di Piergiorgio Odifreddi su repubblica.it del 15-3-2011
Le drammatiche notizie che arrivano dal Giappone, relative alle esplosioni nella centrale di Fukushima, si configurano come una vera e propria tragedia nucleare nella tragedia tellurica e tsunamica. Sarebbe singolare che proprio il primo, e finora unico, paese a essere stato vittima di esplosioni nucleari belliche causate da attacchi esterni, diventasse anche il primo a rimanere vittima di esplosioni nucleari tecnologiche causate da impianti interni.
Le drammatiche notizie che arrivano dal Giappone, relative alle esplosioni nella centrale di Fukushima, si configurano come una vera e propria tragedia nucleare nella tragedia tellurica e tsunamica. Sarebbe singolare che proprio il primo, e finora unico, paese a essere stato vittima di esplosioni nucleari belliche causate da attacchi esterni, diventasse anche il primo a rimanere vittima di esplosioni nucleari tecnologiche causate da impianti interni.
Nonostante le ferite e la memoria di Hiroshima e Nagasaki, il Giappone aveva infatti scelto di votarsi ugualmente all’energia nucleare, confidando come ogni Apprendista Stregone di poterla controllare. Ed era diventato uno dei tre paesi che le si affidano in maniera sostanziosa, per i propri fabbrisogni energetici: con le sue 65 centrali, si poneva infatti dietro agli Stati Uniti e prima della Francia, che ne hanno rispettivamente 104 e 58.
Il patto col diavolo non ha evidentemente funzionato, e ora Fukushima andrà ad aggiungersi ai nomi maledetti di Three Miles Island negli Stati Uniti nel 1979, e di Chernobyl in Unione Sovietica nel 1986. Anche se già un’altra volta, nel 1999 a Tokaimur, il Giappone aveva rischiato il disastro.
Come tutti sanno, gli incidenti costituiscono comunque solo una delle due facce del problema nucleare. L’altra è, ovviamente, lo smaltimento delle scorie e dei rifiuti radioattivi: non solo delle centrali, ma anche industriali, ospedalieri e bellici. Un problema che, a tutt’oggi, rimane irrisolto. E che, a differenza delle casualità nelle quali l’ottimismo potrebbe anche far sperare di non cadere, si configura invece come una necessità dalla quale il realismo ci assicura che non si può pensare di evadere.
Gli Stati Uniti hanno provato ad affrontarlo, costruendo un enorme sito a Yucca Mountain nel deserto del Nevada, a un centinaio di chilometri da Las Vegas, in cui concentrare appunto le scorie e i rifiuti nazionali. Doveva essere terminato nel 1998, e invece ci vorranno ancora dieci anni per completarlo. Quand’anche diventasse operativo, sarebbe comunque già insufficiente per i fabbrisogni passati, lasciando aperto il problema per il futuro. Il condizionale è d’obbligo, però, a causa delle polemiche che la sua costruzione ha sollevato, dai costi ai livelli di contaminazione dell’ambiente.
La domanda cruciale è: se nemmeno i paesi più tecnologicamente avanzati e meglio organizzati riescono a gestire i problemi del nucleare, non è una vera e propria follia che proprio l’Italia abbia recentemente deciso di affidarglisi? Un paese che non riesce a organizzare nemmeno la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti ordinari, può veramente pensare di essere in grado di riuscire là dove hanno fallito tutti gli altri?
Molto più dei suoi patetici e irrilevanti scandali a sfondo sessuale, sono proprio questi progetti tecnologici a rendere il Presidente del Consiglio un letterale pericolo pubblico, e sono proprio essi che dovrebbero preoccupare gli italiani e spingerli a liberarsi di lui. E anche del suo singolare Ministro per l’Ambiente, che è forse l’unica al mondo a interpretare la sua funzione non nel senso di salvaguadarlo, questo ambiente, ma di metterlo in serissimo pericolo spingendo affinchè la tecnologia più rischiosa e pericolosa che si conosca venga messa nelle mani dal popolo più pasticcione e cialtrone che ci sia al mondo.
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