetto al progetto scientifico e didattico. Inoltre «il dipartimento di area medica assume, altresì, le funzioni clinico-assistenziali concertate con la Regione Sardegna, che costituiscono parte integrante e sostanziale del progetto scientifico e didattico». L'articolo 41 prevede poi l'istituzione di una Commissione paritetica studenti-docenti in ciascuno dei dipartimenti con il compito, tra gli altri, di monitorare l'offerta formativa e la qualità della didattica. Si prevede che verranno istituiti circa 13 dipartimenti in qualche caso collegati tra loro da strutture di raccordo, che coordineranno le attività didattiche. L'Università di Sassari attiverà non più di sei di queste strutture.
Le funzioni del rettore sono descritte all'articolo 20: «Il rettore è organo di governo dell'Ateneo, lo rappresenta ad ogni effetto di legge, è titolare delle funzioni di iniziativa, di indirizzo e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche; è responsabile del perseguimento delle finalità dell'Ateneo, secondo criteri di qualità e nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza e promozione del merito; assicura l'unitarietà degli indirizzi espressi dal Consiglio di Amministrazione e dal Senato Accademico e ne promuove e coordina l'attuazione».
Il direttore generale, sostituisce la figura del direttore amministrativo, ed è responsabile, sulla base degli indirizzi forniti dal Consiglio di Amministrazione, della complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico-amministrativo dell'Ateneo. Il suo contratto scade al momento della cessazione del rettore.
Nuova veste anche per il Senato accademico, organo di programmazione, di regolazione, consultivo, di coordinamento e di controllo, e contribuisce attivamente a definire le strategie generali dell'Ateneo. Sarà costituito da diciotto membri: il Rettore, il cui voto vale doppio in caso di parità, dodici docenti di ruolo, eletti in modo da rispettare le diverse aree scientifico-disciplinari dell'Ateneo (tra cui sei direttori di dipartimento, eletti dai docenti dell'Ateneo, e sei docenti di ruolo diversi dai direttori di dipartimento, con almeno due ricercatori), due rappresentanti del personale tecnico-amministrativo, tre rappresentanti degli studenti, tra i quali il presidente del Consiglio degli studenti e due rappresentanti eletti dagli iscritti ai corsi di laurea, di laurea magistrale e di dottorato di ricerca. Parteciperanno alle riunioni del Senato accademico il prorettore vicario, che esprime voto deliberativo soltanto in assenza del rettore e il direttore generale, con voto consultivo.
Il nuovo Consiglio di Amministrazione, che ha funzioni di indirizzo strategico, di programmazione finanziaria e del personale, di vigilanza e di controllo dell'attività amministrativa, della sostenibilità finanziaria e della situazione economico-patrimoniale dell'Ateneo. È costituito da nove membri: il rettore, due membri esterni ai ruoli dell'Ateneo, anche stranieri, con un significativo curriculum, quattro docenti di ruolo dell'Ateneo, un componente appartenente al personale tecnico-amministrativo e un rappresentante degli studenti, eletto dagli iscritti ai corsi di laurea, di laurea magistrale e di dottorato di ricerca.
Ampio spazio nello Statuto è stato dedicato anche alle relazioni con la Regione: «L'Ateneo è aperto al confronto con la Regione Sardegna allo scopo di inserire l'attività universitaria nei processi di sviluppo operando per il progresso culturale, civile, economico e sociale della Regione e per diffondere nel territorio le conoscenze scientifiche e le esperienze didattiche più avanzate a livello internazionale. Stipula con la Regione un'intesa triennale che consenta di interagire positivamente con le politiche regionali e di indirizzare gli investimenti sugli obiettivi strategici di medio e lungo termine nel campo dell'alta formazione, della ricerca, del trasferimento tecnologico, dell'assistenza, con definizione di meccanismi competitivi e di forme di premialità».

Quote rosa nel nuovo statuto dell'Università di Udine

da sito www.corriere.it del 29.07.2011


MILANO - Si chiude oggi il tempo concesso alle università dalla legge Gelmini per approvare gli statuti. E in quello di Udine fa capolino la parità di genere. Particolari meccanismi di voto e di sanzioni sono stati, infatti, introdotti allo scopo di portare al 30% la presenza femminile nel Senato accademico e nel consiglio di amministrazione. «Il nostro obiettivo - dice Cristiana Compagno, rettore dell' università, la prima donna ad arrivare alla guida di un grande ateneo - è favorire una parità di accesso più ampia: alla scienza, alla ricerca, ai servizi, all' organizzazione, alla gestione. Per questo abbiamo lavorato contemporaneamente sul codice etico, per eliminare tutti gli elementi di diversità». L' università, dunque, «garantisce il rispetto delle pari opportunità e della parità di trattamento tra donne e uomini nell' accesso al lavoro, agli uffici pubblici e alle cariche accademiche, nonché nella stessa attività lavorativa». «L' idea di base - spiega Marina Brollo, presidente del comitato per le pari opportunità - è quella di sperimentare nella comunità universitaria lo sviluppo di forme e di azioni per il riequilibrio tra i generi, anche quale modello di riferimento per combattere stereotipi di natura culturale. Nelle università le donne rappresentano la maggioranza del personale tecnico-amministrativo e la minoranza dei professori ordinari». Per l' elezione del Senato accademico è prevista una seconda preferenza solo se riguarda un candidato di sesso diverso rispetto alla prima preferenza, «pena l' annullamento della scheda». E le liste devono presentare «almeno il 30%» di candidature del sesso meno rappresentato, «pena l' inammissibilità della lista». Lo stesso principio - «almeno un terzo» dei soggetti nominati e designati dal rettore e «almeno il 30% delle candidature» dei rappresentanti degli studenti - vale per il consiglio di amministrazione. A completare il quadro, lo statuto dell' università di Udine istituisce un comitato unico di garanzia. Maria Silvia Sacchi 

venerdì 29 luglio 2011

Università del Salento: il S.A. approva le modifiche di statuto senza parere favorevole del CdA

da www.20centesimi.it del 29.7.2011


Dopo l’approvazione dello Statuto da parte del Senato Accademico, la tensione all’interno dell’Università del Salento è alle stelle e tra rettore e sindacati è ormai guerra aperta.
Lo dimostra un durissimo documento diffuso oggi Fli Cgil, Uil/Rua e Snals, con cui si denuncia “l’ostinata antidemocraticità” di Laforgia e in cui si auspicano tempi migliori per il futuro. Non solo.I sindacati indicano tutta una serie di pasticci procedurali – errori di forma e di sostanza – che potrebbero, se rilevati dagli organi competenti, azzerare l’intero iter del documento, nonostante adesso sia al vaglio del Ministero.Mai i rapporti tra amministrazione centrale e sigle sindacali non erano mai stati così bassi e mai nessun rettore aveva fatto gridare all’autoritarismo antidemocratico come sta accadendo per Laforgia. ll quale, però, alla parola “autoritario” preferisce “autorevole” e la parola “antidemocratico” la sostituirebbe volentieri con “decisionismo”. Quindi, come ogni buon manager, un autorevole decisionista. Ma c’è ancora chi pensa che l’Università non sia propriamente un’azienda.Di seguito il documento diffuso delle sigle sinadacali Fli Cgil, Uil/Rua e Snals

Lo Statuto dell’Università del Salento è stato approvato dal Senato Accademico ed ora sarà sottoposto al vaglio del Ministero.
Purtroppo si tratta di uno Statuto voluto pervicacemente dal Rettore dell’Ateneo, il quale, dopo aver sostenuto per mesi che le eventuali modifiche dovessero necessariamente essere recepite dalla Commissione appositamente costituita, ha finalmente accettato l’esatta interpretazione della legge consentendo al Senato Accademico di esplicare le proprie prerogative.
In questo modo, però, è stato impedito che si apportassero i necessari miglioramenti che la Commissione – costituita ad immagine e somiglianza del Rettore, che pur aveva esaurito il suo mandato – ha caparbiamente rigettato.
Ma non è solo questo l’unico “pasticcio” procedurale.
In realtà il Senato Accademico ha apportato modifiche sostanziali, come per esempio quella sulla composizione del futuro Senato Accademico ed ha approvato uno Statuto diverso, senza acquisire il parere favorevole del Consiglio di amministrazione sulla nuova Bozza emendata, come prescritto dalla legge. Parimenti, non sono stati acquisiti neanche i pareri del Consiglio degli Studenti, della Consulta del personale Tecnico-amministrativo e del Comitato Pari Opportunità che si sono espressi solo sulla prima bozza, successivamente sostanzialmente rimaneggiata dalla Commissione e dallo stesso Senato.
Lo stesso Consiglio di amministrazione, che è organo competente – in quanto senza il suo parere favorevole lo Statuto non avrebbe potuto mai essere approvato dal Senato accademico – non ha deliberato il parere a maggioranza assoluta dei componenti così come prescritto dalla legge.
Questi vizi procedurali mettono in serio pericolo il percorso del nuovo Statuto.
A questi si aggiungono i possibili vizi di legittimità contenuti nelle norme statutarie, come per esempio:
1) la discriminazione anticostituzionale, nei confronti di coloro che ricoprono incarichi dirigenziali nei partiti politici o nei sindacati, o che hanno avuto con gli stessi rapporti di consulenza, ai quali è preclusa la possibilità di far parte dell’elettorato passivo degli organi di Governo dell’Ateneo;
2) l’attribuzione di funzioni alle Facoltà anziché ai Dipartimenti come prescritto dalla Legge;
3) il mancato rispetto del principio di proporzionalità nella previsione delle stesse Facoltà;
4) la mancata previsione di clausole a salvaguardia della parità di genere negli Organi Accademici. E altro ancora.

Ma oltre tutto ciò, vi sono molti aspetti di questo Statuto che non sono condivisi da gran parte della comunità universitaria
E’ una bozza fortemente autoritaria che emargina il personale T/A, gli studenti, i lettori ed i precari, e non prevede istituti di partecipazione democratica; che accentra tutti i poteri nelle mani del Rettore; che potrebbe creare conflitti fra i docenti dello stesso Settore Scientifico Disciplinare; che rischia di limitare la ricerca dal punto di vista della multidisciplinarietà; che crea conflitti di competenze e confusione; che sconfina su materie non di competenza – come l’istituzione di nuove figure professionali, quella del Manager didattico, non previste dall’Ordinamento.
Tutto ciò spiega come mai nel CdA non vi sia stata la maggioranza assoluta dei componenti che abbia espresso parere favorevole o nel Senato Accademico solo una maggioranza risicata e come mai la Bozza di Statuto sia stata bocciata dal Consiglio degli studenti, dal Comitato Pari opportunità e dalla Consulta del Personale Tecnico-amministrativo.
Questo Statuto è il prodotto di una gestione dell’Università che non è democratica e partecipata bensì autoritaria e reazionaria.
Ora l’unica alternativa possibile è che lo stesso Statuto venga rigettato dagli Organi di controllo. In caso contrario, dovremo aspettare che l’attuale Rettore, caratterizzatosi quale unico esempio di profonda e ostinata antidemocraticità nella storia della nostra Università, termini il suo mandato, prorogato dalla Gelmini, e si possa incominciare una migliore stagione, con un nuovo Rettore più sensibile, più capace e più disponibile, si auspica, alla partecipazione ed alla condivisione.

Lecce, 29 luglio 2011

lunedì 25 luglio 2011

Università Firenze: CdA e S.A. approvano il nuovo Statuto

Approvato il nuovo Statuto dell' Università degli Studi di Firenze. Il testo, frutto del lavoro di una apposita commissione che si è confrontata in questi mesi con tutte le diverse componenti dell' Ateneo, è stato votato oggi dal cda e dal Senato accademico. La revisione dell' attuale Statuto è stata imposta dalla Legge Gelmini, che ha stabilito nuovi criteri di governance delle Università italiane ed una loro diversa articolazione interna. L'atto verrà ora trasmesso al ministero dell'Università per il prescritto controllo di legittimità, prima della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, che dovrebbe avvenire intorno alla fine del 2011. Solo allora il nuovo Statuto entrerà in vigore apportando, si spiega in una nota, significative novità. I dipartimenti, con la nuova formulazione statutaria, diventeranno la struttura organizzativa fondamentale: saranno composti da almeno 50 professori e ricercatori, a tempo indeterminato e determinato, che si occupino di settori scientifico-disciplinari omogenei. Organizzeranno didattica, ricerca, trasferimento delle conoscenze; formuleranno le proposte di chiamata dei nuovi docenti, competenza, questa, sinora tradizionalmente riservata alle facoltà, e ne stabiliranno i compiti didattici, verificando il rispetto dei doveri di ufficio. Prevista anche la definizione di strutture di raccordo, denominate 'scuolè, che coordineranno le attività didattiche e la gestione dei servizi dei corsi di laurea. Ogni struttura di raccordo sarà istituita da due o più dipartimenti. Garanzia di «stabilità nel cambiamento» nel passaggio dall'attuale impostazione alla nuova, si illustra nella nota, «gli attuali corsi di studio» che «assicureranno agli studenti una solida continuità». Si allarga, poi, spiega ancora la nota, il corpo elettorale per la carica del rettore che, secondo quanto previsto dalla Legge 240, resterà in carica 6 anni e non sarà più rieleggibile: avranno diritto al voto anche i ricercatori a tempo determinato, il voto del personale tecnico-amministrativo peserà di più (il 20% dei voti espressi per ogni candidato, anzichè il 10% come è attualmente) e saranno di più anche gli studenti-elettori, grazie alla maggiore consistenza numerica delle rappresentanze studentesche negli organi collegiali. L' organo rappresentativo delle varie componenti universitarie, il Senato accademico, da cui scompaiono i presidi di facoltà, sarà composto di 29 membri: oltre al rettore che lo presiede, 20 tra professori e ricercatori (di cui la metà devono essere contemporaneamente direttori di dipartimento), suddivisi tra le cinque aree disciplinari, 3 rappresentanti del personale tecnico amministrativo e dei lettori e collaboratori linguistici, 5 studenti. Il Cda sarà invece composto da 11 membri: il rettore, 3 membri esterni all' organico di Ateneo, 5 membri interni, 2 rappresentanti degli studenti. I tre esterni, che dovranno presentare la propria candidatura secondo appositi avvisi pubblici, saranno nominati dallo stesso Senato Accademico, dopo essere stati vagliati da un' apposita commissione di personalità di alto profilo; i cinque membri interni saranno eletti dallo stesso corpo elettorale del rettore. Nella seduta di oggi, informa infine la nota, è stato approvato dal Senato accademico anche il nuovo codice etico dell' Ateneo.

domenica 24 luglio 2011

Università: in autunno su tornerà sui tetti

da www.europaquotidiano.it del 23.7.2011 . Walter Tocci

In parlamento si torna a discutere della legge Gelmini. Giovedi scorso la commissione cultura ha esaminato il primo decreto attuativo relativo alle procedure di abilitazione dei professori universitari.
Arriva con grande ritardo e non è immediatamente attuativo, perché rinvia a successivi provvedimenti proprio le questioni più importanti: criteri di valutazione e settori concorsuali. Un decreto chiama l’altro, ma non sono ciliegie. È una sequela burocratica con l’unico scopo di fare melina e tenere bloccati più a lungo possibile i concorsi – sono passati ormai tre anni – per consentire al sistema di assorbire i tagli di Tremonti.
In commissione il Pd ha votato contro la proposta governativa e ha chiesto la presentazione di un nuovo testo contenente tutti gli elementi necessari per un’immediata attuazione delle procedure di valutazione.
Ben altro impegno ha mostrato la ministra sul fondo per il merito, imponendo una repentina modifica dopo solo tre mesi della legge 240 per creare un altro carrozzone pubblico, una fondazione con relativi presidente e consiglio di amministrazione incaricata della gestione. Per adesso siamo ancora alla fuffa di dichiarazioni di principio, ma già si intravede dove vogliono andare a parare.
I soldi sono pochi per il diritto allo studio, circa 100 milioni, cioè quasi la metà di quanto versano gli stessi studenti con la tassa regionale e pari al 5-6 per cento del finanziamento pubblico stanziato in Francia e Germania, rispettivamente 1,6-1,9 miliardi di euro. Eppure, la ministra intende stornare una quota di questi finanziamenti verso la Fondazione per il merito – che opera a prescindere dal reddito – per estendere i sussidi anche ai figli di papà. Se il figlio di una famiglia ricca va bene negli studi non ha certo bisogno di essere aiutato con qualche centinaia di euro dallo stato, ma semmai a lui e a tutti i meritevoli, a prescindere dal reddito, andrebbero offerte opportunità di alta formazione, ad esempio serie scuole di specializzazione, e in presenza di motivazioni anche attività di ricerca.
Il sussidio pubblico, soprattutto se le risorse sono scarse, andrebbe invece concentrato solo sui meritevoli che non ce la fanno a sostenere i costi degli studi. Almeno così dice la nostra Costituzione. Il sussidio ai figli di papà ha trovato largo consenso nel dibattito, nonostante siano più forti in Italia le differenze sociali nella formazione dei giovani, i quali si trovano esposti ad almeno tre trappole che impediscono il pieno sviluppo delle capacità. C’è innanzitutto una trappola cognitiva poiché la quota di laureati figli di non diplomati è al di sotto degli standard europei.
Ormai solo ai figli di avvocati, di imprenditori ecc. sono assicurate le stesse opportunità dei genitori. C’è una trappola territoriale evidenziata, ad esempio, dal fatto che gli studenti idonei senza borsa sono concentrati quasi esclusivamente nelle regioni del Sud. Infine, c’è una trappola sociale e va crescendo sotto i morsi della crisi.
Sono i figli delle famiglie più povere e del ceto medio in difficoltà a rinunciare agli studi universitari perché non ce la fanno a sostenere i costi o perché si vanno convincendo che la laurea non garantisce più un’occupazione adeguata.
E forse la tendenza è stata aiutata anche dal silenzioso aumento della tasse universitarie del 30 per cento negli ultimi tre anni, praticato dagli atenei senza rispettare l’attuale limite di legge. Comunque, l’effetto immediato della legge 240 consiste nella paralisi dell’università.
La stretta burocratica e i tagli finanziari convergono nel produrre un sistema universitario più piccolo, più rigido e più sottomesso. E di conseguenza gli atenei diventano sempre difficili da governare.
A tale esito ha contribuito la crisi della leadership accademica, che è, a mio avviso, la ragione fondamentale della crisi dell’università italiana. Si sono infatti inariditi i processi di formazione della classe dirigente e non emergono più all’interno dell’accademia quelle personalità capaci di convincere la comunità scientifica senza ricorrere alle norme, ma in virtù della propria autorevolezza e del prestigio culturale o morale. I dirigenti accademici ricorrono all’intervento esterno per porre fine alle discussioni accademiche con il sigillo della legge. Ma in questo modo contribuiscono a indebolire il prestigio dell’istituzione che dirigono.
Paradossalmente l’unico tentativo di restituirela credibilità all’università italiana è venuto dagli studenti, dai giovani ricercatori e in generale dai professori meno impegnati nelle burocrazie accademiche. Sono andati sui tetti, come a dire la volontà di riportare in alto il rango dell’istituzione universitaria.
E allora in autunno dovrà continuare a farsi sentire questa voce. Bisogna riprendere la mobilitazione per fermare i guasti prodotti dal governo e per cominciare a tracciare una via nuova di autentica riforma. E in questo impegno dovranno tornare a darsi la mano la mobilitazione negli atenei e l’opposizione nel parlamento, come avvenne lo scorso dicembre.

sabato 23 luglio 2011

Università di Modena e Reggio Emilia: completata revisione statuto

da www.ilrestodelcarlino.it

Reggio Emilia, 23 luglio 2011 - Niente enti locali. Il nuovo statuto d’Ateneo dell’Universita’ degli studi di Modena e Reggio Emilia e’ stato approvato, ma con l’astensione degli enti locali, perche’ nel consiglio di amministrazione non e’ previsto un loro rappresentante.
“Continuiamo a ritenere che le istituzioni pubbliche debbano essere formalmente presenti all’interno del cda dell’Ateneo attraverso la designazione di almeno un membro che le rappresenti tutte”, chiarisce in una nota l’assessore all’Istruzione della Provincia di Modena Elena Malaguti. Oltre a lei, infatti, si sono astenuti l’assessore del Comune di Modena Adriana Querze’, e i reggiani Simone Beghi (Provincia) e Giovanni Catellani (Comune).
Lo statuto prevede che due dei tre membri esterni del cda (che passa da 32 a 11 componenti) siano scelti dall’Universita’ all’interno di una rosa di sei nomi indicati da un “comitato di sostenitori” che e’ composto, in via transitoria, da Comune, Provincia e Camera di commercio di Modena e di Reggio Emilia, oltre che dalla Regione, ma che dovra’ comprendere anche altri soggetti, come le realta’ economiche e sociali, produttive e professionali, associazioni economiche, fondazioni eccetera. 

“Alcune delle nostre proposte sono state accolte- aggiunge Malaguti ricordando, in particolare, quelle relative al maggior peso degli studenti per l’elezione del rettore- ma non e’ passato il riconoscimento della rappresentanza istituzionale, che non e’ certo la difesa di spazi di potere o di presenza politica, bensi’ il riconoscimento della dignita’ delle istituzioni.
L’articolato, si legge in una nota dell’Ateneo, si compone di 52 articoli che contengono molte novita’: il rettore restera’ in carica per sei anni e non potra’ ricandidarsi, ci sara’ un pro rettore vicario e un pro rettore per la sede di Reggio Emilia. Inoltre, spariscono le tradizionali facolta’, viene ridotto il numero dei dipartimenti e semplificato lo schema di governance con un consiglio di amministrazione piu’ snello (11 membri) e un senato accademico (26 membri) piu’ rappresentativo delle varie componenti. Salvaguardata la presenza delle donne negli organi, che avranno almeno un terzo dei componenti. 
Rafforzati i legami col territorio, che avranno due rappresentanti in Consiglio di Amministrazione, e creato un Comitato dei Sostenitori. Il 26 luglio il testo verra’ inviato al ministero dell’Istruzione che dovra’ esprimersi prima della promulgazione.

“Rispettando la tempistica fissata dalla legge Gelmini l’Universita’, come promesso dal rettore Aldo Tomasi, e’ arrivata puntuale a tagliare il traguardo di un testo che adegua la governance, i poteri e l’organizzazione interna dell’Ateneo, cercando da un lato di salvaguardare i principi e lo spirito della riforma e, dall’altro, di esaltare l’autonomia dell’universita’”, chiosa la nota.

mercoledì 20 luglio 2011

Ponte di Messina: l'UE ritira il finanziamento

da www.infooggi.it


Messina, 20 Luglio - L’Europa ritira il finanziamento per il ponte sullo Stretto. L’Ue, infatti, preferisce dare priorità al collegamento tra Helsinki e La Valletta. Forse il Governo italiano ha temporeggiato troppo o più probabilmente non c’era la volontà politica di portare a termine l’opera; si trattava solo della solita propaganda berlusconiana tesa ad ingraziarsi il consenso degli elettori siciliani. E pensare che a Messina era in atto un ambizioso progetto di rete stradale per rendere più operativa la città, in prospettiva ponte.
E invece si tratta della solita presa in giro, l’ennesima promessa mancata da parte di Silvio Berlusconi. Dopo aver rinviato di anno in anno la posa della “prima pietra” adesso il progetto svanisce nell’indifferenza della politica. Anche se ormai è una consolidata abitudine per il Premier disattendere le promesse fatte agli italiani, sarebbe auspicabile un immediato chiarimento da parte del Cavaliere.
Ovviamente la città di Messina necessitava d’interventi più urgenti della grande infrastruttura: vedi messa in sicurezza dei centri montani, risanamento e bonifica del territorio e dell’urbanistica. Di certo i sostenitori comitato “No Ponte” presenti nel capoluogo peloritano esulteranno, ma stiano pur certi che lo stanziamento non servirà a coprire le altre lacune nel messinese, ma sarà destinato ad altri territori; un modo come un altro per darsi la zappa sui piedi, andando contro gli interessi economici della propria città. Messina ha perso una grande occasione per il suo sviluppo, e probabilmente si tratta dell’ultimo atto di una commedia che dura da circa un secolo.
Fabrizio Vinci

sabato 16 luglio 2011

UniCal: proposta laurea ad honorem a Roberto Benigni

La facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università della Calabria vuole conferire una laurea ad honorem a Roberto Benigni. La proposta è stata inserita tra i punti all'ordine del giorno del prossimo Consiglio di facoltà. La decisione fa riferimento, in particolare, secondo quanto riferisce un comunicato della facoltà, al Premio Oscar ottenuto da Benigni nel 1999 per il film "La vita è bella".

Università del Salento, il Cda boccia la bozza del nuovo Statuto


da www.ilpaesenuovo.it del 15.7.2011

Lecce - Con otto voti fra contrari e astenuti e solo sette favorevoli, la bozza del nuovo Statuto dell’Università del Salento è stata bocciata dal Consiglio di Amministrazione. Mancando il prescritto parere favorevole del Consiglio di amministrazione ora il Senato Accademico, già fissato per martedì 19 luglio, non potrà deliberare.
“Oltre che la bocciatura di un pessimo Statuto è questa la bocciatura di un metodo”. E' quanto dichiarano i sindacati FLC CGIL UIL/RUA SNALS Università, i quali specificano come “la bozza per lungo tempo secretata, una volta resa pubblica, non è stata condivisa da moltissimi docenti, studenti, lettori e personale Tecnico Amministrativo e, pertanto, si rendeva opportuno riaprire il confronto per cercare di apportarvi collegialmente quei miglioramenti necessari a farla diventare uno Statuto ampiamente condiviso e partecipato”.
Purtroppo, - continuano le dichiarazioni - il Rettore, poco incline al confronto democratico, dopo essersi scelto la Commissione e aver dato l’imprimatur autoritario nell’elaborazione della proposta ha ignorato le richieste che gli pervenivano da più parti ed ha preferito marciare come un “carro armato”.
Non si trattava delle “invenzioni” di qualche sindacalista, né dei privilegi di docenti, studenti e personale, ma del dissenso che serpeggiava ovunque - persino fra i suoi delegati – sulla imposizione di unoStatuto progettato ad personam e avulso dagli orientamenti degli altri atenei. Il dissenso di una “maggioranza silenziosa” troppo spesso timorosa di esprimersi a causa delle temute conseguenze”.
Secondo i sindacalisti “quella lanciata dal Consiglio di Amministrazione è una richiesta importantissima di democrazia e partecipazione nell’Ateneo. Non è pensabile di poter approvare, per la prima volta nella storia della nostra Università, uno Statuto a colpi di maggioranze risicate, mentre negli altri atenei si condividono, responsabilmente, percorsi all’insegna del pluralismo e non del personalismo. Quella di ieri, purtroppo, non è soltanto la sconfitta di “un uomo solo al comando” ma è anche la cronaca di un fallimento annunciato, che ha determinato una grave caduta d’immagine per l’intera Università, a detrimento delle istituzioni e della comunità accademica” .

giovedì 14 luglio 2011

Alma Mater, ecco il nuovo statuto: quasi una rivoluzione in ateneo

da www.repubblica.it del 14 Luglio 2011

Il voto finale sarà il 26 o 27 luglio. E la nuova carta costituente sarà approvata, l'Alma Mater avrà un nuovo statuto.
Con alcune novità rilevanti, come il rettore breve, in carica per soli sei anni (addio ai lunghi regni come fu quello di Roversi Monaco che guidò l'ateneo per oltre un decennio) e il diritto al voto per gli amministrativi, conquista storica; altre innovazioni, invece, come la composizione degli organi accademici, seguono per lo più i dettami della legge Gelmini. Il Senato accademico diventerà una sorta di parlamento dell'università, il consiglio di amministrazione, dove il rettore ha tenuto la barra su consiglieri scelti per competenze, attraverso curricula, ed eletti in Senato (salta dunque la rappresentanza in questo organo), sarà il consiglio dei ministri. Infine, il multicampus: nonostante i timori dei romagnoli (da settimane sul piede di guerra), viene confermata la struttura dell'università di Bologna su più sedi.Il decentramento resiste, mentre altri Atenei emiliani come Parma e Modena guardano alla possibilità di accordi federali, Bologna continuerà a guardare al mare per il suo sviluppo, con la possibilità di siglare accordi con la Regione su ricerca e servizi: al centro la tradizione, nelle sedi decentrate i nuovi saperi e le nuove professioni è l'ipotesi del rettore, riportata dai presidi. La Romagna perde le otto Facoltà, ma nasceranno Dipartimenti autonomi o federati (Scienze Politiche, Ingegneria meccanica, Economia, per esempio), Scuole o nuove Facoltà su due sedi.Ecco la rivoluzione tra le mura accademiche che da mesi sta scatenando discussioni, proteste, sino al referendum con più di duemila partecipanti che chiedono uno statuto più democratico e con tutti gli organi di rappresentanza eletti. Il tavolo intersindacale, la sigla dell'opposizione a Dionigi, scalda nuovamente i motori della contestazione. E alza la voce il Cub contro la diminuzione dal 15 al 10% di rappresentanza del personale tecnico nei consigli di dipartimento. Insomma, il clima è acceso. E la road map di Dionigi dai tempi stretti. Venerdì si riuniranno Senato e Consiglio di amministrazione, poi la commissione statuto lavorerà per gli ultimi emendamenti la prossima settimana; infine il voto. Ieri in senato accademico il rettore ha illustrato la bozza ormai definitiva dello Statuto: per 55 minuti Ivano Dionigi ha chiarito i punti più caldi, accettando di accogliere osservazioni e proposte di modifiche avanzate dai presidi. Tra queste, il difficile equilibrio sul multicampus, la rappresentanza delle donne, una maggiore definizione del ruolo dei direttori dei nuovi dipartimenti e dei presidenti delle nuove Scuole o Facoltà. Il nuovo statuto contiene anche uno novità storica per i tecnici e amministrativi che, con un "peso" del 15% potranno votare per il rettore. E' la prima volta che accade, dopo le insistenze da parte del personale ribadite ad ogni inaugurazione di anno accademico. Il rettore sarà eleggibile per un solo mandato, di sei anni, e con due turni appena, non più quattro: o viene eletto a maggioranza assoluta subito, oppure sarà ballottaggio. Nuovi organi sono poi due consulte, quella del personale tecnico e amministrativo (che entra in Senato nonostante non sia previsto dalla legge Gelmini, ma rimane fuori dal Cda) e quella dei "sostenitori", convocata almeno due volte all'anno dal rettore: soggetti e istituzioni che concorreranno a promuovere le attività scientifiche e formative.

martedì 12 luglio 2011

2012: anno apocalisse per le Università ?

di Alessandra Migliozzi su sito www.ilmessaggero.it del 11 luglio 2011

ROMA - Hanno sempre confermato di voler fare la loro parte, di essere pronti a sacrifici, razionalizzazioni, decurtazioni dei corsi. Ma ora i rettori delle università pubbliche italiane non nascondo la loro preoccupazione di fronte al taglio dei finanziamenti che li aspetta nel 2012: il fondo statale segnerà un meno 5,5%. Tradotto in cifre, fanno 300 milioni in meno rispetto al 2011. I finanziamenti di quest'anno devono ancora arrivare agli atenei. Il ministro Gelmini ha promesso che saranno inviati entro fine luglio con una novità: la quota premiale per i migliori passerà dal 10 al 13,5%. Ma lo sguardo è rivolto al prossimo anno, che è dietro l'angolo e segna un crollo ulteriore del sostegno statale. Anche per le borse di studio. A rischio ci sono ricerca e servizi. In alternativa bisognerà alzare le tasse di iscrizione. Il capo della Conferenza dei rettori (Crui), Marco Mancini, lancia l'allarme.

Mancini, quali sono le preoccupazioni dei rettori?«Il problema sono le risorse, il 2012 è un anno a rischio apocalisse. Il ministro Gelmini negli scorsi giorni ci ha incontrati. Per la prima volta dall'inizio della legislatura è venuta in Crui. Ha ascoltato e condiviso i dubbi sollevati. I trasferimenti che arriveranno dallo Stato alle università il prossimo anno saranno sotto la soglia di sopravvivenza: non bastano per coprire le spese fisse, quelle per gli stipendi».Tradotto in cifre?«Le spese fisse ammontano a circa 6,85 miliardi. Il finanziamento statale sarà di 6,55. Mancano 300 milioni all'appello, anche considerando i risparmi che conseguiremo a fronte dei pensionamenti. La situazione è davvero preoccupante».Tutto ciò come si ripercuoterà sugli utenti finali, gli studenti? Aumenteranno le tasse?«Finora abbiamo cercato di razionalizzare tutto il possibile. Ma siamo arrivati al punto di crisi. Noi non vogliamo far pagare la situazione agli studenti, non vorremmo aumentare le tasse. Ma certamente l'unica alternativa ad oggi è ridurre ricerca e servizi. Del resto non ci saranno i soldi per le fotocopie, per le provette dei lavoratori, per tenere aperte le strutture. Qualcuno rischia seriamente dei chiudere i battenti. Diciamo sì a meritocrazia e rigore. No ai fondi a pioggia. Ma è grottesco che la legge ci imponga di non spender più del 90% del fondo statale per gli stipendi quando il fondo non li copre nemmeno».Anche il diritto allo studio è un problema.«Il fondo è azzerato ormai siamo passati dai 100 milioni storici a 10-13. Praticamente è come se non ci fosse».Il ministro come risponde di fronte a questo quadro?«Il ministro Gelmini condivide le nostre preoccupazioni. Ma non è lei a tenere i cordoni della borsa».Intanto una ventina di atenei stanno chiudendo i nuovi statuti previsti dalla riforma.«Ci stiamo impegnando per l'attuazione della legge Gelmini. Siamo pronti all'innovazione. Ma senza risorse non si va lontano».

Mandare e-mail è inquinante !!!

Mandare mail è inquinante. Sembrerebbe un'affermazione priva di fondamento, ma è la scoperta fatta dall'Agenzia francese per l'ambiente e il controllo energetico: l'Ademe e riportata dal quotidiano Le Parisien. Secondo gli esperti infatti l'invio di una mail comporta l'emissione di CO2 e gas a effetto serra e nello specifico, per ogni mail che pesi piu' di un megabyte si produce l'equivalente di 19 grammi di anidride carbonica. Per fare un confronto si tenga conto che in media le auto immatricolate in Europa nel 2010 producono 140 grammi di C" per ogni chilometro percorso. E l'impatto ecologico di ogni mail deve essere moltiplicato per il numero di destinatari a cui la mail è inviata.
Questo accade perche' di ogni messaggio inviato sAi producono decine di copie che passano da un server all'altro fino ada rrivare alla destinazione finale e per ogni passaggio si consuma un quantita' di elettricita' che aumenta all'aumentare del peso della mail: inviando allegati pesanti dunque si inquina di piu'. e il dato è davvero preoccupante se si tiene conto che secondo Le Parisien ogni giorno vengono inviate in media 250 miliardi di e mail, di cui l'80% composta da spam, il livello di inquinamento è davvero considerevole. Nel 2013 sempre l'Ademe stima che si potra' persino sorpassare la cifra di 500 miliardi di messaggi di posta quotidiani. Per quanto riguarda la Francia, l'impiegato di un'azienda di oltre 100 persone riceve in media ogni giorno 58 mail e ne invia a sua volta 33, che pesano in media un mega. Se si contano 250 giorni lavorativi all'anno, questo corrisponde a 13,6 tonnellate di CO2 emesse.

domenica 10 luglio 2011

Nuovo statuto all'Università di Udine

da www.ilfriuli.it


L’Università di Udine ha un nuovo Statuto che fissa valori e principi guida, stabilisce il modello organizzativo e regolamenta l’attività. Il testo è stato approvato oggi a larghissima maggioranza dal Senato accademico, con 40 voti a favore e 2 astensioni, dopo il parere favorevole del Consiglio di amministrazione. 

Il Senato si è riunito nella sua composizione allargata, come previsto per le modifiche statutarie, integrato cioè da 25 rappresentanti della comunità accademica (professori ordinari e associati, ricercatori, studenti, personale tecnico-amministrativo). Si è così concluso, in anticipo sul termine del 29 luglio, l’iter di adeguamento della Carta fondamentale dell’ateneo alla legge Gelmini (L. 240/2010) che riforma il sistema universitario italiano. 

Le principali novità riguardano i principi ispiratori, gli organi di governo e l’organizzazione. «La nuova Carta costituzionale dell’Ateneo – sottolinea il rettore Cristiana Compagno – stabilisce il principio dell’autonomia responsabile e riafferma i principi del radicamento territoriale e dell’universalità della scienza». Per quanto riguarda il ridisegno degli organi collegiali di governo, Senato e CdA, «si è posta – spiega il rettore – particolare attenzione alla divisione delle funzioni tra organi e ai meccanismi di designazione dei componenti di questi ultimi. L’obiettivo, in linea con la legge 240, è quello di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dell’attuale assetto e migliorare l’efficienza decisionale del sistema». Lo Statuto, formato da un preambolo e 66 articoli (a fronte degli 88 del precedente), è stato sottoposto a un complessiva semplificazione dell’articolato. Nei prossimi giorni, con decreto del rettore, sarà trasmesso al ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca che avrà tempo 120 giorni per approvarlo o fare le eventuali osservazioni. Seguirà la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e l’avvio del processo di attuazione. Il primo Statuto fu varato nel 1993 e Udine fu la sesta università italiana ad approvarlo.Il Preambolo stabilisce che per l’Università di Udine il valore della scienza e del suo insegnamento sono il fondamento primo e che lo Statuto è la fonte base della sua autonomia garantita dalla Costituzione. L’articolo 1 è l’architrave e si rifà ai principi che stanno alla base dell’istituzione dell’Università di Udine: sede primaria di libera ricerca e libera formazione, che promuove lo sviluppo e il progresso della cultura e delle scienze attraverso la ricerca, la formazione, la collaborazione scientifica e culturale con istituzioni italiane ed estere, contribuendo con ciò allo sviluppo civile, culturale, sociale ed economico del Friuli. I principi generali ribadiscono quello dell’universalità della scienza, delle pari opportunità e della parità di trattamento nell’accesso al lavoro, alle cariche accademiche e uffici pubblici nonché sul lavoro. In particolare, lo Statuto afferma con forza il principio delle pari opportunità nei principi generali e nei meccanismi di composizione degli organi di governo e garantisce almeno il 30 per cento di candidature del genere meno rappresentato.Il Senato accademico, ridotto a 25 componenti dai precedenti 47, nell’attuale composizione più allargata, è la sede dell’elaborazione dell’indirizzo politico dell’ateneo. Vi siedono i rappresentanti di tutte le aree scientifico disciplinari unitamente ai rappresentanti di tutte le componenti della comunità universitaria.Il CdA diventa organo di gestione con un alto profilo di competenze tecnico-professionali. È formato da 10 membri rispetto ai 24 precedenti. Lo compongono 4 membri interni, 3 esterni, il rettore quale presidente e due studenti come previsto dalla legge. I componenti, sia interni che esterni, devono possedere comprovati ed elevati requisiti di professionalità e onorabilità. La valutazione dei requisiti dei candidati verrà fatta da un comitato tecnico di valutazione indipendente costituito dal presidente del Collegio dei revisori, dal membro esterno del Nucleo di valutazione e dal presidente del Comitato unico di garanzia per le pari opportunità dell’ateneo. Le candidature esterne potranno pervenire dal rettore e da un comitato degli enti territoriali.Un’altra rilevante novità è la soppressione delle dieci facoltà con il trasferimento delle attività didattiche, tradizionalmente gestite da queste ultime, ai dipartimenti che continueranno ad essere anche le strutture deputate alla ricerca. Prevista anche la possibilità di istituire, al posto delle attuali facoltà, le Scuole interdipartimentali, definite come strutture di raccordo tra due o più dipartimenti per coordinare e razionalizzare le attività didattiche dei corsi studio. «La transizione ordinata e graduale dalle facoltà ai dipartimenti mantenendo qualità ed efficienza della didattica – sottolinea Compagno – sarà assicurata all’Università di Udine anche per effetto della grande riorganizzazione dipartimentale già realizzata dall’ateneo un anno fa anticipando la riforma».Lo Statuto inoltre recepisce le principali indicazioni della legge 240. Fra esse, l’allungamento a 6 anni anziché 3 del mandato del rettore che non è rieleggibile. L’istituzione della figura del direttore generale al quale vengono riconosciuti poteri e responsabilità nella gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale. E ancora, l’adozione del bilancio unico (quindi non più suddiviso tra amministrazione e dipartimenti) e del Codice etico.Il testo è il frutto di quasi cinque mesi di lavoro della Commissione di revisione nominata da Senato e CdA lo scorso 14 febbraio. Il gruppo di lavoro, presieduto dal rettore, era composto da 15 membri fra i quali, come componente esterno, l’avvocato Pier Giorgio Bressani. 
8 luglio 2011

mercoledì 6 luglio 2011

Università di Pisa: Facoltà addio, arrivano Scuole e Dipartimenti

da sito La Nazione - edizione di Pisa

Pisa, 6 luglio 2011 - E’ L’ANNO delle rivoluzioni. Oltre a quella dell’ospedale, annunciata ufficialmente lunedì a una vasta platea, a breve, ci sarà quella dell’università. Al lavoro ormai da mesi, infatti, la commissione statuto che ha il compito di studiare la conformazione della nuova università, sulla base della legge Gelmini. Tra pochi giorni, sarà pronta una prima griglia virtuale.
Via le vecchie facoltà, arrivano i dipartimenti, che non saranno più gli organi preposti alla ricerca, ma vere e proprie realtà che organizzeranno sia la ricerca che la didattica. Gli attuali dipartimenti sono 48, ma alla fine dovranno all’incirca dimezzarsi. Il numero preciso non è ancora dato saperlo visto che dipenderà anche dalle varie afferenze dei docenti. Altra novità, le scuole, strutture di raccordo che permetteranno di mettere insieme dipartimenti similari. Se ne discute soprattutto per Medicina e Ingegneria. Una riorganizzazione che passerà ancora da ben tre senati accdemici congiunti con il cda già programmati. Il primo si terrà il 13 di luglio, il secondo il 20 e il terzo il 27, in modo da aver un piano abbastanza completo prima della pausa estiva.
E già ci si chiede che cosa cambierà nella sostanza e se ci saranno differenze nei corsi di studio. Anche se, al momento, sembra che per questi ultimi tutto resterà pressoché invariato. Resta il nodo della multidisciplinarità ancora da sciogliere. E l’eventualità, così come supposto più volte, di una regionalizzazione di alcuni percorsi. Gli studenti vorrebbero garanzie. E non manca un po’ di nostalgia: alcuni presidi avrebbero chiesto di mantenere il vecchio nome di facoltà.
ALTRO aspetto, la governance. Giro di vite anche per Senato e Consiglio di amministrazione. Diminuiranno, per entrambi, i membri scendendo nel primo caso a 25 (ora sono 33) e nel secondo a 10 (al momento 15), compresi le componenti esterne che, sembra, saranno figure elevate del mondo accademico o appartenenti ad altri enti. Il risparmio, in questo caso, più che economico sarà di tempi. Il gettone di presenza in Senato è di 140 euro al mese, 170 per il cda. Con meno partecipanti, le procedure saranno più snelle.
Un parere positivo su quanto è stato fatto fino a questo momento dal rettore, Massimo Augello, e dalla commissione tutta, lo esprime Marco Maccioni di Ateneo studenti: «Un ottimo lavoro che va ultimato. Ma l’università la fanno gli uomini non la fa lo statuto. Bisogna cambiare il cuore dell’uomo, tutti: docenti, impiegati e studenti devono impegnarsi per cambiare questo posto». Flavio Zappacosta, rappresentante degli studenti a livello nazionale, riflette: «La nostra Università è costretta a adempiere, in tempi fin troppo frettolosi, un processo di riforma del proprio statuto imposto da un Governo autocrate e sordo alle richieste di tutti coloro che hanno a cuore il presente e il futuro dell’università pubblica».
«In questa prospettiva — prosegue — si aggiunge la confusione normativa rispetto la programmazione delle risorse umane e economiche delle Università pubbliche. Dunque risulta compromesso il principio di autonomia del nostro Ateneo. Infatti, da quanto emerge dal nostro nuovo Statuto, la funzione politica e di indirizzo nel campo della didattica e della ricerca (si pensi all’attivazione e alla soppressione dei Corsi e dei Dipartimenti) del Senato Accademico viene quasi totalmente demandata al Consiglio di Amministrazione; il rettore e tutti i “capi” degli organi recepiscono ampi poteri a discapito di tutti coloro che chiedono un’Università più democratica e trasparente. Allora non resta che chiedere, come già sta succedendo in altri Atenei, che tutti i componenti della Comunità Accademica (compresi i precari) vengano chiamati a giudicare (e a proporre) le nuove regole attraverso un referendum». 
Antonia Casini