mercoledì 26 ottobre 2011

Ignazio Visco: investire sulla conoscenza

da IL Mulino - Contemporanea
Capitolo 1.
Il merito nella società della conoscenza pagg. 29-31


Nell’affrontare la questione del merito e della sua valorizzazione è necessario distinguere subito tra qualità innate e comportamenti: un conto è, infatti, premiare i «talenti»; un conto è, al contrario, aumentare, attraverso opportuni incentivi, l’intensità con cui alcuni comportamenti vengono adottati, la quantità dei loro eventuali prodotti, il pieno utilizzo degli stessi talenti. Inoltre, valorizzare il merito nella sua accezione di qualità innate implica un aumento della rendita per i possessori di queste qualità, cosa che non accade quando si valorizza il merito nella sua accezione di comportamenti adottati (anche, e soprattutto, per sviluppare e applicare al meglio i talenti di cui si dispone).
L’idea secondo cui solo i comportamenti sono sotto il controllo di chi ne è direttamente responsabile, mentre i risultati prodotti dipendono anche da fattori non direttamente governati dall’attore, potrebbe spingere ad attribuire maggiore importanza alla natura intrinseca delle azioni piuttosto che ai risultati, come avviene per quei codici deontologici che valutano il merito dell’azione nell’impegno profuso e nella sua correttezza piuttosto che nei risultati conseguiti. Tracce se ne riscontrano nella struttura dei controlli della pubblica amministrazione centrata sulle procedure più che sui risultati, ma il rischio di limitarsi a valutazioni di natura puramente formale è evidentemente elevato. Basare la valutazione soprattutto sui risultati non comporta che non si possa o non si debba tenere conto dell’operare di elementi al di fuori del controllo, e della responsabilità, di chi agisce.«Valorizzare il merito» non equivale, comunque, a richiedere un’organizzazione sociale esclusivamente fondata su un sistema «meritocratico». Se questo costituisce uno strumento importante per consentire alla società di avvicinarsi il più possibile all’uso efficiente delle risorse produttive (senza nascondere «sotto terra», ricordando la parabola, il talento di cui si dispone), non esclude affatto il momento redistributivo, anzi lo rafforza spingendo a quella «uguaglianza delle opportunità» spesso invocata ma assai poco messa in pratica.In concreto, ci riferiremo al merito come all’accumulazione di «capitale umano» ed esamineremo quanto esso sia valorizzato oggi in Italia per il tramite di un’«adeguata» ricompensa nella scuola, luogo deputato alla formazione del capitale umano, e nel mercato del lavoro, luogo deputato al suo utilizzo.Una tale definizione è strettamente connessa con l’obiettivo e con gli strumenti della politica economica: si ritiene meritevole un comportamento, l’accumulazione di capitale umano, capace di accrescere il benessere collettivo tramite l’innalzamento della produttività del lavoro; lo si stimola attraverso incentivi di natura monetaria e, nella scuola, attraverso voti e valutazioni. Il legame tra incentivi e risultati costituisce il principale meccanismo utilizzato dal policy maker per perseguire i propri fini ed è particolarmente rilevante in questo contesto; il capitale umano, che ha la peculiarità di essere «incorporato» negli individui, non può infatti essere accumulato prescindendo dal coinvolgimento delle persone fisiche e, diversamente dal capitale fisico, non può essere il frutto della decisione centralizzata di un possibile pianificatore.La valorizzazione del merito può accrescere il benessere individuale e collettivo grazie all’aumento della produttività individuale e, tramite effetti di spillover (esternalità positive che giustificano l’interesse pubblico in questa materia), quella totale dei fattori utilizzati nella produzione di beni e servizi. In questo quadro l’Italia è, anche nel confronto internazionale, fortemente in ritardo premiando poco l’accumulazione di capitale, sia nel mercato del lavoro sia nella scuola.

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